Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)
Metrica generale del ponte di Einstein-Rosen attraversabile
*
Chi non capisce almeno sorrida
R. M.
*
[ Le parti in corsivo sono tratte da Alla ricerca del tempo perduto, M. Proust, I Meridiani Mondadori (trad. G. Raboni) ]
Mentre dormivo non avevo smesso di riflettere sulle cose che poco prima stavo leggendo, ma le riflessioni avevano preso una piega un po’ particolare; mi sembrava di navigare in universi paralleli e tutti gli amici cercavano di raggiungermi saltando da uno all’altro, in tali passaggi mutavano di aspetto e non sapevo se e dove li avrei re-incontrati. Questa convinzione sopravviveva per qualche secondo al mio risveglio; non scombussolava la mia ragione, ma premeva come un guscio sopra i miei occhi impedendogli di rendersi conto che la candela non era più accesa. Poi cominciava a diventarmi incomprensibile, come i pensieri di un’esistenza anteriore dopo la metempsicosi; la realtà si staccava da me, ero libero di pensarci o non pensarci; immediatamente recuperavo la vista e mi sbalordiva trovarmi circondato da un’oscurità che era dolce e riposante per i miei occhi ma più ancora, forse, per la mia mente, alla quale essa appariva come una cosa immotivata, inspiegabile, come qualcosa di veramente oscuro.
Alla prima curvatura salto nel tuo universo
e arrivo all’appuntamento
ma non ci sperare troppo
potrei perdermi nel mare tensoriale.
Ecco fatto: già dubiti! Vi prego signori
un po’ di fiducia nelle equazioni di campo.
A causa di un tempuscolo planckogeno
ed esitante è tutto rimandato.
È bastato un rallentamento del reale
nel cosmo scalare per finire nello spazio di Hilbert
tra le emicranie di Madame Verdurin –
aggravate da quando non ha più croissants
da inzuppare nel caffellatte.
Ora – o dopo o prima – ci vorrebbe la lattaia!
Ma va bene. Attendi l’arrivo di altre curvature:
ci vediamo nel prossimo spazio di Hausdorff.
Ricorda il mio nome –
anche se potrebbe cambiare: è Marcel.
Spero che riusciremo a incontrarci –
non so se il tensore energia-impulso
(tuoni e fulmini – in poche parole)
a mezzanotte al Bois de Boulogne
sarà sufficiente a realizzare
attorno a ogni dove una sfera
di raggio così piccolo
tale che dato un altro dove (una margherita un insetto)
questo non sia incluso nell’intorno del precedente
e l’assioma di separazione possa essere realizzato –
così da far convergere l’essenza dei nostri corpi
in quel benedetto gazebo senza che tutto si compatti
nell’indistinguibile nulla delle menti ignoranti
che camminano per le strade pensando solo alla loro paura.
A tutti quanti: non dimenticate la lettera d’invito –
solo così potrò riconoscervi
se i vostri corpi non vi somiglieranno più.
Non so in quale modo il tensore metrico
potrà incurvare il vostro spirito
con tutta l’abbondanza gravitazionale
che avrete sotto i piedi: potrei pensare Andrée
laddove invece vedo e ascolto Swann – sarebbe imbarazzante.
D’altronde una struttura differenziale potrebbe permetterlo.
Se nel temporale ci sarà una varietà riemanniana o meno
ora non ci è dato saperlo. L’assunto è questo
e vi prego di rispettarlo: la tua realtà non è la mia –
poi fate quello che vi pare – ma siate diversi
l’uno dall’altro: scegliete una parola
un canto – qualcosa che mi ricordi di voi.
L’ascensorista di Balbec – se viene – non scelga “ascensore”
perché tra quelli di Einstein e i suoi non c’è molta differenza –
siccome qui è tutto sballato non vorrei confondermi.
E se il latte questa volta me lo allungassi
al passaggio del mio sistema inerziale?
(Sarebbe corroborante saperti lì ad attendermi).
Il rischio è che si sparga tra un universo e l’altro
qualora tu rimanga nel presente e io nel passato.
