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Echi e sussurri

Argomento: Letteratura

Articolo di Anna Gertrude Pessina 

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Pubblicato il 07/07/2016 09:28:32

Giorgina Busca Gernetti, Echi e sussurri, Edizioni Polistampa, Firenze 2015

Unatra solitudine patitaun carcere la  vitanellabisso dellanimo straziato… aspre  scaglie aguzze, di voragine / scure come feriteSarò un nulla nel Nulla? sono, in Echi e sussurri di Giorgina Busca Gernetti, indicatori di una  condizione  esistenziale sofferta, tanto più  lacerante  quanto più la poetessa avverte il disagio di questo tempo in cui  ragione e  sentimenti sono  rinnegati  dalla demenzialità dell’uomo copernicano, attratto dalle suggestioni della belva.

È il caos / trionfo della mera bestialità e della dissacrazione della spiritualità.

 In tale aberrante e diroccato contesto chi, come  Giorgina  Busca Gernetti, ha il privilegio di essere dotato di una interiorità ricca e pensosa, si riscatta dal peso dell’estraneità rifugiandosi nel santuario intimistico. Lì, la teologia  positiva  del ri-crearsi e  rinverginarsi, pur  osteggiata  da inquietudini  e amarezze congenite, dà ricetto ad interrogativi su  dove  andiamo, dove  corre la  nostra  complicata esistenza, dove conduce la meta finale: Ade, Nulla eterno o verso qualcosa che sfugge all’umano intelletto: limitato non si appaga del quia, aspira a varcare le soglie di un Oltre, chiarificatore delle acquisite, metabolizzate incertezze.

 Sono meditazioni di taglio filosofico: investono il problema gnoseologico con una percezione che dal sistema  astrattivo plana e degrada sul  contingenziale e ne  legge  pravità, ignavia, indifferenza,anaffettività, ingresso e portale nel baratro dell’apatia e del lasciarsi vivere.

  Ma il lasciarsi vivere non tange le corde di Giorgina Busca Gernetti: l’innata determinatezza e la volitività fungono da antemurale all’autocompiangersi e al vittimismo disfattistico. Il vuoto amaro in cui la  poetessa si  dibatte da  virago  è… un’ erta parete protettiva, invalicabile, ai  mostri che popolano quest’età di ritornato oscurantismo; è il luogo ideale per il  dipanarsi di un soliloquio ser-rato su  ciò che  accade  dentro e fuori  di  sé, e  che, da  ribollente  magma etneo, si converte in  parola.

 La parola, magica architrave del pensiero, nella silloge in predicato, si  carica dei  moti  dell’io, ne diventa mezzo e strumento di rigenerazione, salvataggio dalle secche dell’abbandono, àncora  salvi-fica per non annegare nel gorgo della nullificazione, forza sinergica, linfa e alimento della scrittura versale. Essa, nel paesaggio desolato della psiche, è antidoto a non morire. Non scrivere è la morte esplica, in forma paradigmatica, Giorgina Busca Gernetti, donna ed intellettuale di ampia e variegata cultura, abile a contemperare, in un abbraccio empatico ed osmotico  le più  significative  e sempreverdi istanze romantiche con le peculiarità del Decadentismo e con le esperienze  estetiche  della Prima Avanguardia del secolo scorso, tutte  convergenti  nella solitudine, anche esasperata dell’ io, nella pena del vivere, nell’ufficio orfico della parola.

In Echi e sussurri, suffragati da frequentazioni e dimestichezza  con le  correnti  nazionali e internazionali fine  Ottocento / inizio Novecento, la lirica è intensa e stimolante, musicale e icastica, essenziale e forbita, spoglia  di compiacimenti  oratori, dilettantismo  anacronistico, manierismo decorati-vo, in base al principio che poesia e ragione, lungi dall’antagonizzarsi, si compendiano e si unificano, identificandosi nella dimensione dell’Oltre, lontana dalle nubi torbide degli spazi  infiniti. È lì che l’animo respira aure consolatrici, sgombro da costrizioni.

 Sofferenze da  esule il cieco carcere del vissuto, un’enclosure in cui, per uscire di pena, l’io si finge la schermatura del sogno. Il risveglio, però, triste per lo spettacolo delle  foglie  d’autunno accartocciate a terra come coltre / di ferale sudario?, è all’istante rabbuiato dal quesito  senza risposte su un  tutto che, dalla finitudine della  vita, trascorre alla morte e da  questa, per le teorie meccanicistiche, ad altre forme di vita.

 In dissenso  con la vaghezza nostalgica della Sehnsucht, che attribuisce ai transferts onirici un  ruolo evasivo, Giorgina Busca Gernetti concepisce il  sogno  come obliodellanimo dolente,  come distacco momentaneo e sospensione datra vita, di cui una  singola scheggia potrebbe  inesorabilmente colpirla.

