Ricordi quegli amori che hai vissuto, prima che il desiderio di spegnere la tua esistenza si facesse strada? Quei momenti sotto i tavoli, osservando minigonne troppo corte, ingenue evasioni che inghiottivano la fantasia.
Poi hai compreso che un uomo può piangere solo in silenzio, in attesa che tutto svanisca, che tutto si dissolva, oppure trovare la giusta occasione per diventare cattivo.
Ora la sera inizia, libera da inibizioni, priva di regole, senza controlli, unicamente in un orgasmo d’ebbrezza. Sei pronto.
Ricordi il muretto davanti alla porta di casa, la birra e la macchina da scrivere sulle ginocchia, e un vecchio vinile che girava stancamente, proprio come amanti giunti al termine della loro storia, alla fine della notte. Quei momenti sembravano eterni, eppure brevi, una nostalgia che riaffiora tra le pieghe che mormorano nella memoria.
Non hai mai trovato gratitudine né nell’odio né nell’amore né nell’amicizia. Ti sei mai chiesto se hai conosciuto davvero l’amore? Forse sì, forse no, ma alla fine erano solo pietre che rotolavano lungo il cammino.
Rammenti un tramonto vicino al mare, una pizza fredda al faro che illuminava un manto nero? Le sue storie poi, poco interessanti, erano solo parole scappate da una bocca troppo grande, un eco di vuote promesse.
In quei momenti, un grido nell’arcobaleno sfiorava campi infiniti di ortiche, e la vostra casa sembrava esplodere dentro il corpo di lei. Ma quello sparo era solo un solco in un buco nero, un corpo colmo di biografie frammentate, composto di tante donne che sono andate e tornate, a volte fasciate in coperte, altre come fiumi in piena, e la notte rincorreva il giorno; un ciclo infinito di emozioni contrastanti.
“Ma quanto mi sei stata vicina?” ti chiedi ancora, con mille fitte allo stomaco e alle ossa, il peso di giorni interi trascorsi tra capricci, poesie e fame.
Ora la notte è senza luna, forse è scivolata dall’altra parte del cuore, senza mai toccare terra, come una mano amputata, e tutt’attorno la guerra, un bicchiere di Negroni sbagliato e nessuna paura di tornare a casa.
Addossato tra la parete e il letto disfatto, senza chiederti il senso di tutto questo, come fanno le foglie secche di un’estate inoltrata alla ricerca di un tempo che la vita non ti ha dato. Le spighe nelle ginocchia provocano dolore, un dolore che conosci fin troppo bene.
Finalmente è giunta la sera, l’ultimo pasto, l’ultimo Natale di cartone, e aspettare che l’anima maturi dentro; voci, gesti, passi e quell’elemosina del caos che non arriva mai.-
2024 -
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