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Raccolta di testi in prosa di Martin Palmadessa
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Un tempo gli esseri umani erano un’unità intera sia femminile che maschile, erano a forma di uovo, avevano 4 braccia, 4 gambe, una testa e due volti. Vollero sfidare gli Dei e se stessi alla ricerca di qualcosa che mancava pur non potendo mancare nella loro interezza, mentre gli Dei erano interi pur essendo ammezzati rispetto a loro.
Così iniziarono a scalare il monte Olimpo, per arrivare a comprendere e capire se l’interezza fosse poi così intera e perché mai questi Dei fossero perfetti pur essendo la metà dell’intero che però per tutti rappresentava un concetto divino e assoluto di perfezione. Gli Dei non avevano tanta voglia di stare lì a spiegare come funzionasse tutta la giostra e men che meno potevano svelare il fatto che nell’Olimpo ci fosse un vero e proprio bordello, nascosto dalle nuvole e che nessuno poteva vedere né dunque capire. Come spiegargli la meraviglia dell’Amore assoluto, eterno, immutabile che avevano donato agli esseri umani negandogli però l’immortalità fisica che loro avevano? Come spiegare il perché di tutta questa divina benevolenza a questi esseri di fatto completi?
La decisione fu presa all’unanimità, a decorrenza immediata ed irreversibile.
Tutti gli esseri umani-uovo vennero divisi a metà, non prima di avergli spostato i genitali nella parte esterna del corpo. Da quel momento ogni essere avrebbe avuto un’esistenza dimezzata, sempre mortale, ma più simile alle caratteristiche degli stessi Dei.
Il ritorno fu più drammatico del previsto, la consapevolezza si fece ogni giorno più pressante e dirompente, iniziarono a prendere forma i colori, i profumi color sabbia e fuoco, i drammi delle mancanze fredde come cascate di incertezze e perenni necessità. Alla stregua di viandanti con una nuova verità in tasca che avrebbero voluto rendere, e croci di legno strozzate in gola perché nessuno voleva far domande a risposte che non voleva sentire, ogni singolo essere si sentì improvvisamente solo in mezzo a un miliardo di gente.
Vi era chi si metteva ad argomentare con gli alberi che davano solo risposte fruscianti, chi si fermava davanti a torrenti in cui immergeva le mani per raffrescarsi il volto subendo gli schiaffoni di riflesso da quell’acqua corrente in cui ora era limpido e cristallino che non ci si poteva più bagnare due volte, e ci fu anche chi solo in quel momento prese coscienza di come stavano le cose per davvero e come gli Dei avessero liberato tutti da una interminabile “perfezione” delle linee dritte come encefalogrammi ormai piatti.
Il cuore cominciava a battere di rosso e all’improvviso, come se fosse rimasto per terra troppo a lungo e come se non ci fosse mai stato. Fu indicibile rendersi conto di essere stati liberati dalla galera della convinzione che considerare la “comfort-zone” come pantano o sabbie mobili fosse una litote più che un eufemismo.
Ora si era soli, ciascuno solo, e l’unica cosa che aveva una ragione ed un senso profondissimo in questo cammino di ritorno era cercare la metà mancante, dispersa in chissà quale luogo della Terra.
Il cammino era però minato dal Tempo e dunque gli esseri iniziarono a riflettere che si dovesse fare anche la rivoluzione piuttosto che spolverare le lapidi pur di trovare, a costo di creare infarti a sé stessi e agli altri, quello che li avrebbe completati di nuovo e resi felici, pur in quel poco tempo che gli sarebbe rimasto da vivere.
Ad oggi è ancora così e il cammino di andata e di ritorno sono esattamente la stessa cosa, con la piccola differenza che quello che prima era una ricerca della ragione delle cose ora è divenuta la certezza che l’interezza la si raggiunge solo nel momento in cui la nostra vita non è più un’esistenza dimezzata. A quel punto il crinale del Tempo deve piegarsi ad un orizzonte che non è più senza una meta.
©Martin Palmadessa – 07.07.2023
(Testo ancora inedito)
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ZITTO, ASCOLTA I VIVI SILENTI.
Devi usare le pupille per ascoltare il mondo.
Toccare con lo sguardo i profumi
del tempo che passa.
