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La mantide religiosa

di Giuseppe lonatro
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Pubblicato il 17/07/2024 11:44:29

 

Tecla si svegliò.

Non sapeva dove si trovasse, aveva i polsi e le caviglie legate da una robusta corda, dentro il cassone di un furgone, immerso in una foresta.

Il buio e il silenzio la avvolgevano, creando un senso di smarrimento e paura. L'aria era piena di umidità e l'odore di terra bagnata riempiva le sue narici. In qualche modo, con una forza che non sapeva di possedere e che nasceva dalla disperazione, riusciva a liberarsi, a sciogliere i nodi che la imprigionavano. Con le mani tremanti e scorticate, riusciva ad aprire il portellone del furgone e scappava, inciampando sui propri passi, correndo disperatamente in mezzo agli alberi, in mezzo a quel buio insignificante.

Le foglie strepitavano sotto i suoi piedi, il cuore le martellava nel petto e ogni ombra sembrava un pericolo incombente. Dopo un tempo che le sembrava infinito, si fermava, ansimante, in mezzo alle ombre degli alberi. In quell'istante, tra il respiro affannoso e il fruscio delle foglie, notava delle minuscole luci che sembravano danzare in quell’oscurità. Non erano lucciole, sebbene si muovessero come loro. Tecla rimaneva immobile, affascinata e allo stesso tempo terrorizzata, osservando quelle luci misteriose che insieme alla luna, illuminavano la notte.

Tecla, presa da una strana euforia che non riusciva a controllare, cominciava a tendere le mani verso quelle luci. Ogni parte del suo corpo era attratta da quei bagliori, come se quelle luci contenessero qualcosa che le appartenesse. Con un sorriso quasi infantile, cercava di afferrarle, saltellando tra le ombre degli alberi come un folletto. Ma ogni volta che pensava di essere vicina a toccarle, le luci sfuggivano dalle sue dita.

Quell’entusiasmo involontario la trascinava sempre più in là, facendole dimenticare la paura e il dolore. Rideva, una risata che suonava estranea alle sue orecchie, quasi aliena nella sua disperazione. Le luci sembravano prendersi beffa di lei, allontanandosi e riavvicinandosi, in un gioco crudele e allo stesso tempo affascinante. Tecla continuava a inseguirle, finché, esausta, inciampava su una radice di larice sporgente e cadeva a terra. Tutto intorno a lei girava vorticosamente mentre cercava di rialzarsi, ma le forze la stavano abbandonando.

Si stendeva sul terreno umido, i suoi occhi ancora fissi sulle luci che continuavano a danzare sopra di lei, come se la osservassero. Il suo respiro si faceva lento e profondo, il battito del cuore rallentava. Stremata, sentiva le palpebre chiudersi, mentre una strana pace la pervadeva. In quella foresta sconosciuta, con quelle luci misteriose come unica compagnia, Tecla si addormentava, lasciandosi andare alla notte.

Tecla si risvegliava lentamente, avvolta da una sensazione di freddo e umidità. Apriva gli occhi con fatica, aspettandosi di vedere i primi raggi del sole filtrare tra gli alberi, ma la luce dell'alba non c'era. Intorno a lei, l'oscurità persisteva, come se quella notte non volesse cedere il passo al giorno, anche la luna stava al suo posto. Un senso di smarrimento la pervadeva, mentre si metteva seduta e cercava di orientarsi in quel buio così innaturale.

Il silenzio era opprimente, interrotto solo dal lieve fruscio delle foglie mosse dal vento. Tecla si alzava lentamente, i muscoli ancora indolenziti dalla notte precedente, e guardava intorno a sé con occhi pieni di apprensione. Nonostante l'oscurità, riusciva a distinguere vagamente le sagome degli alberi che la circondavano, ma tutto sembrava avvolto da una strana penombra che non apparteneva né alla notte né al giorno. Un tempo fermo.

Il cielo sopra di lei era di un grigio scuro uniforme, senza stelle né luna. Tecla sentiva il panico risalire, ma cercava di mantenere la calma. Doveva capire cosa stava accadendo e cosa gli era accaduto, soprattutto, come uscire da quella foresta.

Camminava lentamente, attenta a ogni suono, a ogni movimento intorno a lei. I suoi pensieri correvano veloci, cercando di mettere insieme i pezzi di quel mistero. Le luci della notte precedente erano scomparse e Tecla continuava a camminare, sperando di trovare un segno, una traccia che le indicasse la strada. Ogni passo era un atto di volontà, un tentativo di non cedere alla disperazione che minacciava di sopraffarla.

Mentre avanzava, l'oscurità sembrava farsi sempre più densa, quasi palpabile. Ma Tecla non si fermava. Doveva trovare una via d'uscita, doveva scoprire cosa stava accadendo. Ogni passo era un atto di sfida contro l'oscurità che la circondava. Ad un certo punto, tra gli alberi, notava di nuovo quelle piccole luci danzanti. Il loro bagliore era ipnotico, quasi confortante, in mezzo a quel buio incessante. Si avvicinava cautamente, il cuore che batteva forte nel petto.

Man mano che si avvicinava, una delle luci sembrava separarsi dalle altre, fluttuando verso di lei. In quell'istante, Tecla sussultava: in quella luce, distingueva il viso di un uomo che in passato aveva amato, Prusak. I suoi lineamenti erano chiari, illuminati da una luce impalpabile e surreale. I suoi occhi la guardavano con un'espressione di dolcezza e malinconia, risvegliando in Tecla ricordi che credeva di aver sepolto per sempre.

