Lei, nascosta dietro l’ombra dell’albero con un bambino tra le braccia, osserva il marito che divora avidamente una pizza, impregnata del suo stesso sudore.
Lui, annoiato, regge la testa stanca con una mano, mentre lei, esausta, scaccia mosche con un ventaglio strappato. Chissà se il vento di Grecale lo trapassa.
Lei, in piedi, fissa i topi da lontano mentre corrono verso l’ultimo rifugio, forse in cerca di aria condizionata. Lui corre tra i tavoli, con piatti ancora caldi ma privi di anima. E le cicale osservano in silenzio.
Loro, i bambini cattivi come le cicale, scalpitano senza meta tra sedie e tavoli, sbucciandosi le ginocchia. Loro, con i bicchieri rotti, versano sangue bianco per l’ennesimo compleanno non voluto.
Lui, con una sigaretta in bocca, cerca un angolo dove isolarsi dal vociare e dallo strepitio delle oche, o forse solo un posto per continuare a vivere in solitudine.
Lei continua a piangere, ridendo istericamente mentre scarta l’ultimo regalo, e le cicale cadono sui tavoli.
Lui spegne la sigaretta sul suo braccio. Lei non sente dolore, ne ha già provato troppo nella sua vita. Parla incessantemente con se stessa, aspettando lui mentre si annega nel vino bianco, pensando alle cicale come saranno se solo fossero ubriache.
Lui annaspa come una rana alla deriva, in cerca di donne affettuose.
Lei vive nel suo guscio, creato a sua immagine, e pensa che il mondo fuori non le appartenga, non ha mai visto il Natale. Le cicale cantano solo in estate.
Lui cammina con i piedi tra i vetri rotti, in un labirinto di ossessioni da raccontare… magari alle cicale.-
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