Cosa saremmo in grado di fare se fosse un raggio di oscurità ad illuminarci?
La verità è che l’oscurità ci mina dall’interno. È come un cancro. Non lo sai fino a quando non si manifesta in superficie, in qualche modo. A volte, quando viene fuori, è ormai troppo tardi.
Forse anche l’amore è un cancro.
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- Dei miei mai compiuti amori…
dei miei mai compiuti amor… mai… mai… miei…
Lo ripeteva ogni volta lungo la strada, mentre ammazzava il tempo avanti e indietro, per la via principale.
Non aveva un orario definito, potevi inciamparci al mattino presto ma, in genere, preferiva la tarda sera. Aveva il passo un po’ dinoccolato e quando arrivava in piazza la gente lo indicava come se fosse arrivata la maggiore attrazione del lunapark.
Nelle sere d’estate c’era sempre qualcuno al paese che non sapeva chi fosse quel tipo molto stravagante che andava in giro vestito da pistolero del farwest.
Enrico lo riconoscevi dal cappello scuro da cowboy e dai lunghi capelli raccolti in una coda. In molti giuravano di avergli visto degli speroni agli stivali. Di sicuro il suo impermeabile non passava inosservato ed anche nelle sere più afose lui non mostrava la benché minima sofferenza ad un capo che, sicuramente, gli si appiccicava addosso.
Chi lo conosceva da parecchio diceva di lui che un tempo fosse stato persino bello e, a guardarlo bene, doveva esserci del vero in questo. Qualcuno ricordava che avesse vissuto a Roma per un periodo. Sicuramente, per motivi di studio, la famiglia aveva favorito la sua iscrizione in una prestigiosa Università della capitale ma poi, subentrando altri tipi di problemi, il padre aveva preferito allontanarlo per un po’.
La malattia lo aveva reso, ormai, osceno nei tratti del volto, ma nessuno sapeva quale fosse la sua malattia.
- T’hai cangiat’‘a capa stasera, Enri’? - lo sbeffeggiava qualcuno, e lui: - Scusa un attimo, ho il cell che suona, … pronto, Enrico sono! EH! … non sento… ahahahah! Che hai detto, maledetto? C’ho ‘na tacca, …nu me fa’ ‘ncazza'! … Nun te sentooo…aho, è matto questo!
Spegneva il telefonino, o meglio il pacchetto di Merit blu che spacciava per iPhone davanti a tutti e proseguiva senza dar seguito agli sberleffi che gli giungevano dalle sponde della strada.
- Eeeh, nun facitelo arraggiare che vi spara a tutti, ahahahah! -, gridava qualcuno dalle gradinate del Municipio.
Ricordo una sera, tornavo a casa da sola, me lo ritrovai davanti svoltando l’angolo. Spesso alcuni randagi del paese lo seguivano.
Ebbi un sussulto.
Forse sbiancai, mentre una lunga fila di formiche sembrò percorrermi, in quell’istante, la colonna vertebrale.
Lui avvertì il mio spavento:
- Signora bella di Milano buonasera!
Mi sembra che abbia visto un fantasma!
Sarò pazzo ma non pericoloso, quello no!
Sapeva che non ero del paese e lesse la mia meraviglia:
- Che c’è? Sei sorpresa?
Enrico sa di tutti… le mie orecchie hanno tante storie da raccontare, di chi va e resta e di chi torna saltuariamente in questa terra che non è più di nessuno.
Anche la lingua è cambiata! Chi resta è randagio tra i randagi. Ci si capisce così, almeno, non crede?
Sembrava diverso, si offrì di accompagnarmi lungo la via.
- Sei in una botte di ferro con me, Signo’!
E chi si avvicina con me?
Non riuscii a trattenere la risata.
Lui mi guardò e fermò il nostro passo afferrandomi il polso. I suoi occhi erano più presenti.
- Bella! … era bella lei, …anche io lo ero ma lei…! E quando rideva le luccicavano i denti, come una fila di perle di fiume e il mio cuore si tramutava.
Mi scriveva lettere d’amore…
Una la tengo qui, nel taschino del gilè, sotto l’impermeabile nero.
Aprì l’impermeabile e me la mostrò.
- I binari delle nostre vite si erano intrecciati. Oooh, saremmo deragliati ben bene io e la mia Lena! Cosa darei per rivederla!
Cosa farebbe il mio cuore nel trovarci vicini?
Potrei scivolarle tra le braccia, mi stringerebbe?
Ogni sua ruga sarebbe mia e la mia carezza cancellerebbe dalla sua fronte il tempo passato!
Il denaro, …quello me l’ha portata via! Lena…
Chiuse gli occhi e rimase così.
Ero immobile, non volevo rovinare la poesia di quel momento con interventi maldestri. Un nodo alla gola mi soffocava il respiro. Un artiglio mi teneva strette le viscere.
Non ebbi il coraggio di aprire quella lettera.
Già mi aveva aperto il suo cuore.
Come avrei potuto trafiggerlo profanando ciò che per lui era sacro?
Gliela porsi.
La ripose nel taschino.
- Dolce pulzella, sei arrivata a destinazione. Io vado, … ce se becca!
Già stava cambiando eppure, per un attimo, dietro i suoi occhi lucidi, io avevo visto l’uomo, disarmato e sconfitto.
Quel vento secco d’estate aveva asciugato quelle iridi di un profondo verde in fretta, come asciuga addosso l'acqua marina, trasformando il sale in merletti.
Ed era proprio il sale che si era rappreso tra le sue ciglia.
È lì che restano imbrigliati gli amori mai compiuti.
- Aaah, gli amori mai compiuti sono sale tra le ciglia, … dei miei mai compiuti amori…mai…mai miei, …pronto! A matto! …è caduta la linea, aspé’!
Era tornato l’Enrico di sempre.
Svoltò l’angolo, dopo la discesa.
Il vento si era leggermente rinforzato e smuoveva le fronde, con dolce violenza.
I rami sembravano braccia, lunghe e spaventose.
Poco più in là, la luce fioca di un lampione proiettava l’ombra delle foglie di un ulivo. Si componeva uno strano disegno sull’asfalto, somigliante ad una graticola e che importanza può avere se si riconduca una tale immagine a dei carboni ardenti o a fredde sbarre di cella.
Senza Lena era stato comunque un lento morire in quegli anni.
- Aaah, bastardi! Vigliacchi, anche gli agguati mi tendete…piun, piun …tutti vi accoppo…fuoco! … FUOCO!
Poi prese a scendere, lo sguardo intorbidito dalle sue nebbie interiori.
In paese si diceva che nascondesse nella fondina una pistola vera. Scarica, ma vera.
Il latrato di un cane se lo portò via.
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