Come se a un tratto divenisse
patto d‘imitazione
il canto dello storno dà un Presto
e poi chiusura in un Rondò.
Uccelli noti? Note!
l’ordine dei passeri in fila sulle righe
coi becchi schiusi e il senso estetico.
Rubato, carpito da udito desto?
corpo imprendibile di sfinge
va in cifra al rebus per il neurone che sfavilla.
L’ombra persino
proietta mille briglie
-sbriglianti- da un altro mondo. Si allunga
il piede, curioso senza staccare
l’altro. E vola su per una stele
senza più stele: lemmi, e quanti,
benedetti. Formule e pennellate,
campiture a colli di bottiglie, a colli
di cavalli leggeri pegasi
libere nuvole
che il vento annette in traversate mistiche
spine di pioggia, tornano
radici in relativo caos.
Mozart per circa tre anni tenne uno storno domestico. Si dice che gli avesse insegnato una certa melodia. Inoltre, parti del Concerto per pianoforte n. 17, K. 453 in Sol, le ha scritte ascoltando l’uccello.
Poesia pubblicata nell'eBook n. 239 :: Arte e scienza: quale rapporto?, di Aa. Vv., LaRecherche.it
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