tramonta d’angoscia
un’altra notte,
agli ultimi lembi di luce
m’aggrappo ma nulla
tra le dita mi resta e già
s’accendon le luci per strada.
Nessun passo ancora su per le scale,
dove sei?
Lenivo un tempo il dolore
con rosse bottiglie
che poi nere ghignavano
vuote dal tavolo
ed era mio il teschio che tra le dita
stringevo, interrogavo,
ma ghignando silenzio
non rispondeva.
Ne’ volean le stelle
che con luci sfavillanti
taceano se ebbro chiedevo loro
’chi Sono?’
Incombeva su di me cupo il cielo.
Poi Lei ha iniziato a cantare
e a dare voce al dolore,
a rendere normale vedere e sentire
sempre un passo oltre
quello che agli altri era dato capire
e scrittore di nulla e di tutto
m‘ha fatto: così
ho dato parole al mio canto.
A me si è mostrata una sera
nel cuore del suo giardino segreto;
seduta al centro di un chiostro rosato
un’arpa tra le mani teneva
e con dita di seta suonava
nella brezza leggera.
Occhi tagliati su labbra di rosa,
lunghi capelli neri ossidiana
a me sorrideva
la Musa vestale.
Da allora mai più
mi ha lasciato e ogni volta
che cala la sera
e melancolia sale
faccio di carta una vela
e con la penna timone
per creare un mondo
dove viaggiare,
con Lei come vento
Dell’immaginazione.
Rapsodia.
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