‘Non aprite’ quella porta sul mondo
Questa nuova opera di Maurizio Soldini è una di quelle che fanno bene alla poesia italiana, e che sono diventate rare. Il messaggio si concretizza negli aspetti ‘vani’ della realtà contemporanea, quella in cui siamo e che abbiamo modo di vivere, ma non per questo scende al loro livello – come invece alcuni credono, ingenuamente, che sia inevitabile. In ogni caso, Maurizio ha già variamente dato prova del suo impegno nel mettere in poesia la vita, e non le immagini distorte o ‘poetesche’ di essa, come testimoniano le sue opere precedenti: Frammenti di un corpo e di un’anima, In controluce, Uomo. Poemetto di bioetica. Ha pure dato prova di saper usare la poesia per scopi anche più ampi di quelli letterari, inserendola nelle sue lezioni universitarie di bioetica, per esempio. Così come ha saputo costruire intorno ai suoi discorsi poetici un coerente ambito di altre pubblicazioni, dalle monografie scientifiche agli editoriali su importanti quotidiani, che diffondono i temi che gli stanno a cuore.
Parliamo di La porta sul mondo, adesso. Potremmo dire che si tratta di un poemetto ‘metaironico’? Fa ironia sull’ironia, in quanto è già ironico dedicare la poesia a un centro commerciale (che dovrebbe esserne l’antitesi), e poi la poesia ironizza su se stessa, usando un linguaggio tragicamente serio. Allora, possiamo sommare ironia + ironia + tragico, e concludere = etico? Direi di sì. Il disincanto tragico e la disillusione ironica sono due aspetti di una visione etica del mondo, e l’atteggiamento metaironico assomiglia a quello tragico, quindi tutto si può rimescolare per definire il senso di questo viaggio nel ‘centro commerciale’ della vita.
Se il viaggio letterario classicamente inteso è sempre andato da un luogo geografico-coscienziale a un altro, tramite un percorso in grado di coinvolgere spostamenti, esperienze, incontri e meditazioni, qui c’è tutto:
XX
[…]
E dentro i bar le pizzerie i fast food
Le mense che profumano
Di Napoli e Giappone
Sono accozzaglie di persone
E file su file per ap-pagare
Il bisogno di rimpinzare
Il vuoto esistenziale.
Cosa cambia rispetto al canone più blasonato? Che il viaggio è da casa all’ipermercato, e che il luogo visitato è chiuso in 10-20 mila metri quadrati. È, dunque, un viaggio così poco nobile rispetto agli altri che la poesia ha finora acclamato? Direi di no. Il viaggio è perfettamente adeguato alla realtà che viviamo, in cui i viaggi di scoperta e riflessione si riducono ormai quasi solo a questi, non essendoci né tempo né soldi per altri. Ecco, quindi, con esemplarità quello che ci resta oggi non solo del viaggiare, ma anche del più comune passeggiare: un andare metaironico o, per chi lo preferisce, tragico.
IV
Canto chi non vorrebbe perder tempo
E nonostante si ritrovi
Nel gorgo che gorgoglia fino al mento
Pur tuttavia ci prova a ri-trovare il senso
Perfino dentro il centro commerciale.
Le menti attente e ironiche, come quella di Maurizio, sanno fare anche di questo genere ipotrofico di viaggio un’accettabile occasione per meditare, intuire e proporre agli altri alcune radicali riflessioni.
III
Canto l’eroe che nonostante tutto
Naviga in questo mare di vergogna
Canto chi cerca la sopravvivenza
Il tormento del post-moderno
La sopravvenienza dalla nebbia
E l’uscita dal foro del non-senso
Nell’augurio a se stessi e agli altri che non ci rimanga esclusivamente questo andirivieni, la poesia riesce a parlarci, ancora una volta, di noi e del nostro mondo:
IX
Ogni giorno comincia l’odissea
Che ci riporta ad epiche battaglie
A viaggi dove qualche maga Circe
È bell’e pronta ad accalappiarti
E tu dentro un prosciutto o macinato
Ti trovi bel salame o polifemo
[…]
Stiamo attenti, però, a quello che ci dice un autore che potrebbe andare molto più volentieri in mountain-bike per i boschi, o con polo e bermuda in barca a vela, o con gli scarponi tra la neve (cioè un autore che non si ferma qui, che saprebbe bene come diversificare e vivere altri diversi viaggi e viaggetti realizzabili nella realtà odierna):
I
Canto le stelle i cieli i mari
I boschi le montagne i laghi
[…]
Canto il poeta il santo il cavaliere
Le intere voluttà di una cultura.
