Da ieri sera il Fauno (da ora Martin lo chiamerò così) è rimasto da noi a dormire. Stamattina dovevamo partire alla volta di Venezia.
Abbiamo optato per il treno, mi sembrava una buona occasione per un’avventura diversa, più economica e pulita dell’automobile. Così siamo andati ad Imola ed abbiamo preso il treno per Bologna. 4 bagagli e 2 zaini.
A Bologna abbiamo aspettato il treno “Italo” che avevamo prenotato dall’Azienda la sera prima. Nonostante i biglietti consecutivi eravamo in due carrozze diverse. Partiti.
Come sempre il treno ha il suo fascino perché ci sono sempre persone differenti e volti mai visti confusi nei propri personali pensieri.
A lato il paesaggio corre veloce mescolando colori e suoni al passare del tempo.
Tecnicamente potrebbe sembrare, spostando il punto di vista, che il treno sia fermo e la terra stia girando velocemente scorrendo sul quadro in movimento le cui cornici sono i profili dei finestrini.
Il Fauno era infilato dentro la realtà virtuale del tablet mentre io semplicemente cercavo dettagli difficili in ogni cosa che vedevo.
Venezia. Ore: Che cambia?
Un’ora e 20’ circa fa eravamo ad Imola.
Ieri, a quest’ora, ancora al lavoro.
Come folletti ubiqui ci eravamo spostati di 200 km sulla superficie terrestre.
Altro tempo, altro spazio, altro clima, altro orizzonte. Ancora, comunque, Italia.
E ancora, comunque, terra.
Venezia era uno spartiacque tra la terra ed il mare che avremmo di lì a poco attraversato.
Il Fauno era molto contento ed era scatenato come un gatto tra i topi.
Venezia resta una città che non mi piace ma che obiettivamente resta un capolavoro assoluto di architettura ed è, morfologicamente, forse la più straordinaria del mondo.
Ci siamo fermati in un ristorante per mangiare ma quando abbiamo letto il listino prezzi ci siamo alzati per andare in un bar dove i prezzi erano più normali. Va bene spendere i soldi ma darne il doppio per la stessa merce non va bene.
Verso le 14:00 abbiamo preso il “treno volante” per l’imbarco, il “People Mover”. Eravamo una bella carovana. Pronti per la vacanza.
La nave era veramente enorme e noi siamo saliti a bordo. Pronti per distruggere il passato prossimo e navigare verso il presente futuristico.
Il viaggio è iniziato, ore 18:30 circa. Vediamo la terra dal mare e vediamo anche che la vacanza è cominciata.
Dentro la nave il Fauno è impazzito.
Io anche un po' meno solo perché riuscivo a contenere un entusiasmo che era al limite del comprensibile.
La nave era come se fosse un palazzo perfetto.
Ascensori esterni a vista che si muovevano sopra e sotto in mezzo ad un tripudio di luci, colori, statue, architetture che non lasciavano spazio alla morale della mente.
Tu, in mezzo al mare, sei come dentro ad un albergo a 6 stelle. Impensabile il fatto che ti muovi di continuo mentre la tua vita scorre.
La presa di coscienza che il Fauno aveva avuto un sussulto al cuore importante è stato molto molto importante anche per me.
Ci siamo sistemati nelle cabine, due separate, ma vicine. Poi siamo andati alla scoperta della nave. Lunga circa 280 metri x 30 su 9 ponti.
C’era praticamente tutto, piscine, saune e tutto ciò che ti può venire in mente.
Già da lì si cominciava a respirare aria di estero visto che, anche se ancora in Italia, tutti parlavano inglese.
Alla sera siamo salpati alla volta di Trieste mentre mangiavamo. La sensazione di vedere Venezia dall’alto che si allontanava era piuttosto strana.
Martin era preso da tutte le cose che vedeva perché erano volutamente appariscenti. Tutte. Tranne il mare. Quello era lì sotto, maestoso e calmo, e dava il suo senso di profondo.
Poi la prima notte in nave.
Trieste, 06 Agosto 2016
Vacanze cominciate, per davvero.
