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Dopo il miracolo

Romanzo

Alessandro Zaccuri
Mondadori

Recensione di Maurizio Soldini
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Pubblicato il 06/04/2012 12:00:00

Siamo nel 1985 durante il pontificato di Giovanni Paolo II in un frangente socio-culturale nel quale si ha una rinnovata effervescenza religiosa e l’aumento delle vocazioni consente la riapertura nella tranquilla provincia italiana del seminario della Vrezza, rimasto chiuso fino allora per mancanza di studenti e di professori. Il romanzo, Dopo il miracolo di Alessandro Zaccuri, si apre proprio con il seminario della Vrezza, che sarà fino alla fine il bari-centro di tutta la narrazione. Alla Vrezza viene trovato impiccato al cancello il giovane Beniamino, dodicesimo figlio di Attilio Defanti, imprenditore, devoto alla Madonna e di una religiosità quasi esorbitante. La morte del giovane suicida lascia irretiti e non si riesce a comprendere il perché di questo estremo gesto, fintanto che l’ispettore Canova, che ha come unico indizio un bigliettino lasciato dal giovane, non riapre ufficiosamente un caso burocraticamente chiuso, e attraverso indagini condotte in proprio non arriva attraverso una serie di intrecci tra il comico e l’esilarante a far cadere i sospetti proprio sul padre e sulla sua integrità morale. Intrecci che con il procedere della narrazione mettono in evidenza l’innocenza morale di Attilio Defanti, il quale addirittura avrebbe agito per ottenere il bene di tutti. Ma questo bene alla fine si è rivoltato nel male e nel male più grande, quello della morte del figlio ultimogenito, soltanto perché come si suol collodianamente dire le bugie hanno le gambe corte. E quando, come in questo caso, non viene fuori la verità, le scaturigini della mancata comunicazione della verità favorisce la maldicenza e da questa l’incomprensione e la mistificazione che portano alla disperazione e alla morte del giovane. Emerge in tal caso un momento della complessità e della conflittualità del vivere e in questo caso del vivere anche religiosamente. Nel seminario c’è uno dei fratelli di Beniamino, Guido, che studia per diventare sacerdote. Guido, come tutti i componenti della famiglia, non si dà pace del fatto di non aver potuto evitare la morte del fratello più piccolo. Non si dà pace anche Fausto, “colpevole”, lui e non il padre, della travolgente e tutta sensuale relazione adolescenziale con Susanna, dalla quale nascerà Massimo, figlio del peccato, fatto nascere, protetto in qualche modo, ma tenuto fuori, nel segreto, da una vita familiare divenuta per tutti quasi normale, seppure all’ombra delle dicerie e delle voci e delle maldicenze di paese, che alla fine determinano l’esplosione del caso in tragedia. La tragicità dei vissuti esistenziali sono la cifra delle storie che girano intorno al seminario della Vrezza dove tra gli altri c’è don Alberto, professore di Teologia, che, trasferitosi dall’Università Lateranense, è quasi fuggito da Roma portando in seno il suo bel segreto. Un fatto davvero comico avvenuto poco prima del funerale di Beniamino fa sì che don Alberto finisca sul giornale. Maria Sole, da cui il professore in qualche modo è fuggito, ha così modo di rintracciarlo e insieme ai suoi accoliti mette tenda con la figlia Miriam proprio davanti al seminario.  La donna e la bambina sono legate a don Alberto e il fatto mette in subbuglio paese, Seminario e Diocesi. Don Alberto non vuole ricevere non vuole vedere si barrica. Il problema è che Maria Sole, sessantottina arrivata con un lungo percorso che l’ha portata per le strade del mondo fino ad abbracciare la fede, crede nei miracoli e don Alberto non crede nei miracoli. Il fatto è che la piccola Miriam un giorno è vittima di un bruttissimo incidente. Ha un trauma cranico e non dà segno di vitalità. Sembra morta, anche per gli infermieri dell’ambulanza che la stanno trasportando in ospedale. Ma inaspettatamente risponde alla benedizione di don Alberto, si rianima, prende nuovamente vitalità, respira, parla, come se niente fosse stato, quando non aveva risposto alle terapie del personale sanitario. Maria Sole grida al miracolo. È convinta del miracolo. Il suo rammarico e nello stesso tempo il raccapriccio è che un sacerdote non creda ai miracoli. Da lì una persecuzione nei confronti del sacerdote, che lascia l’accademia, dove tra l’altro aveva i suoi problemi per essere stato ai limiti dell’ortodossia, e si trasferisce nella sua diocesi per insegnare al seminario della Vrezza e per portare a termine nella tranquillità della provincia il suo controverso Trattato di Teologia. Anche in questo caso emerge la complessità dei vissuti esistenziali e al centro anche in questo caso vi è la morte. La morte che in un modo o nell’altro rimane un mistero, appesa come è ad un destino o ad una provvidenza che si compie comunque in un modo o nell’altro. La morte che arriva e che resta, la morte che arriva e che parte riconsegnando alla vita. Rimane il mistero. Rimane la fede. La fede che dona speranza. E qui si innesta il problema dei miracoli delle apparizioni… C’è chi per credere vuole dei segni e chi di questi segni non ha bisogno per credere. Purché non si cada nella superstizione. Purché a tutto si dia una valenza metafisica. Ma oggi parlare di metafisica non è cosa da poco… E poi nella comunità cristiana e cattolica non vi è univocità, nonostante l’unica voce del Magistero, e il romanzo di Alessandro Zaccuri ne dà uno spaccato della sua plurivocità in modo significativo. È stato detto che il romanzo è la sede privilegiata di quella concezione dialogica così cara a Bachtin nella quale ci troviamo davanti un mondo aperto e non fossilizzato, in continua trasformazione proprio attraverso la plurivocità. Ed è attraverso la plurivocità che Zaccuri attraverso congegni goldoniani fatti di un canovaccio avvincente di intrecci e di colpi di scena che rasentano la comicità e nello stesso tempo con una tragicità esistenziale di fondo tutta cattolicamente manzoniana, ma con in più tutta la leggerezza invocata da Italo Calvino, fa di quest’opera, Dopo il miracolo, un piacevolissimo romanzo, che apre a un mondo, il nostro mondo, con tutte le aporeticità di una umanità, che cerca, soprattutto nella fede, il senso di un’esistenza comunque degna di essere vissuta. Vissuta prima di tutto nell’armonia e nella comprensione reciproca che alla fine del romanzo sembra riconsegnino la bella provincia alla sua vita normale e alle vicissitudini  quotidiani di gioia e dolore.


 



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