Prendi quel treno indaco
che ti porta sulle nebulose inquiete
e distendi le mani
sui pensieri più profondi che hai.
Osa l’Impossibile con la tua biro blu
per lanciare arpioni
e sconfiggere la Morte terrena.
Arriveranno miliardi di petali di rosa
e tu nuoterai tra i fiori.
ZITTO, ASCOLTA I VIVI MORENTI.
Muori per loro. Regalagli un sorriso, una poesia, un soffio di vita colorata.
Dai fuoco al sole delle intenzioni.
Sei un lanciafiamme di Amore senza tempo e
devi condividere.
Spruzza parole
generosamente e violentemente importanti
su chi ha abbandonato
la nave della vita
ma è ancora sulle onde.
ZITTO, ASCOLTA I VIVI.
Devi ascoltarli tutti: ciascuno.
Piantati nelle loro Anime e strappagli il cuore.
Tra le tue mani devi poi strizzarlo
come un limone rosso-sangue
e rappresentare
il loro dolore ed il loro miele granuloso
che è ciò che lo fa continuare a battere.
Con GRAZIA, fallo con grazia, per Dio.
Potresti uccidere.
È una responsabilità che devi (DEVI) prendere. Sei come un medico.
Ippocrate può spiegartelo molto meglio di me.
ZITTO, ASCOLTA E BASTA.
Tutto, devi sentire tutto. Devi ascoltare tutto.
Ogni piccola particella che sposta l’aria.
E devi “sentire” anche quelle silenti e silenziose, che non la spostano, DOTTORE.
Tocca a te ogni istante, lascerai impronte importanti: devi fare la biografia di ogni vita.
Morirai per questo
perché non potrai mai farlo,
non di ciascuna.
ZITTO.
Ora tocca ancora a te, tanto per cambiare.
Ma non puoi parlare.
Sei un guerriero senza spada.
Ti hanno anche tolto la biro,
forse non servi più ad un cazzo di niente.
Ascolta e basta.
E senti tutto: fruscii di pettirossi
e tamburi di Anime in subbuglio
come pentole in ebollizione sui fornelli.
Non puoi parlare.
Crepitìo del caminetto acceso,
cuori che bruciano
ed urlano.
Non puoi parlare.
Sedie che si spostano velocemente
verso il posto più nascosto che c’è.
E tu non sai dove è il punto
in cui ci si ferma ad aspettare.
Muto.
Implodi nel cuore e nell’Anima
ma stai molto calmo,
devi stare molto calmo,
diversamente daresti fuoco a tutto.
Sorridi incazzato come una sequoia
ma resti in silenzio. Un silenzio vulcanico.
Devi stare zitto. Fa male. Ma lo fai.
ORA PUOI PARLARE.
Ridatemi la mia biro blu, per Dio, devo scrivere.
Che devo fermare il Tempo,
almeno sulla carta.
©Martin Palmadessa -18 Gennaio 2020 – Ore 18:26 - Sabato
Da; "Tanta roba di me" Aletti Editore, 29 Febbraio 2021
*
Vedeva ormai le cose attorno
come fantasmi verticali
supino sempre
guardando una stellina lontana.
Amava il silenzio buio
della luce della luna.
Per mano i ricordi
come cuccioli eterni
germogli di marmo rosso
taglienti rose del deserto
mai sbocciate.
Dannatissima feroce mancanza
in quel sorriso lieve
mai di circostanza.
Il tempo più non esisteva
bloccato da profumi persistenti
di un Amore perduto per sempre.
Profondo blu scorreva sotto
al ponte di pietra del cuore.
Guardò giù, sorrise piano.
Con la mano a catturar le stelle
precipitò supino, orizzontale, felice.
"Vengo a prenderti"
© Martin Palmadessa 28.11.2020
*Poeta insignito del Titolo di
“LODEVOLE AUTORE DI PROSA SINTETICA”
XVII Concorso Internazionale di Poesia
“Massa Città fiabesca–M’illumino scrivendo”
per l’Opera di Prosa Sintetica in 100 parole
“STO TORNANDO”.
(Massa Carrara, 03 Agosto 2023),
Edito in "Gocce di sangue blu sotto al ciliegio viste dalla balaustra del mio giardino", Edizioni Ssetteponti, 26 Novembre 2021.
