Giorno e notte, sulla Terra, l'ira è un moto
che affatica: al momento dato per lo scoppio
notte e giorno, finiscono per l'equivalersi
nello snervare. Alle volte, quando l'una
sembra trionfi sull'altro, in certi periodi
all'anno, che ci stai distratto alla finestra
e ti mangi le unghia, finisce che implori
lo spazio profondo. E come ha da esser buio
già che nel giorno ci affoghi d'ira o di noia
per quanto è breve ma intenso e lento
oppure a scatto e carpiato come un tuffo
ed ancora più teso ti fa in viso.
Sì che la notte abbia la meglio, speri:
non esiste ira, la pace è abisso
che non rimpalla altra luce
che quella di radiazioni fuggevoli
rilascianti sprazzi flebili. Sai che non tedia
il buio:
ci si sta infungati tra pareti di muffe
saprofiti d'ariose romanze al muschio;
funghi rifuggenti la solarità del giorno
chè ci scaverebbe fossa
in eterno e furibondo chiarore diurno.
E senza ombre, senza scuri
cosa saremmo mai
senza quell'oscurità quieta
regno dei crimini non detti?
Così: è nel muro del frettoloso giorno
ben lontano dall'equinozio
in pieno solstizio d'inverno
che ci farei un bel buco
a farne scaturire raggio
di sole nero che ne divori alba.
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