La prima meraviglia è stata proprio quella di comprendere che eravamo in vacanza. Sul ponte della nave si poteva comprendere distintamente il disagio della bora che soffiava in maniera oltremodo fastidiosa. Siamo rimasti in nave.
Una sensazione particolare affiorava ogni volta che guardavi il mare. Alcune volte era fermo, alcune volte eri tu che ti muovevi.
Ma dentro, a bordo piscina, era come essere fermi. Potevamo essere in piscina ad Imola. La stessa cosa.
Nel frattempo però mi godevo il tempo che scorreva senza avere paletti radioattivi sulla strada. Lì veramente navigavo a vista. Ma stavolta ero in nave.
Trieste è passata come una meteora invisibile mentre il Fauno era completamente circondato da qualunque cosa. Nel senso che pareva di essere a Las Vegas ed era tutto talmente luccicante e calamitoso che non era possibile vivere senza stupore. Addirittura non pareva di essere in ferie ma in un film.
Ogni volta che qualcuno aveva sete capivo che qualcosa non funzionava. O meglio funzionavano le carte di credito.
Pareva di essere diventato il pozzo dei desideri.
Loro bravi a creare un circolo perfetto perché la carta te la forniscono direttamente loro.
È una carta di debito. Debitamente controllata!
Ero sveglio.
Spalato, Croazia, Domenica 07 Agosto 2016
Nulla cambia se navighi di notte. Dentro al ventre della nave è come essere nella pancia della balena di Pinocchio.
Non ha più importanza dove sei e purtroppo nemmeno come ci sei arrivato.
Mio figlio era lì, Aurora pure, anche se pareva non fosse il suo luogo migliore.
Forse non aveva un luogo “migliore”.
La presenza di mio figlio era per me qualcosa di vagamente terribile. Cioè… ero lì per lui? Ero lì con lui? Ero con mia moglie? Ero lì con Aurora? Ero lì?
Abbiamo continuato a non scendere a terra perché dentro c’era già un mondo sufficientemente appagante per tutti.
Comunque eravamo in un paese estero e per me era meraviglioso pensare che il Fauno era all’estero. Non in Italia.
Pensavo che per lui fosse qualcosa per cui sorridere. E non sbagliavo.
Il Fauno era di una felicità che non può essere spiegata se non vista. La sua luminosità era così forte da non ammettere alcuna replica.
Ora tu pensa a cosa stavo pensando io in quel momento. Perché tu c’eri ed io anche. Ricordi? Forse no. O forse sì, Fauno. Perché non avrai mai modo di capire il flusso del tempo, soprattutto se il tempo ti porta via il tempo di capire che cosa sta succedendo.
La nave continuava ad andare mentre noi mangiavamo manicaretti e tu la solita Coca-Cola.
Arriviamo a Kotor. E a Kotor scendiamo.
Ancora un altro Stato, ancora un altro Paese su cui stavamo mettendo i piedi e li facevo mettere al Fauno. Come sempre, quasi come un’ossessione che mi accompagna dall’America, non solo voglio le foto dei cartelli del luogo in cui sono, ma li cerco per fissare un momento in un preciso luogo della Terra. Dunque foto alla dogana del porto sotto la bandiera rossa del Montenegro. Il poco tempo non dava prospettive alle fantasie ma era un buon metro per comprendere che nessuno dei minuti che si stavano vivendo andava perduto.
Intorno a noi le montagne ispide mi davano l’impressione di un territorio ostile alla quotidianità del ceto medio.
Pareva davvero che dove eravamo sbarcati fosse come Rimini ma dietro non c’era la Pianura Padana. Obiettivamente nella striscia del porto e nella cittadina circondata dalle mura si potevano vedere tante persone di etnìa diversa ma non il Montenegro. Non quello vero.
Come pensare che Taormina sia la Sicilia ed Enna no. Eppure lì, mentre bevevamo una birra locale, una Coca-Cola e pagavamo un conto veramente basso si stava bene e Martin piccolo continuava a farmi sentire fiero di averlo portato con noi, e comunque in una piccola avventura. Mia moglie era per me perennemente assente. Nel senso che provo un disagio innaturale di non poter condividere con lei neppure le notti, mentre durante il giorno eravamo e dovevamo essere genitori responsabili. Mentre dondolavamo tra il corso principale e le bancarelle ci siamo imbattuti in un chioschetto che vendeva pannocchie appena cotte. Un po' come a Bologna 20 anni fa le castagne (caldarroste) sotto i portici.