  La difficoltà di intendere il reale si ammanta di sconforto e smarrimento che solo la poesia, amica nei giorni buî del… disinganno, può lenire, irrorando lanimo / di sereni, armoniosi sentimenti.

 Sentimenti di portata panica: includono amore per le creature del regno animale, di cui tenero esponente è il canarino Lillo. Visitando, in sogno, la  poetessa, il monello le addolcisce il  cuore al  pari, sebbene la diversità della situazione psicologica, del passero di Lesbia, che all’inconsolabile Catullo  tristis animi levare curas.

Aleggia dal corpus della silloge, suddivisa in cinque sezioni, corredate in esergo di passi estrapolati da Poesie alla notte e Sonetti a Orfeo di Rainer Maria Rilke, un velo di  palpabile  pessimismo, scaturito da una certa propensione alla mestizia dell’animo delicato della poetessa e dall’osservazione di un contingente sbrecciato da precarietà e azzeramento di afflato umanitario. L’amarezza del giorno, muto, ostile, tormentoso è la costante letteraria e  psichica di  Giorgina Busca  Gernetti; è, come nel prediletto Pavese, scorza che non si rompe neanche quando, turista  innamorata  della  classicità, siede  tra due  colonne,… nell’ombra / del bianco  sacrosanto  Partenone. Il fascino di  una civiltà millenaria; le statue di perfetta bellezza; i ruderi che pulsano e  cantano storia; vita  e morte  di  Re e  di eroi non smorzano, pur immergendosi nel loro passato, ansia e affanni della visitatrice. La circondano nell’ Ellade ventosa, antropomorfizzati  e  umanizzati, Ifigenìa sacrificata per placare Artèmide; Clitemnestra con il pugnale già pronto  nella  mano; la  dolce  Saffo  dalle  trecce / viola; Euridice che sullerba alta  correva / per sfuggire al pastore, alle sue brame; Orfeo  disperato  Euridice, Euridice, mia Euridice !  echeggiava  dolente nella selva. L’aureola di serenità e di falsa felicità con  gradualità scema e dissolve: avanza  inaspettata e disattesa, la realtà, mai  fossilizzata, del  quotidiano, come quello della poetessa e dei comuni mortali, appenato di inganni e  disinganni, intrighi e  rivalità, vittorie e sconfitte, gloria e  codardia, amore e  disamore, esternazione e suggello di  una  in-felicità  che  il  canto dei  poeti  ha, forse  volutamente,  sottaciuto. Come  per  magia, sensibilizzati dalla  presenza della straniera, reputata Ombra come  loro, gli  eroi  si  raccontano e  rappresentano con  la veracità della loro maschera tragica, non  più  occultata da fraintese letture e  interpretazioni.

Così, senza mistificazioni apologetiche, Menelao si svela / ……. nel bel vólto dolente  per  il  tradimento di Elèna, rapita dai costumi leziosi e le carezze / del Priamìde.

Il clima è di confidenze e confessioni. Anche gli eroi dell’Ellade hanno assaporato stagioni buie, di lotte e sopraffazioni; anch’essi sono legati a  maglie di  interrogativi  irrisolti. Come  tutto  il genere umano e come Giorgina Busca Gernetti. In quel infinito di morte-vive cose, in  quel cimitero a cielo aperto di Re, eroi, tuniche bianche, di porpora  tinte, fanciulle / lievemente fasciate  da  preziose /  vesti  adornate di simboli  sacri, anche lei, inseparabile dalla  sua  maschera  tragica, svela il dolore, mai sopito, per la morte prematura del padre, in guerra nel fiore della gaia giovinezza, per il pianto inconsolabile della madre.

 Non vi sono, purtroppo, nel regno del Fato, dolori da alleviare, misteri da rivelare. Il  Fato  rimane Fato e le fatalità storiche, le congiure di circostanze non hanno risposte logiche e razionali.

 Allora, come rompere la scorza?  unico sollievo per la poetessa è  dimenticare, sia pure  per  attimi fuggenti, la disarmonia / della…oscura vita / nell’armonia divina dell’Acropoli  per perdersi nel favoloso Mito. Sogno possibile o il Mito, rinverginato si sintonizza con  pene e  patemi della turista straniera?

 Mentre gli eroi si narrano con polifonia di  voci  distoniche, la  poetessa sembra  perdere  ogni consistenza materica e trasmutarsi in Ombra di una gente che  forse è Ombra, ma in eterno vive, come lei, di triboli che nessun tempo e nessuna epopea storica potranno mai abradere e cancellare.

                                                                                    Anna Gertrude Pessina

 

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