Soccorso alpino
Pronti a partire, persino di notte.
E’ sera, verso l’imbrunire arriva l’allarme. Due escursionisti si son persi in alta quota a 2700 metri e fra poco farà notte. Notte diaccia perché è il 27 dicembre e la neve brilla gelida sotto la luna.
Sono pronti in un baleno quei ragazzi, 7 uomini del soccorso alpino.
Sono nati nelle valli, venuti su in piccole comunità dove tradizioni e amore per la montagna sono tutt’uno. Gente di poche parole, gente di montagna. Gente riservata che nell’apparente ruvidezza dei modi nasconde la generosità dei grandi gesti dell’uomo.
Tutti esperti rocciatori, guide e istruttori. Tutti animati dallo stesso spirito di solidarietà e si trovano lì, alla ricerca dei 2 escursionisti a tracciare una possibile mappa circoscritta che si perde lassù, sulle falde polverose della grande montagna.
Li portano in macchina fin dove possibile, gli aprono gli impianti di risalita perché dalla cima della vetta possano scendere nel buio con le lampade frontali e comincia una lenta discesa.
Sone le 19. È già buio.
Si tengono in coordinamento e in contatto radio con la base.
Scendono, solcando quella neve così bianca, così soffice.
Scendono nell’oscurità, lentamente, sembrano lucciole fuori tempo disperse a zig zag sulla falde scoscese di una montagna infida.
Il rischio valanghe è annunciato in scala 4 su 5, è altissimo ma continuano a scendere nel buio attorniati dal debole chiarore delle lampade. Concentrazione massima.
Rischio e speranza battono dentro quelle tute, cuori e anime, ognuna tesa verso il proprio destino.
C’è un silenzio strano, la notte non concede parole e non c’è tempo nemmeno più per quelle.
L’unico rumore è l’attrito degli sci sulla neve, uno scricchiolìo che dà fastidio al sonno solenne della montagna. Così che comincia a risvegliarsi e un costone di ghiaccio si stacca improvvisamente dall’alto.
Una gran massa di neve assonnata che rotola a valle, brontolando e imprecando. In pochi secondi è lì, alle spalle di quei 7 ragazzi.
Anche l’anima allora ha un arresto improvviso. Il cuore pompa paura, ognuno di essi è consapevole che la morte li sta per agguantare alle spalle. Forte, gelida, potente nella sua morsa. Il ruggito è assordante adesso, il tempo si spacca.
Uno di loro è solo lambito dalle dita graffianti della grande valanga, ma gli altri 6 scivolano giù verso il canalone come fuscelli portati dal vento dentro il pugno serrato di un’aria polverosa e accecante che li trascina per 400 metri nel vuoto.
Tutto diventa bianco, freddo, impalpabile e immoto.
E di nuovo il silenzio. Ancora più strano di prima.
E allora in quell'immobilità tramortita, senti la vita scivolare piano verso qualcosa che sa di involucro inaccessibile, senti il respiro andarsene fra quei granelli di ghiaccio che ti chiudono gli occhi pian piano, che ti soffocano mentre il cuore intrappolato grida silenzioso suo ultimo battito.
E’ così.
E’ così che si può morire in pochi secondi, all’ombra di qualcosa di più grande dell’uomo. E’ così che andò quel 27 dicembre del 2009.
nota
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Una narrazione del tutto personale di un fatto realmente accaduto, in Val di Fassa il 27 dicembre 2009.
Si sono persi due escursionisti sulle falde del Piz Boè (alta val di Fassa). L'allarme scatta alle 7 di sera. I ragazzi del soccorso alpino, con una corsa speciale della funivia, si fanno portare in quota alla ricerca dei dispersi. Tutti esperti professionisti, sono : Diego, Ervin, Alessandro, Luca, Fabio, Roberto e Martin.
Sono scesi al buio in un canalone verso la Val Lasties. Qui la tragedia. Una valanga a lastroni, staccandosi dalla montagna, ha trascinato a valle 6 dei 7 soccorritori e per 4 di loro, nulla da fare. Diego, Ervin,Alessandro e Luca perdono la vita, gli altri 3 si salvano.
L’incidente ai soccorritori è stato paradossalmente causato dal loro spirito di sacrificio, tutto teso a salvare la vita altrui, senza pensare alla propria.
Ho conosciuto questa triste storia (una come tante, causate dal qualunquismo di escursionisti della domenica che avrebbero dovuto interessarsi delle condizioni climatiche e di allerta prima di fare i loro irresponsabili "fuori pista") perchè al rifugio Boè sono esposte le loro foto e i loro nomi. Se avrete la possibilità di arrivare a questo rifugio, troverete solo il loro sorriso.
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(al papà di Diego Perhatoner, che ricordo in una serata culturale a Canazei, parlare con le lacrime agli occhi del suo piccolo Diego, di quando a solo 4/5 anni gli insegnava a stare in piedi sugli sci).
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