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L’imprevedibile

di Teresa Cassani
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Pubblicato il 16/10/2023 17:53:17

L’IMPREVEDIBILE

-È inutile fare polemiche. Dobbiamo essere onesti: il Ventennio ha dato alle nostre città un assetto urbanistico più ordinato, ha armonizzato gli edifici tra loro. Ed è evidente la cura per i dettagli, l’accuratezza a tratti maniacale. Il senso civico era l’obiettivo dell’epoca e si è tramandato fino ai giorni nostri-
Il mio ex collega sta esponendo gli aspetti del Razionalismo a una folta schiera di signore e signori, età media sessantacinque anni, raccolti in una accogliente saletta di palazzo Falk, a cui mi sono aggiunta anch’io.
Lo apprezzo molto per la sua chiarezza comunicativa e capacità di sintesi. Soprattutto per la passione che evidenzia.
Presentata da lui la Casa del Fascio di Como, opera di Terragni, assume le caratteristiche di una costruzione armoniosa nella sua essenzialità. Se dovessi descriverla io con i miei parametri personali, la definirei senz’altro fredda, spettrale e priva di qualsiasi fascino. Niente a che vedere con il Neoclassicismo lombardo: l’uso sapiente di decorazioni, di archi e di stucchi ha più anima, appaga l’occhio e il cuore. Tuttavia, al momento sono molto più interessata all’edilizia popolare, curiosità nata e approfondita grazie al recente viaggio a Vienna; perciò, sono ben contenta quando l’architetto mio ex collega, membro del FAI, ci propone una visita alle case popolari di Pescarenico.
Dopo una breve conferenza a palazzo Falk, alcuni di noi formano un piccolo drappello, perché molti hanno rinunciato data la giornata piovigginosa, e marciamo lungo le vie della città. Siamo diretti alla località che a tutti ricorda il convento di Fra Cristoforo, sempre pronti a fermarci per osservare una lapide incastonata nel gneiss a indicare il toponimo originario, o i muri in serizzo memoria storica.
Descritti dall’architetto, ogni pietra, ogni piccolo elemento diventano di importanza assoluta.
A me piace sentirlo esporre. Lo conosco piuttosto bene. È una persona aperta e piena di energie, affabile e spontanea. È anche un public relation man con una rete infinita di amicizie e conoscenze.
Gli ho scritto alcune volte per chiedergli consigli su come ripartire gli spazi del mio appartamento o per lamentare certe iniziative di risistemazione di aree pubbliche.
Devo dire che accanto alla sua singolare brillantezza espressiva convive in lui un tratto irascibile, un po’ ostinato e intollerante che, talvolta, mi fa pensare, ma nel quale, in fondo, mi riconosco.
In definitiva, anche lo stimato architetto ha, come tutti i comuni mortali, le sue luci e le sue ombre.
Ma in questo giorno, nell’illustrare la bellezza e l’irripetibilità dei lasciti del passato, appare la persona in tutto il suo fulgido e potente fascino.
Dopo aver superato piazza Era, dopo aver gettato lo sguardo verso l’Adda, ci troviamo davanti a palazzo Bigoni. La facciata alta ci viene incontro nella sua maestosità. Gettiamo il capo all'indietro per cogliere l’elemento decorativo della sommità.
L’architetto inizia a spiegare, parla di Mino Fiocchi ma, improvvisamente, viene colpito da qualcosa. Lui porta una mano alla guancia destra.
Sotto un alberello bivaccano tre giovani stranieri di origine medio orientale. Uno si è alzato in piedi e, da un sacchetto prende qualcosa, sembra popcorn, per gettarlo addosso alla nostra guida.
-Professore fascista di m…! Professore fascista di m…! - grida.
Siamo meravigliati. Non capiamo.
Quello continua. Si avventa.
Gli si para davanti uno del gruppo.
-Stai calmo! Stai calmo! – gli dicono.
Un altro dei tre appostati sotto l’albero si avvicina al compagno che inveisce, gli afferra il braccio per trascinarlo via.
Finalmente l’aggressore si convince e dopo aver rovesciato un bidone della spazzatura, che fa un gran fragore, volta le spalle e se ne va.
Il mio collega ha cambiato espressione.
Noi siamo allibiti. Ci chiediamo il perché.

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