*
Confuso. Felice. Oltre la divina e umana considerazione del proprio e dell’altrui essere.
Schiacciato da una moltitudine di stravaganti e colorate meraviglie, da arcobaleni neri e traslucidi, da verdi e vellutate proiezioni di vite sempre nuove e differenti, da girandole di emozioni cercate per caso e trovate per scelta.
Improbabile la vita, oltre la considerazione spietata ed apparentemente sobria di una percezione voluta, di una emozione indicibile e bruta, violenta e pacifica, inarrestabile e terminale.
Mai, come oggi, il tempo, orologio della mia vita terrena, aveva osato scavalcare paletti così saldi da risultare addirittura instabili, quasi a dimostrarsi porte su orizzonti possibili ed impensabili.
Io ero lì, determinato come un bambino di fronte a giochi nuovi, invitanti, curiosi, coloratamente gommosi, teneri.
Stavo tra il paradiso e il pavimento, tra la possibilità di fare e quella di non scrivere il futuro più prossimo, che avrebbe potuto condizionare il futuro più lontano.Calore, vita, emozione vera, urlo viola ruvido ma dolce, come uno zuccherino donato a qualcuno che non lo può mangiare, non lo può vivere, non lo può gustare.
La vita. Tristemente felice, sconvolgentemente lineare nelle sue forme poliedriche.
Ho amato, per davvero, se così si può dire.
Se il davvero significa per sempre e mai più; se vuole dire prendere senza condizioni, se significa dare senza richieste.
Finisce qui, e ricomincia esattamente dallo stesso punto ogni sacrosanta volta.
Infatti da quel momento in poi la passione non ha mai più atteso, sfidando qualunque cosa accadesse o potesse accadere. Ed abbiamo iniziato a lasciare le nostre tracce nel buio, nei luoghi che ho definito come i luoghi dei vampiri mortali, come ci fosse, per noi, una luminosa, rossa, eterna eclissi di sole.
Esistono luoghi così profondi che paiono quadri persi nella memoria.
Ci sono posti in cui puoi andare solo con il ricordo o la fantasia, ed ogni volta è un terremoto che ti solleva la pelle in miliardi di curvature rosa.
Sono posti caldi, come una chiesetta di campagna mentre fuori viene giù così tanta acqua che pare di stare in mezzo al mare. Delle emozioni però.
Ancora, ci sono tane seminascoste dagli alberi in cui puoi sentirti come in una grotta del paleolitico e protetto, mentre la luna normalmente ti accende i sensi e fa luce. Sono quei posti che non vedrai mai di giorno perché l’ombra ne cambierebbe la prospettiva mentre la notte culla i colori tenui ma che a te paiono rossi come un incendio.
Luoghi dove i sensi funzionano tutti insieme e i sospiri si mescolano alla musica.
Sei diventato un vampiro, assetato di Amore e baci che ti trapassano come una pallottola d’argento ogni volta. E ogni volta muori, e risorgi, e rimuori. Ti fa un male animale, come se fossi ogni volta morso da un lupo mannaro.
Ma non puoi farne più a meno. Sei diventato un notturno.
Esistono specchi d’acqua, laghetti, anche loro notturni, dove la superficie riflette la luce delle stelle e pare un pavimento di marmo nero, un’autostrada nel cuore che ti inquieta.
I pesci dormono e su quella panchina, trafitto dalla luce lattiginosa del lampione piantato proprio lì a fianco, c’è ancora il tuo fantasma sdraiato, vestito con un giubbottino leggero, che osserva la luna ed attende un bacio. Milioni di baci.
La notte è un’altra dimensione, l’estate è infinita e senza vento, il caldo è perfetto.
Ti muovi come un gatto nero mescolandoti alla notte, un cercatore di carezze, un maledetto autolesionista perdutamente illuso di essere immortale.
Conosci tutti i posti, ne senti il profumo, mescoli emozioni vissute con nuove bombe alla vaniglia che lasceranno ancora sete, e ancora, e ancora.
Ci sono luoghi speciali, rovine piene di edera in mezzo alle campagne che sembrano alcove verdi che hanno una vita propria.
