Dopo il primo passaggio di stralunati
e un’altra scia di curiosi con l’espressione
del nibbio in un’isola gelida e spoglia
solo il mio corpo al centro
a terra sotto nuvole schiacciate
la fotografia come quelle del Faust
di Sokurov insensata e anamorfica.
La bocca che bacia il pavé
una carezza estrema e la palude che ottunde
la ragione. Ci pensavo dai tempi delle medie
a quanto può essere sinestetica e ampia
la stanza dell’annullamento,
da quando ci rincorrevano i cani
che nel contesto impersonavano il male.
E avrebbero perso.
Una metà del campo è nel buio,
l’altra mi sopravvive -come le mani di aceto
che mi lavano i fianchi
lasciando odore di armadi messi a nuovo.
Era amorevole il tempo delle madri
senza condizioni. E nessuno più.
Ora, è lecito che la finestra sia rimasta
a guardarmi senz’ali, mi chiedo.
Poteva concludersi vento e spettinare polveri
riempire il deserto di nuovi patti di linfa
intanto porre un limite di catenacci.
Ma è fatto. La soglia mi fa memoria d’altro
e sto bene nell’indeterminata bocca del silenzio
cadenza di novembre
dal corpo di una gemella sottile
dove rifugio la parte più bella di me
tirata per i polsi ma poco ostinata
a non venire.
In "Versante ripido" gennaio 2020
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