Pubblicato il 21/05/2024 21:25:04
ITALY
Fa freddo stamani. Nevica. I fiocchi scendono lievi. Si raccolgono sui rami, sull’erba, sulla ghiaia dei viali. Giovanni è chino davanti al focolare: con l’attizzatoio muove i ceppi per alimentare la fiamma e pensa che dovrà portare in casa più legna da ardere. Si siede sulla poltrona, assorto. È incurante della sua figura appesantita, dell’addome che sporge. Il solito cruccio l’ha preso fin dal risveglio. Ida. Perché se ne è andata? Non sarebbe stato meglio anche per lei vivere lì in quella casa grande? Tutti insieme, loro tre? Appoggia la testa grigia e un po’ arruffata allo schienale. C’è un silenzio d’ovatta tra le quattro mura della sala e lui ha voglia di piangere. Chiude gli occhi finché non sente qualcosa infilarsi tra le ginocchia piegate: è il muso di Gulì. Gulì che scodinzola al suo padrone, che capisce e non parla. Gulì è come un figlioletto buono. Ida, perché? Al matrimonio non era nemmeno andato. E come poteva presentarsi con l’animo sereno? Fiocca la neve anche dentro il nido. Quanti sacrifici per ricostruirlo, rimettere insieme ciò che era rimasto, dopo l’abbandono della casa avita, le sistemazioni precarie, le cambiali, le tristezze. E l’ombra della poesia sempre a seguirlo e prendere corpo e forma e scoprirgli l’ingegno, fargli concepire il nuovo con le letture e l’afflato. Guaisce Gulì e rivolge la testa verso la porta. Maria è sulla soglia: ha l’espressione concitata di chi deve comunicare qualcosa, un’aria buona intorno. -Giovanni, è arrivata la Ghita con Beppe! -Quando?! E la bambina? -Sono tornati ieri sera…tanta strada a piedi dopo il viaggio in nave...Molly era stanchissima in braccio allo zio. Scuote la testa avvilito Giovanni. -Ieri pioveva a dirotto. La bambina è malata! Povera gente. La nonna spesso non accende neppure il lume e neanche il fuoco. Bisogna farlo sapere al ministro a cosa sono ridotti i nostri emigranti e le famiglie che restano. -Giovanni, per carità! Hai detto che con la politica avevi chiuso. Lui sprigiona qualcosa di sciolto e puro in un abbandono che sa di stanchezza. -Maria, non si chiude mai. Almeno nell’animo. La chiama Maria e non come al solito. E già pensa ai ritornanti per l’erta, all’uscio rovinato, all’interno scuro, alle povere cose. Pensa di cantare la storia di una famiglia, uguale alla storia di tante altre famiglie, la storia di chi è costretto ad abbandonare il nido, attraversare il mare, patire o anche morire. Pensa di parlare delle macchine che fanno il lavoro più veloci degli uomini, ma tolgono il gusto dell’abitudine e del rito. E alla lingua diversa che fa sentire la morte nel cuore. Pensa al canto dei rapsodi, all’Italia serva, ai tre tavoli della sala, mentre gli rimbomba nell’orecchio il grido dei contadini, andati in quelle terre ignote per coltivare un campo, per costruire un nido.
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