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Le torri di Monteveglio

di Livia
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Pubblicato il 27/08/2024 12:05:00

Le torri di Monteveglio

tardo medioevo - epoca di Matilde di Canossa

 

 

Il mercante di pelli pareva tardare.

Il riflesso del sole quel mattino smerigliava la punta delle torri e la facciata dell’Abbazia. Il monastero nelle sue pietre di cotto rossastro era baciato dal primo sole autunnale, se ne stava da secoli abbarbicato sulla sommità del piccolo monte che dominava la valle e il fiume Samoggia.

- Mons belli, il Monte della guerra – una delle fortezze baluardo dell’Esarcato bizantino in confine col bolognese, conquistato da Liutprando nel 727.

 

Il monaco era impaziente, aspettava le pergamene che il mercante fiorentino era solito consegnare due volte l’anno, erano di fattura pregiata provenivano dai commerci oltremare. Il religioso conosceva le insidie, per chi, dal Mar Tirreno doveva valicare l’Appennino tosco-emiliano frequentemente battuto da clandestini, briganti e malfattori. Da quando la "gran contessa " governava quelle terre, malgrado avesse rafforzato tutti i posti di vedetta, non era tuttavia riuscita a sconfiggere quel clima di costanti agguati e aggressioni.

Tirò un sospiro di sollievo quando scorse la sagoma sbiadita dell’uomo apparire in lontananza per imboccare coi suoi due cavalli il sentiero polveroso che portava fin su all’Abbazia.

 

***

Lo Scriptorium era il luogo più vicino a Dio dell’intero Monastero.

Joannes non si pentì di pensarlo, per lui quel luogo rappresentava il vero raccoglimento in se stessi, il vero abbraccio metafisico con il senso delle cose.

La scrittura dei testi antichi … ecco, era simile alla parola di Dio, si scioglieva come un balsamo sul bianco di una pergamena tracciando antiche verità, riportando non solo liturgie cristiane ma vie di conoscenza e di saggezza.

 

Joannes monaco copista, e come lui tutti gli altri abati, vivevano in solitudine assoluta coltivando il distacco materiale e l’uso parsimonioso della parola parlata.

Attraverso lo spiraglio di luce che pioveva da una finestra a losanga esaminò le pergamene, in perfette condizioni, di buona morbidezza, fina e vellutata, si sarebbero piegate con facilità, di color crema erano indiscutibilmente di pelle di pecora ben raschiata ed essicata. Il mercante aveva egregiamente onorato la commessa.

Il testo che stava per trascrivere era particolarmente importante. Importante per quei luoghi e per gli eventi narrati.  Un frammento di storia che andava ad incastonarsi nella più famosa conquista del Regno italiano dell’VIII secolo.

 

Joannes esaminò il testo originario, un codice carolingio proveniente dal Friuli scritto da un erudito monaco cristiano, storico, poeta longobardo di lingua latina vissuto 300 anni prima.

L’aveva letto e riletto con interesse. Avrebbe ricopiato parola per parola poiché  il testo stava irrimediabilmente sbiadendo in più parti.

Il momento tanto atteso lo riempì d’emozione, il momento di dar luce e colore alle parole, di consegnare ai posteri  il ricordo di una vittoria che aveva modificato i confini e i destini di tante popolazioni e territori.  

 

Dinanzi a lui, posati su un piano di legno lucidato, gli strumenti essenziali di lavoro.

Anzitutto lo stilo di canna rotto sulla punta in modo da formare il pennino, l’inchiostro nero a base di gomma, nerofumo e carbone, i vari corni contenenti le altre misture d’inchiostro, soprattutto il minio con l’ossido di piombo per il colore rosso, inoltre i due inchiostri metallici d’oro e d’argento,  il – rasorium – per le cancellazioni, e poi…e poi il silenzio, il profondo, accogliente e mistico silenzio dello Scriptorium che avrebbe accompagnato l’estro delle sue dita lungo il lento scandire delle ore.

 

I'amanuense intinse la punta nel gelatinoso inchiostro nero e prese a scrivere in un onciale latino dalle forme armoniose, percependo appena lo schicchiolìo scivoloso sulla pergamena ben tesa. La lentezza della scrittura avanzava insieme al trascorrere del tempo, calata in una specie di oblìo distante dalle cose materiali. Un percorso, un pellegrinaggio attraverso il defluire delle parole.

 

" … ed entrò Alboino in Italia nell’anno 568, con un seguito di ventimila fra uomini e donne, con il suo esercito di barbari fondandovi un regno che sarebbe resistito per oltre due secoli……." 

 

La luce che entrava dalla finestra era perfetta, Joannes lanciò uno sguardo sulla vallata sottostante immaginando quel tempo remoto, immaginando il grande re longobardo Liutprando, entrare col suo esercito in Monteveglio per espugnarlo, risalendo quelle stesse pendici montuose, così come aveva espugnato tutti i castelli sulla riva destra del Panaro e del Samoggia, ultimi baluardi a difesa dei territori confinari dell’Esarcato in mano ai bizantini, ed unificare l’Italia in un solo regno.

 

Accanto alle parole, le classiche miniature dipinte a tinte brillanti raffiguranti paesaggi, castelli in fiamme, torri, vessilli, guerrieri a cavallo dalla lunga barba armati di spada e bastoni. Avrebbe completato quel codice miniato ricopiando esattamente il manoscritto di Paolo Diacono, vissuto al tempo dell’ultimo re dei Longobardi, Desiderio, esaltando le gesta dei re barbari prima di essere soggiogati per sempre dai Franchi di Carlo Magno.

 

***

 

Nda: contesto

Durante il Medioevo, Monteveglio (Bo), insieme ad altri centri, faceva parte di un sistema di fortificazioni che, realizzatosi tra i corsi del Samoggia e del Panaro, avrebbe contribuito a trattenere i Longobardi al di là dei confini dell'Esarcato di Ravenna fino alla definitiva conquista di Liutprando del 727.

Paolo Diacono (720-799) fu un monaco cristiano, storico, poeta, longobardo di lingua latina. Scrisse la famosa “historia langobardorum” , la storia dei Longobardi e ne visse il crollo definitivo del regno per mano dei Franchi.  Dopo varie vicessitudini entrò alla corte di Carlo Magno ma poi abbandonò la corte carolingia e si fece monaco nel monastero di Montecassino, ove morì nel 799.

 

Livia 2024

 

 


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