siamo macchine senza più revisione lanciate al massacro
e balziamo troppo allegri a bordo, con le gomme che stanno già per scoppiare
al volante si alternano nani senza mani che nemmeno tentano
di arrampicarsi su spalle più solide
in putrefazione d’urto scricchiolano le porte
dai cardini secchi e seminano retroguardie
in crosta di smalto sulla terra arida, che il contadino è stufo di possedere
la zappa prende ruggine nella teca di una latrina e l’aratro
è incastrato nella mente piatta di un professore
i sedili rosicchiati dai topi continuano il loro sporco mestiere
con le molle che sfidano culi d’acciaio, attracco
a sdrucite strisce di gommapiuma, come pesci d’aprile
il cambio lasco, in folle perenne, lascia che il carico
proceda a rilento in mezzo all’ombra d’ulivi lebbrosi
e si scende verso il mare del sud, trascinando il rumore
di latta a graffiare quel che rimane di asfalto, a zittire
il frinire molle di timballi, tra le ultime foglie bruciate dal sole
come in viaggio di nozze con la sposa puttana
in grembo un bastardo che non sa dov’è meglio piazzare
e lo sposo coglione, con un crisantemo nell’asola
rosso vermiglio, rubato al cimitero dei sogni
dalla bocca di un poeta vigliacco
si sobbalza in buche riparate alla buona
con cadaveri di coscienze corrotte e la notte
è a un passo dal ciglio e si tiene lontana soffiando
aliti di peste sulla cenere spenta
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