La notte ti protegge e ti ruba l’Anima e tu continui a bruciare dentro come un fienile in fiamme, come un bacio rubato sotto un acquedotto.
E ancora, nelle notti nebbiose sei nascosto due volte e se c’è la luna piena ti pare di nuotare nel latte.
Pari un fantasma di passaggio, una fiammella di palude, ti pare di stare a San Pietroburgo lungo i canali scuri. Ma ci stai bene perché tu non sei come gli altri e ti ritrovi a confondere il viso che hai vicino con le sagome scure degli alberi lontani.
Ci sono luoghi e momenti eterni che solo i vampiri possono condividere, trasformando le lacrime che colano, perché anche loro piangono, in perle piene di quella tristezza lieve che possono far risorgere le persone. Di certo uccidono e fanno risorgere, ogni volta, la potenza delle emozioni.
Posti feroci, ai bordi di un canale nero e lento che vedi scorrere come il sangue nelle tue vene e in silenzio mentre sfiori e accarezzi e senti cose che non puoi sentire né toccare con il sole.
Boschetti senza lupi, perché al vederti scappano via e tu giochi ad abbracciare una farfalla che non potrai mai avere. Attraversi il corpo con gli abbracci, come se potessi entrarci direttamente per accarezzare il respiro del cuore.
È una dannazione senza ritorno, un gioco al massacro dei sensi che vorresti bloccare ma non lo puoi fare. La notte la annusi come un orso, senti il profumo dello scorrere del tempo e i respiri indimenticabili del cielo, sospiri rosa e di velluto.
La notte la senti da lontano come un cerbiatto, potresti vedere ogni forma di vita in un battere di ciglia mentre ti manca il pavimento dal cuore solo osservando il cielo da sdraiato per terra tenendo per mano un diamante.
Sei un dannato che torna sui suoi passi felini per ritornare al punto di partenza, quando volendo sfidare i poteri ed i richiami della Notte, come fosse una scommessa, sei stato investito da una luce caldissima che ti ha perforato di traverso, ti ha bendato gli occhi e ti sei ritrovato per terra.
E lì hai perso l’Anima. Per sempre.
Era il 14 Luglio di un anno ormai passato.
Ma tu sei ancora lì.
©Martin Palmadessa
* 1° Classificato Assoluto
II Premio Nazionale di narrativa inedita
"NOTTE NOIR II"
(Catania, 03 Giugno 2023)
** Menzione di Merito, testo in Antologia
IV Premio Internazionale
“FEDOR DOSTOEVSKIJ”
Sezione Narraiva Inedita a
“L’ABBRACCIO DELLA NOTTE”
(Roma, 20 Ottobre 2023).
*
Pensavo al fatto che si dica sempre che bisogna unire le forze per produrre di più, che da soli non si va lontano, mentre in due si produce per tre e ci si fa forza a vicenda. Dunque si fanno riunioni di cervelli, si creano team che fanno brainstorming per arrivare al concetto che “l’unione fa la forza”. Per protestare bisogna essere in tanti, in più si è e più sembra avere potenza. Si dovrebbe ottenere più ascolto. In teoria.
A meno che non si voglia fare la rivoluzione armata o la guerra, i numeri contano, a parità di armi. Eppure Dario è capitolato di fronte ad Alessandro con un esercito triplo del suo.
Ora mi viene in mente il buon Einstein.
Che mi lascia di stucco con la sua Teoria.
Sembra quasi dire l’opposto: dividersi per moltiplicare la potenza. E Santo Dio la reazione a catena derivata dalla divisione e non dall’unione la conosciamo tutti.
L’accelerazione che provoca il disgregarsi a catena fa impallidire il sole.
Forse allora si deve giocare con le parole.
Unire un team di ricercatori o un gruppo di persone con competenze specifiche differenti certamente porta a raggiungere un risultato preciso. Se tutti avessero le stesse competenze sarebbe meglio farli lavorare divisi. Ci sarebbero molte e diverse visioni di strade di come arrivare all’obiettivo.
Ora l’esempio calza perfettamente, secondo me, su una potenza ancora più folgorante della bomba atomica: l’Amore.
Su di Lui è stato scritto di tutto fin dai Babilonesi. Come fosse la più straordinaria magnificenza buona e potente dell’universo. Dolce, tenero, colorato, felice, ispiratore di carezze e passioni, poemi... e guerre.
