Pubblicato il 02/10/2010 15:10:20
Mi sono amata un istante. Ho capito le ossa che sorreggo e approvato l’urgenza di redimerle. Dovrei ucciderti lamento. Tralasciare la logica castrante. Debellarti da questo corpo incredulo alla gioia e continuare la strada che m’indicherà il respiro. Ora basterebbe il coraggio, un’altezza spezzata da un volo, ma non so volare, e poi, non mi piacerà girovagare incenerita senza neppure la consapevolezza d’esserci stata e di aver provato a ingrandire l’infinito. Riuscirò a seccare il nervo che ti lega a me e sarà la cancrena a subirti, dentro una croce smessa e un letargo assennato dal tempo. Chi ti ha allevato? Chi ha limato gli artigli che impugni? Abbracciavo tregue, ieri, ne ascoltavo l’esordio e già ne zittivo l’inoltro: pensavo alle colombe e alle troppe probabilità che le rendono mortali. È che d’incertezza si muore, i passi tentennano sull’orlo dei burroni, si precipita dentro il silenzio e le angosce non sono mai abbastanza. Digiuno leggerezza, ecco, come se dovessi incontrare Dio, ogni sera, e ogni notte osservo la luna nostalgica e sembra quasi d’appartenerle per tutte le stelle che assolve. L’innocenza dell’acqua ravviva gli scogli e li consuma, - con il sole a ponente - ignara del suo danno.
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