Il Fauno è impazzito e abbiamo comprato una pannocchia. Era veramente buona e Martin ha detto che non aveva mai mangiato una cosa così buona. “Qui sì che le sanno fare…”
Sorridevo… da noi non le facciamo più!
Un vero peccato. Segno dei tempi in progressivo sviluppo che rischiano di sviluppare solo meravigliose foto di tempi andati. Poi alla sera, dopo un ulteriore delirio di inutile lusso estremo, che pure confondeva la realtà, siamo andati a letto con mio figlio che mi si avvinghiava addosso e ripeteva, tra il serio e il faceto: “KOTOR KOTOR KOTOR”.
Quasi una conquista. Era felice.
Katakolon, Grecia, 09 Agosto 2016 Martedì.
Siamo in Grecia. Ancora un altro Stato.
Ormai noi non ormeggiamo più sulla barca e, pur non facendoci fuorviare dalle sirene delle escursioni, ci arrangiavamo a piedi per vedere posti nuovi.
Olympia. Prendiamo un autobus dopo aver trattato il prezzo e andiamo verso i resti di Olympia. Forse il viaggio è stata la cosa più divertente: l’autista era da ricovero TSO.
Poi per vedere le rovine ci chiedevano 12 euro a testa e per un’ora era veramente troppo.
Il vincolo degli orari di salpaggio della nave ci hanno consigliato di andare a vedere il sito da una piccola altura, costeggiando la strada.
Ma il bello era già lì: camminare con gli zaini e non essere sempre nei soliti posti. E il Fauno non mostrava nessun segno di cedimento fisico che noi grandi pensiamo. Alcune volte crediamo di essere più forti di loro e, peggio, che non possano sostenere i tuoi ritmi. Ci sbagliamo. Non nel pensiero. Nel modo.
Tornati sulla nave il luccichìo del mare ha lasciato il posto all’opaco turbinìo sfavillante del progresso moderno.
Lì dentro c’era veramente tutto ciò che non serve ma che fa credere all’essere umano di essere un Re. Basta che paghi.
E poi a letto, con Martin che mi si arriccia addosso come un pangolino ed io che, pur provando un male assurdo alla schiena, non vedo l’ora che questo succeda.
Il braccio intorno al collo e poi tutto il Fauno sopra la schiena. Infine… Morfeo.
Corfù, Grecia, 10 Agosto 2016 Mercoledì
Avventura, ancora. Fuori dalla nave di Pinocchio. Fuori dal ventre pieno di meraviglie effimere. Andiamo a vedere cosa c’è fuori.
Così ci inerpichiamo per strade orizzontali e piane. Non passa molto che troviamo un SPA strana in mezzo al Mediterraneo. Tra centinaia di negozi e vendite di ogni bene inutile vedo la cosa più assurda che mai avessi visto. Un luogo dove i pesci ti puliscono i piedi. Guardo dentro e penso a quello che si possa provare. E non ci penso neppure un minuto sul fatto che bisognava provare. Tratto il prezzo. Cattivo.
Nel senso che l’alternativa è il NULLA: Trovo un modo di avere vantaggio e chiudo l’accordo.
Aurora, Martin, Fede si fanno “mangiare” i piedi dai pesciolini. ½ prezzo.
Praticamente si mettono i piedi dentro ad una vasca piena di pesciolini e loro arrivano a mangiare le impurità che sono intorno. Io sono andato via, a circa 10 metri, in un piccolo ristorante di fronte, con davanti a me un ulivo che urlava al cielo la testimonianza della gloria di un tempo di quei luoghi. Avrebbero dovuto durare circa 20 minuti, ma la seduta è durata oltre un’ora.
I pesci che mangiavano i piedi sono tutt’oggi qualcosa che non si dimentica.
Questo è stata per noi Corfù.
Io, nell’attesa, ho chiesto un po' di vino del Peloponneso, bianco, e aspettavo. Erano tutti felici, una sensazione straordinaria. Il Fauno mi ha detto: “Babbo, e tu? “La prossima volta”, ho risposto. Sereno. Loro stavano bene. Fantastico.