Ora il paradosso è sempre lì.
L’Amore è il più spietato sterminatore di coscienze, pilastri, destini e certezze come niente altro. Per Amore si mente, si uccide, ci si stravolge la vita, ci si suicida, si fanno cose sconsiderate, si sovvertono poteri accertati, si fanno le rivoluzioni.
Ogni Amore, per nascere, deve prima dividere qualcosa di precedente.
La crudeltà di quel sentimento non ha paragoni, non ti guarda in faccia, si nutre di ciò che aveva creato prima in una continua reazione a catena che non ha fine.
Ognuno di quei ricercatori del team ne ha avuto almeno uno di Amori, forse di più, eppure non si mettono a cercare insieme cosa è e che obiettivo ha. Non c’è l’obiettivo. Non si condivide niente di ciò che ritieni tuo, no. Lo condividi con la compagna. Punto, fine della reazione a catena.
La potenza si limita a due Esseri.
Ma poi, all’improvviso, un’equazione improvvisa e sbagliata ti fa rifare i calcoli.
E, per quanto tu sia preparato in specificità tue, non ti servono a niente.
Sei fottuto. E cercherai il modo di risolvere quel “problema” che però come risultato ti darà sempre un otto rovesciato o “impossibile”.
Oh sì, certo che lo troverai il modo, ma dovrai minare tutto il resto. E se la fusione è iniziata non tornerai indietro.
È iniziata la scissione e moltiplicazione degli atomi, e la cosa drammatica è che vanno tutti nella stessa direzione. Divisi ma nella stessa direzione.
Sarà che Albert avesse ragione... divisi per moltiplicare la potenza. E=MC2.
Se non è un cazzo di paradosso questo.
Ma guarda la tua vita e quella di chiunque e vedi se non ha ragione lui.
©Martin Palmadessa - 10 Febbraio 2020
* 4° Classificato e Menzione d' Onore
I Concorso
"IL GRANDE SORPASSO", Sezione Giornalismo.
(Montesilvano, Pescara, 22 Aprile 2023),
LIBRI DI MARTIN
- Tanta roba di me
(Silloge poetica, Aletti Editore, 26 Febbraio 2021)
https://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Articolo&Id=3266
- L'Amore è una guerra
https://www.larecherche.it/testo.asp?Id=3290&Tabella=Articolo
(Silloge poetica, Edizioni Setteponti, 26 Novembre 2021)
- Il Successo
(Saggio di Economia Motivazionale, Edizioni Setteponti, 26 Agosto 2021)
https://www.larecherche.it/testo.asp?Id=3276&Tabella=Articolo
- Gocce di sangue blu sotto al ciliegio viste dalla balaustra del mio giardino
(Silloge poetica, Edizioni Setteponti, 26 Novembre 2021)
- Tsunami
(Silloge poetica, Edizioni Setteponti, 26 Maggio 2022)
- La Teoria delle lucertole
(Saggio di filosofia, Edizioni Setteponti, 26 Febbraio 2023)
https://www.larecherche.it/testo.asp?Id=3283&Tabella=Articolo
Aggiornamento dettagli principali:
Imola, 22 Febbraio 2024
*
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L'Arte del dire troppo non è cosa da tutti.
E quello di scrivere ancora meno.
Ci vuole del gran talento e pure smisurato.
Ma senti che cazzo dici?
Ma hai letto quello che scrivi?
Ogni parola lasciata in eredità traccia solchi profondi, difficili
da colmare.
È una responsabilità, spesso sottovalutata.
Non ci sarà mai nulla di paragonabile, divina saetta nel cuore.
Invano.
Tutto inutile, se non l'avere reso irrecuperabile un tocco.
Si lasciano cadaveri di anime
perdute nuvole di vite mai vissute per davvero
sul percorso del tempo.
Tutto con una consapevolezza viscerale.
Ma a chi riguarda?
A chi davvero sa e tace.
Tace il non essere cosa buona e giusta, ma resta...
e di grazia plena.
Aborto.
Vite perse, uccise, per dare l'alito di un respiro ad altre
che pure interessano il giusto.
Soffrire per non far soffrire
si soffre comunque
si soffre e basta.