Maurizio ci dice di un essere umano affardellato da quello che invece gli è propinato come alleggerimento, convinto a togliere l’ago alla propria bussola per adattarla a viaggiare in un luogo dove nord-ovest e sud-est sono la stessa cosa:
VII
Ricordi quei negozi sparpagliati
Uno a ponente l’altro a meridiana
Uno più a nord e l’altro a est o a ovest
Tra pioggia vento sole neve e ghiaccio
[…]
Si vive come passeri nati in gabbia, al sicuro dentro un luogo fatto per noi da ‘altri’, che hanno un vantaggio a tenerci là dentro, nutrirci e dominarci (e non è nemmeno una gabbia d’oro).
Il centro commerciale si rivela la metafora di un mondo controllato nel quale ci piace stare, dove il controllore non si vede e ci alletta con offerte prodigiose, che in alcuni casi ci tratta come se fossimo noi i padroni e lui l’umile servo. Eppure, fuori di metafora, stare là dentro serve ad arricchire il padrone di tutta l’organizzazione:
VIII
Adesso è tutto concentrato
In uno scatolone
Dove il tempo è scandito
Da quel televisore
Che annuncia le occasioni di giornata
E spinge l’avventore alla rinfusa
Ad acquistare questa segatura
Che fa da bagnasciuga al desiderio.
Allo stesso modo, sempre fuori di metafora, stare là dentro anche senza spendere serve comunque ai padroni di altre ampie ‘organizzazioni’: perché si sta buoni buoni, senza andare altrove a rompere le statistiche che ci rendono governabili. Non serve ‘indignarsi’, con questi generici ‘loro’ sconosciuti, senza riuscire a capire che dovremmo prendercela con noi stessi, che è nostra la colpa (consapevole o inconsapevole) di averli fatti arrivare ‘in alto’ e di tenerceli.
Tutte queste cose Maurizio le dice in modo armonioso e facile da sentire, con la sua poesia. Roba che potrebbe essere urlata in accesi comizi con parole ed esempi popolari e populisti, o dimostrata in seri convegni con equazioni di paroloni e sentenze, ma sono tutte maniere che – stringi stringi – annoiano. Nel poemetto, invece, siamo sempre tenuti vigili dalla sequenza delle parole, dalla rapidità dei versi, dalla colloquialità espressa nella semplicità e brevità di tutto il componimento. Il ritmo è scandito spesso da endecasillabi e settenari, con incursioni di novenari e di qualche quinario, e si perde raramente al punto di togliere scorrevolezza alla lettura. Un suono generale da opera in rima, che è però sempre dissimulato da assonanze o semplici somiglianze delle parole, molte delle quali appaiono attentamente valutate prima di essere inserite nell’insieme.
Questa è la poesia per Maurizio Soldini, e anche di questa si parla nel suo poemetto, vista come è oggigiorno. Sempre ‘salvezza’ dell’animo umano, sempre chiave del mondo, anche la poesia è in ogni caso inscaffalata e ordinata secondo la logica ‘padronale’ di tutto il resto (ammesso che si trovi lo scaffale).
XXIV
Ti trovi allora immerso nell’odore
Di una foresta che ti allieta il cuore
Di pagine inchiostrate
Sugli scaffali bene allineati
Dove comincia la caccia al tuo tesoro.
Stessa cosa per la musica, che può abbracciarsi alla poesia, ma sempre dentro la gabbia dell’ipermercato, dove pure le vie di fuga fanno parte del progetto complessivo:
XXVI
[…]
Ci amiamo lo sappiamo
E non smettiamo mai di dircelo
Anche dentro nel centro commerciale.
E alla fine sia Feltrinelli sia Arion o sia FNAC
Sempre e comunque ci ritroviamo qua.
Viene da chiudere con un paradosso (forse): la porta sul mondo del centro commerciale, non saranno le sue tante – e per fortuna obbligatorie – uscite di sicurezza?
XXVII
[…] E con la poesia
E la Musica tenti di essere più umano
Di certo stra-vagato di certo attorcigliato
Di certo assonnato e quindi corri corri
Tu corri a perdifiato per ri-tornare a itaca
Nella tua isola pensando già al domani…
Quando le useremo, tuttavia, queste uscite? Quando tutto sarà avvolto da un disastroso incendio? Quando uno ‘squilibrato’ si infilerà dentro portandosi appresso un borsone gonfio di artiglieria e comincerà a sventagliare su chiunque? Stiamo molto attenti, non è un caso che il secondo film di George Romero sugli zombi sia ambientato proprio in un centro commerciale: quando l’emergenza nell’ipermercato sarà l’invasione degli zombi, sarà inutile uscire su un mondo ormai cadavere.