La loro storia riaffiorava nella sua mente con una vividezza dolorosa. Si erano incontrati in un periodo difficile della sua vita, e l'amore tra loro era stato intenso, travolgente e al contempo violento. I loro momenti felici erano stati brevi, interrotti da lunghe liti, gelosie e incomunicabilità, con intermezzi di serenità che duravano poco. Ma si amavano, di un amore tossico.

Prusak non ne poteva più, non sapeva come lasciarla al suo destino di “mantide religiosa”. Tutte le sue storie erano finite con la fuga disperata di uomini che erano finiti nei suoi artigli. Non sapeva come porre fine a quel supplizio, a quella tortura quotidiana, anche se provava per lei un’attrazione che non riusciva a spiegare.

La vista di Prusak in quella luce danzante la riempiva di emozioni contrastanti. Una parte di lei voleva fuggire, scappare da quei ricordi dolorosi. Ma un'altra parte, più forte, sentiva il bisogno di avvicinarsi, di comprendere cosa significasse quella visione. Si avvicinava lentamente, mentre allungava un dito verso il volto di Prusak.

"Prusak," sussurrava, sentendo le lacrime riempirle gli occhi. "Perché sei qui?"

La luce non rispondeva, ma sembrava avvolgerla. Tecla iniziava a piangere, di un pianto convulso e inarrestabile. Sentiva dentro di sé tutto il male che aveva fatto a quell’uomo, sentiva la disperazione che traspariva da quel volto e rivedeva il suo suicidio avvenuto anni prima. Lei era stata la causa della sua morte.

Prusak aveva sempre cercato di vedere il lato migliore di Tecla, convinto che dietro la sua apparente crudeltà si nascondesse una donna vulnerabile e ferita, ma era solo una donna sola. Col passare del tempo, le sue speranze si erano trasformate in delusione e disperazione. Le continue liti, le accuse ingiuste, le scene di gelosia avevano consumato la sua forza vitale. Ogni tentativo di riconciliazione si concludeva con nuovi conflitti, ogni gesto d'amore da parte di Prusak, veniva distorto e manipolato dalla donna che pensava di amare.

Una notte, dopo l'ennesima discussione violenta, Prusak si era ritirato nella sua solitudine, avvolto in un dolore insostenibile. La sua mente era un vortice di pensieri oscuri, il suo cuore un peso insopportabile. Aveva scritto una lettera, cercando di spiegare il suo gesto, ma le parole sembravano vuote, incapaci di esprimere la profondità di quella sofferenza. Si era tolto la vita sparandosi un colpo di pistola in bocca, convinto che solo così avrebbe trovato la pace che Tecla non poteva dargli.

Tecla, ora, comprendeva la portata del suo comportamento, la devastazione che aveva causato a quell’uomo. Le lacrime scendevano copiose, lavando via anni di dolore represso. La visione di Prusak, avvolto in quella luce, sembrava offrirle una possibilità di redenzione, un ultimo addio che le permettesse di andare avanti.

Con un ultimo sguardo a quel volto amato, Tecla sussurrava una richiesta di perdono. Poi, con il cuore pesante ma deciso, si voltava e continuava a camminare. L'oscurità intorno a lei sembrava meno opprimente, come se la luce di Prusak l'accompagnasse nel suo cammino. E in quel silenzio, tra le ombre degli alberi, Tecla trovava la forza di cercare la sua via d'uscita.

Camminava senza una meta precisa, i suoi passi guidati solo dalla speranza di trovare una fine al suo tormento. Il bosco sembrava interminabile, un labirinto di alberi e ombre che non offriva alcuna via d’uscita. Ogni tanto, la luce di Prusak appariva tra i rami, come una guida silenziosa che la spingeva avanti. Tecla sentiva il peso del passato gravare su di lei, ogni ricordo un colpo al cuore, ogni rimorso una catena invisibile.

Infine, giunse a un dirupo che dava sul mare. Il vento iniziava a soffiare forte, portando con sé il profumo salmastro delle onde che si infrangevano contro le rocce sottostanti. Tecla si fermava al bordo del precipizio, guardando giù verso l'acqua scura. Il cuore le batteva freneticamente, ma in quel tumulto trovava una strana calma, una pace che non aveva mai conosciuto.

Si voltava per un ultimo sguardo verso il volto luminoso di Prusak. I suoi occhi la fissavano con dolcezza, come a incoraggiarla. Non c'era giudizio in quello sguardo, solo comprensione e un silenzioso addio. Tecla sentiva il legame tra loro finalmente sciogliersi, come se il suo spirito fosse finalmente libero di andare oltre.

Con un profondo respiro, si preparava al suo ultimo atto di liberazione. Ogni passo che la avvicinava al bordo del precipizio era un atto di volontà, un abbandono definitivo al destino che aveva scelto. Sentiva le lacrime scorrere lungo il viso, ma non c'era più dolore, solo una risoluta determinazione di farla finita.

Corse, con una frenesia che sembrava alimentata da una forza sovrumana. Gli alberi si sfocavano intorno a lei, il suono del mare diventava sempre più forte. Con un urlo liberatorio, Tecla si lanciava dal precipizio.

L'aria le frustava il viso, il mare si avvicinava rapidamente. In quegli ultimi istanti, sentiva una leggerezza, come se tutti i suoi tormenti e le sue colpe fossero lavati via. Il volto di Prusak si dissolveva nella luce, e Tecla capiva che anche lui era finalmente libero da quella catena.

L'impatto con l'acqua era violento, ma Tecla non sentiva più dolore. La sua coscienza si spegneva lentamente, avvolta dal freddo abbraccio del mare. E così, in quel momento, trovava la pace che aveva cercato per così tanto tempo. La “lupa maledetta” era finalmente libera, e con lei, Prusak trovava la pace oltre i ricordi e il dolore di questa vita.-

 

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