Kreutzing, vita impronunciabile e cognome ostile, ci entra in scena in un impermeabile giallo limone, sotto un arcobaleno fuori posto.
Sapevamo che usciva, rare volte appena piovuto, per andare a lumache nell’erba alta con l’ombrello.
A quel tempo ci sentivamo come i respingenti dei treni, lasciati fuori e investiti da tutto. Portavamo addosso una colla bastarda, che mordeva le sventure ma non prendeva sul pulito.
Gli si fa sotto Lorenzo, il capo, solita tattica. Silenzio: “Sei sordo?”.
Kreutzing stringe le labbra e si scrolla una foglia dal basco. Ha le scarpe nere con i lacci stretti e un po’ di lato, come vengono ai vecchi. Mette un broncio infantile, poi un sibilo frusta l’aria, un rumore di frutta spiaccicata. Di nuovo silenzio, nessuno si muove. Lorenzo si piega in avanti, sboccia tra le sue dita un sangue color amarena. Il gesto è fulmineo, l’ombrello praticamente non si è mosso.
Lorenzo fissa a lungo le ciglia imperlate di Kreutzing, l’impermeabile, il broncio muto e l’ombrello, poi si lecca dalle labbra il sangue misto a lacrime e si incammina verso il profilo dei caseggiati grigiastri.
Una gobba sul naso starà a ricordargli, da allora, il giorno di pioggia in cui Kreutzing gli aveva insegnato.
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