Questo è stato per me Corfù.
E non è assolutamente poco.
Dubrovnik, Croazia, 11Agosto 2016 Giovedì
Il tempo non prometteva nulla di buono ma non si stava affatto male. E forse non avrebbe piovuto. Eravamo in Dalmazia, regione della Croazia. “Necesse est” visitare la città. Andiamo. Mia moglie, bellissima, coi capelli di una tonalità più scura del rame ma comunque rossa è con noi. Entriamo nella città fortificata e a me pare di entrare nel medioevo.
Indiscutibilmente bellissima e volutamente possente. Le mura intorno parevano essere baluardi che non potevano essere sfondati e che davano un senso di sicurezza estremo. Il ciottolato invece non ha niente da invidiare alla pavimentazione di San Pietro.
Come tutte le città turistiche eravamo di fronte a flotte di turisti e visitatori di ogni parte del globo. Il Fauno pareva un passerotto che zampettava senza alcun pensiero mentre sua fanta-sorella sembrava stesse scontando una pena ergastolana. Non è mai stata con noi, era sempre dentro al telefonino.
Poi, al centro di un crocevia c’era un gruppo di persone, un piccolo assembramento. C’erano due donne con dei pappagalli multicolori. Volevo fotografarli ma, ovviamente, chiedevano soldi. Così Martin si è convinto che voleva la foto con i pappagalli addosso e per 1 euro gli sono stati messi addosso i pennuti multicolore che erano più grandi di lui.
Ricordi strepitosi di sguardi meno timorosi di ciò che non si pensasse prima.
Abbiamo continuato a girovagare per questa città impossibile da invadere con forze di terra fino a quando non c’era più niente da vedere. Fuori dalle mura teoricamente saremmo dovuti rientrare dal medioevo al presente e invece forse si era regrediti al giurassico. Oserei dire che non vi fosse una dicotomia, ma una tricotomia.
Sulla nave era come essere sull’Enterprise di Star Trek, a Dubrovnik si poteva probabilmente posteggiare con i cavalieri templari e magari difendersi con spade e balestre, fuori dalle mura era un presente talmente medievale da non avere un’idea di futuro immediato. Ai miei occhi. Si vagava felicemente quasi per inerzia.
Il viaggio stava finendo e me ne rendevo conto molto bene. Da lì a poco avremmo dovuto ricordare un ricordo.
Qualcosa che stavamo scrivendo in quei singoli, precisi, continui attimi di vita che ogni secondo successivo divenivano scoloriti.
Non c’era tempo perché si salpava alle 13 alla volta di Venezia. Mi tornava in mente già un passato prossimo sul molo di Trieste, dove ci avevano proposto di mangiare uno squalo.
“Tutta la vita” mi mangio lo squalo, portalo!
Poi però ci hanno detto che non era buono perché del giorno prima e così mi hanno distrutto un sogno che avevo già pensato sarebbe stata una cartolina da portare con me e mio figlio per sempre. Niente squalo.
Ci hanno mangiato loro, gli squali di terra, quelli che hanno non la spada laser, ma gli strisciatori di carte di credito di plastica.
Così siamo rientrati nell’astronave e ci siamo goduti il rientro a Venezia mangiando come dei porcelli mai sazi. Probabilmente se il Fauno avesse assorbito tutto quello che ha mangiato lo avrei riportato da sua madre il doppio di quando lo avevo preso.
Venezia, Italia, 12 Agosto 2016 Domenica
La fine dell’inizio, l’inizio della fine.
Ora era importante il ritorno a casa.
Gli zaini erano pieni di ricordi, quasi come fossero forzieri di pietre preziose da tirare fuori al momento opportuno. E con il treno abbiamo tagliato il Veneto e ci siamo infilzati a Bologna per poi fiondarci verso Imola. Tutto finito. Tutto compiuto. Quasi come se non fossimo mai partiti.
Adesso io però avevo in mente un’altra cosa importante: volevo anche io il tempo egoista per me e mia moglie.
Ora sarebbe toccato a noi.
©Martin Palmadessa - 2016
Bio-bibliografia Martin
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