Ma soffrendo forse si darebbe un senso a tutta questa ipocrisia.
E allora soffriamo dai.
Già, per dare un motivo a ciò che non ne ha.
Un titolo, un senso di colpa o il dovere, valgono
più di un sentimento vero
più della verità di una carezza
della consapevolezza
di sé stessi.
Stai lì.... forse è davvero il tuo posto.
Chi può tenere al guinzaglio un'Anima irrequieta?
Chi riesce a bendare la sua passione
senza preoccuparsi nemmeno per un attimo
che ce ne possa essere abbastanza
da poterla condividere al mondo.
No, nessuno può accedere.
La meraviglia è che non può funzionare
per sempre.
Ci si dovrà fare i conti.
Arriva tranquillo, arriva per tutti.
È come voler fermare una reazione a catena...impossibile.
Non si ha più voglia di vedere la felicità altrui
se prima non è stato appagato il proprio ego.
Si continua a fare i soprammobili ...
IO vivo e decido IO dove stare.
Il rischio non è per tutti.
La confort-zone è pantano.
Chi si accontenta muore.
E allora muori.
Accontentati.
Bravo predicatore e mediocre razzolatore.
Coerente però, almeno una volta.
Insulto vero. Vita fasulla.
Vivila allora questa farsa e auto insultati senza fine.
Anzi la fine l'hai tracciata tu.
Questa volta…
Non c'è niente di più viscido dell'omertà.
©Martin Palmadessa
(Da "L'AMORE E' UNA GUERRA", Maggio 2021, Edizioni Setteponti)
*
Sì ma prima
donami due giorni del tuo tempo,
solo due, o magari 3.
Vorrei che mi spiegassi dove NON sono
e cosa ci faccio lì.
Sono in giardino ora.
Questo vento sta davvero rompendo gli equilibri,
ed anche un po’ i coglioni.
Mi fa piangere gli occhi.
Vederlo, il mio tempo,
condividerlo con rabbia passionale
per guardare un foglio vuoto che si riempie di vuoti
nei miei occhi.
Vedermi gettare l’Anima su un luogo che non parla,
osservare i miei silenzi eterni e sguardi fissi
per secondi velocissimi.
Per poi imbrattare una tela con spruzzi di una forza che non ho.
Davvero vuoi questo?
Davvero vuoi vivere questo mio tempo
perennemente in sofferenza?
Passeresti da fontane infinite di gioie a impietosi
nuclei di solitudine.
Sorrisi sì, sempre. I tuoi.
Cacciatore di Anime che trapassano lo spazio, come Vampiro fermo che ti guarda gli occhi e cattura le tue parole
attraverso i movimenti del tuo volto. Questo vuoi?
Sentire il dolore e la gioia della gente,
e la stupidità che accompagna chi non sa amare
ma lo pretende?
Farti scoglio per prendere ceffoni dal mare inquieto e in tempesta di coloro che non vivono, ma passano e basta?
È difficile altalena, senza colore ma con MILLE anime dentro.
Non è più la tua vita, è una galassia di stelle,
tutte più grandi di te.
E loro sono il Sole, tu sei la faccia scura della Luna.
E gli dai la vita eterna su un foglio.
Intanto stai perdendo la tua, che nessuno scrive per te.
Davvero è questo che vuoi?
Davvero?
Io sono in due. Metà è blu.
Opera presente nella Sillege "TANTA ROBA DI ME"
(Aletti Editore, Febbraio 2020)
*
Mi salta in faccia la polvere
della Festa dell’Unità.
Cammino in mezzo ad occhi altissimi
ed io sono piccolo, al confronto.
Ho in mano quello per cui sono venuto qui.
Lo zucchero filato rosa e una liquirizia.
Sfilano persone abbracciate,
e tutte col sorriso della domenica,
col sorriso di che cosa ancora non capisco.
A me scappa la pipì e non mi viene da ridere.
Torno da mamma e papà.
Stanno bevendo un bicchiere di acqua
con un limone dentro e tanto ghiaccio.
Forse lo zucchero filato era finito.
Si alza la mia Mamma e mi prende la mano
ma io non voglio lasciare il mio bastone
di zucchero.
Forse non ho più la pipì. Invece sì.
Allora lo divoro.
