La pistola pesa nella mia mano, fredda e indifferente.
La estraggo dalla tasca, un gesto meccanico privo di significato. L'ho fatto tante volte. L'odore di polvere da sparo persiste nell'aria, mescolandosi con quello della morte imminente. Tento di mascherarlo con profumi artificiali, aromi presi dai cinesi: un'inutile farsa come tante altre che riempiono le nostre vite.
Cerco il corpo dell’uomo, spinto da una logica assurda che nemmeno io comprendo. Non lo trovo. Sento ancora lo sparo nella mia mente, un suono vuoto in un mondo privo di senso. La stanza mi circonda, indifferente alla mia ricerca, al mio disagio, alla mia stessa esistenza.
A un certo punto però, un rumore cattura la mia attenzione. Mi volto e lo vedo: è seduto al tavolo, intento a consumare quello che sa essere il suo ultimo pasto. I nostri sguardi si incrociano e in quell'istante la verità mi colpisce con la forza di un'epifania assurda.
Quell'uomo intento a cenare in solitudine sono io! Io, invecchiato, segnato dal tempo e dalle scelte, in attesa della fine che ho già stabilito. Il me stesso più giovane, che ha appena premuto il grilletto, e il me stesso più anziano, che attende la morte, si fondono in un unico essere, in un paradosso temporale che sfida ogni logica.
Osservo le mie mani rugose che tagliano lentamente la carne, un gesto banale mentre un rigolo di sangue gli cala dalla testa. Il rumore delle posate assume un significato quasi ovattato e cosmico. Ogni boccone, lento, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, è un addio alla vita, un atto di ribellione contro l'assurdità di questa esistenza.
"Qualcosa non va?!" mi chiedo, e la domanda risuona nella stanza vuota, eco dell'eterno dialogo con me stesso. La pistola cade a terra, con un tonfo sordo che segna la fine di un'illusione. Il tempo si piega su se stesso; passato e futuro collassano in un presente eterno e immutabile. In questo momento di lucida follia, comprendo che la mia ricerca era vana: il corpo che cercavo ero io stesso, da sempre seduto lì, sono stato sempre lì, in attesa di compiere l'ultimo atto di questa farsa che chiamiamo vita.
L’uomo—me stesso—continua a mangiare, ogni boccone un atto di sfida contro il destino che ho scelto e al contempo subito. L'assurdità della situazione mi avvolge, ma non provo né paura né rimpianto. Solo una calma accettazione, mentre attendo che il cerchio si chiuda e che il giovane che ero diventi l'anziano che sono, in un eterno ritorno di un istante sospeso tra la vita e la morte.
L'uomo vecchio, con un'aria di calma rassegnazione, finisce lentamente il suo pasto. Ogni boccone è un ultimo saluto, un rituale di addio alla vita che ha condotto. Quando l'ultimo frammento di cibo sparisce dalla sua bocca, posa con cura le posate sul piatto. Il suono metallico del coltello e della forchetta rimbomba nella stanza, segnando la fine della cena e, in qualche modo, della sua stessa esistenza.
Senza esitare, il vecchio sposta lo sguardo sulla pistola appoggiata sul lato sinistro del tavolo. La prende con la mano tremante, ma decisa, come se fosse l’atto finale di un copione già scritto. Solleva l’arma, puntandola alla sua testa. I nostri sguardi si incrociano per un’ultima volta, e in quegli occhi stanchi riconosco la determinazione di chi sa che il suo destino è stato scelto e che non c’è via di fuga.
Con un movimento lento ma fermo, preme il grilletto. Un lampo accecante esplode nella stanza, seguito dal rumore sordo del colpo. Il corpo dell’uomo vecchio si affloscia sulla sedia, la testa ciondola in avanti, e il sangue comincia a scorrere sul tavolo, mescolandosi ai resti del pasto appena consumato.
Osservo la scena, impietrito, mentre il tempo sembra fermarsi ancora una volta. Il corpo senza vita dell’anziano resta immobile per qualche istante, ma poi la sua figura comincia a dissolversi, come sabbia soffiata via dal vento. Mentre accade, sento qualcosa di strano che mi attraversa, un filo invisibile che mi lega a quel corpo che si disintegra davanti ai miei occhi.
Dopo qualche secondo, percepisco un improvviso cedimento dentro di me. Le forze mi abbandonano e, senza potermi opporre, cado a terra. Il pavimento sembra liquefarsi sotto di me, come se la realtà stessa si stesse frantumando. Il mio corpo comincia a dissolversi, proprio come quello dell’uomo anziano. Lentamente, scompaio, dissolvendomi nel pavimento, in un’ultima fusione tra il giovane che ero e l’anziano che sono stato destinato a diventare. Il cerchio si chiude, e in quell’ultimo istante sospeso tra la vita e la morte, comprendo che tutto è compiuto.
Il silenzio torna a riempire la stanza, ora vuota, come se nulla fosse mai accaduto. La vita riprende il suo caos.
@GiuseppeLonatro2024
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