C’è ancora polvere e ho anche un sassolino
dentro la scarpa che mi dà fastidio.
Vedo gente che si sposta, che si muove,
che si tiene le mani.
Non riesco a vederli in viso, sono troppo alti.
Il sole mi dà fastidio.
Chissà che tipo di giochi fanno insieme.
E chissà se gli piace lo zucchero rosa
o quello bianco.
Beh, a me piace quello rosa.
Vado a fare la pipì.
Ma dopo torno!!!
©Martin Palmadessa - 13.05.2020
Tratto da "Tanta roba di me"
*
Si scrive così, a biro. Così. Punto.
Ho riletto ciò che ho scritto da poco e mentre ascolto la canzone di Jovanotti & Company (che credo abbia rubato alla colonna sonora de “Gli Aristogatti” della Disney) mi spavento.
Occhio, non è paura, è spavento.
Quello che leggo mi sorprende e mi fa felice
ma anche un po' burrosamente triste.
Non ricordo quegli attimi
seppure ci metta tutto quello che mi porto
nello zaino viola dei ricordi.
Rileggo. Lo hai scritto tu? -mi chiedo-
È buono. È bello. Penso mentre prendo coscienza della realtà.
Il cielo ora è ancora greve.
Ha però smesso di buttare giù quelle lacrime pungenti
e ammantellanti.
Il vento ha ripiegato nel suo buio senza fine
ed il cielo attende un nuovo squasso
per dannare i vivi sulla terra
(e per bagnare le tombe dei morti che già si è portato via tra un librare fantabuono di respiro (il respiro))
Tutto tace ed ora niente ha parvenze rosa e turchesi
di vita propria.
Passano sulla strada orgasmi meccanici di automobili
non costruite dal Vento
ma da davanzali di futuri sopra le nuvole.
“Scrivi per noi”, mi hanno chiesto più volte.
Non so se sono in grado di farlo.
Forse sono miope.
MA PER DIO ora ci proverò.
Rischio di credere di creare un sorriso, una speranza.
*
Sono ancora attaccato al calore di un giorno difficile
che stempera i giorni difficili.
Momento sospeso tra i futuri di femmine che stanno crescendo
e uomini che stanno imboccando momenti di gloria perduta
e meraviglie riconquistate.
Biro in mano. Blu. Rigorosamente.
Dà più calore del nero di scelte più o meno sbagliate.
Tiro fuori le unghie più che le intenzioni
e so che la tua arrendevolezza è feroce. LETALE.
Come le lacrime che arriveranno. Arrivano.
Le mie in segreto come un’aquila.
Ma piovono dolori colorati di fragole e panna.
Ancora ci si sfiora.
Dolore tra le labbra, gli occhi ed il quadrante impietoso dell’orologio.
... Attendo ... sfodero tutto l’Amore che ho
con ancora sulle labbra un futuro pazzesco
e sfilo la mia biro blu.
Non ho da scrivere, uso un fazzoletto.
Torni. 4 occhi. Meraviglioso.
La biro ha finito il suo lavoro.
Lynn ha avuto il suo bacio.
A te non posso più darlo... ma TI HO BACIATA DI BLU.
Su un fazzoletto c’è un Universo.
©Martin Palmadessa 20.02.2020
*
Piovono petali sui miei pensieri, bianchi e tanti.
Mi si riempie il tavolino e così alzo gli occhi e vengo trafitto da una spada di raggio di sole che sfonda i rami del ciliegio in fiore sopra di me, a fianco a me.
Come una magia, come fossi fuori dal tempo in una triste favola di un forzato isolamento.
E la Primavera esplode ed il vento di sud-ovest schiaffeggia con garbo tiepido gli alberi, fuori dall’ isolamento degli Uomini.
E loro si abbandonano.
Così petali morbidi nevicano giù dal ciliegio, come una benedizione pasquale su di me.
Una coriandolata di piume di Angeli bianchi che sorridono e nevicano meraviglie su di noi.
La Natura rinasce sempre e parla con i mezzi che ha.
Dunque è ora di tornare ad alzare la testa al cielo.
“Alzatevi Uomini, è l’ora della RESURREZIONE”.
Buona Pasqua
©Martin Palmadessa - 12 Aprile 2020