Quando guardo la Via Lattea sono
geloso perché so che l’hai già fatto –
almeno sapresti dirmi se con un altro me-parallelo
in una connessione affine?
Non importa. Ti avviso: c’è un’altra ragazza
che trama alle tue spalle nell’altro universo
(ma potrebbe avere un pene enorme).
Mettervi insieme è un serio problema tensoriale
di rango extra-large.
Ho nostalgia di Bloch – dei suoi dissidi
(chissà se fu un caso che mi fu amico
ma non compagno) e delle interminabili
carezze di Gilberte – imparate dalla madre
quando la vide affacciandosi alla finestra spazio-temporale
apertasi sulle derivate covarianti del tensore di Ricci.
Ma se n’è andata anche lei come Albertine
e ora ho una ragazza povera sulle ginocchia
mentre l’intera famiglia sta per arrivare –
è già dopo la curva ennesima della prossima strambata.
Applicato all’operatore di Laplace-Beltrami
c’è il Commissario: Diamine non si fanno approcci così bruschi.
Siamo in convergenza sappilo:
Tutti i passanti mi parvero ispettori incaricati
di spiare i miei movimenti e i miei gesti.
Ho chiesto ad Aimé di portarmi un gelato
con lampone e vaniglia sia chiaro –
che magia la vacanza a Balbec.
Lui – Aimé – sapeva tutto di tutti:
saliva sull’ascensore della quarta dimensione
fino all’attico del tempo e da lì vedeva ogni cosa
anche se pareva ferma ed eterna.
Ora so che c’era un’identità di Bianchi
proprio dietro lo zio Adolphe
scomodo come un tacco a spillo sul piede
con quel quadretto della dama in rosa
che onestamente vedevo viola
perché mi ci stavo allontanando di gran fretta
piegato a metà: testa e piedi nel successivo universo
cuore nel precedente. Soffocavo di rabbia.
Per questo Odette non l’ho invitata
non vorrei essere sgridato da mia madre
anche se adesso sono adulto e di cocotte ne ho assaggiate –
tutte invarianti sotto trasformazioni di coordinate.
Per quanto riguarda Albertine si può dire
che esistesse in me solo nella forma del suo nome.
Ma Saint-Loup – oh – il mio Robert…
Da quando s’era messo in viaggio –
in una tonalità quasi gioiosa –
su tutti i treni d’onda vedevo solo lui.
Nell’universo XZ ha saltato tutti i pianeti
per salvarmi dal freddo cosmico –
nel B5 l’ho amato senza toccarlo
nel C70 alla fine non ce l’ho fatta: ci sono andato a letto
nel limite newtoniano
usufruendo della dilatazione dei tempi
a causa della Luna o forse di un Buco nero –
non saprei distinguere i due eccessi.
Ad ogni modo eccomi qua –
assuefatto alle leggi del caso sono arrivato
al Bois de Boulogne assurdo e imballato –
e voi anche miei cari. Siete saltati giù a caso
ascoltando la mia voce
o siete usciti dal non so dove della mia penna?
Vabbè. Non fa niente – l’importante è che siete qui
trasformati come tensori di rango k –
ma sempre voi siete – vi riconosco
perché il vostro cuore è covariante
e per averlo nelle nuove coordinate
basta averlo conosciuto nelle vecchie.
Manca solo lei – la lattaia: sta indugiando
tra le coordinate armoniche
al numero 102 di Boulevard Haussmann –
intanto accendo la candela prima che torni il temporale.
Oh! Tu chi sei? Hai l’invito?
Il temporale… devo svegliarmi.
A quel punto il ricordo – non ancora del luogo dove mi trovavo, ma di alcuni dei luoghi dove avevo abitato e avrei potuto essere – veniva a me come un soccorso dall’alto per strapparmi dal nulla al quale da solo non sarei riuscito a sfuggire; in un secondo scavalcavo secoli di civiltà e le immagini, confusamente intraviste, di qualche lampada a petrolio, poi di alcune camicie col collo piegato, ricomponevano a poco a poco i tratti originali del mio io.
E prima ancora che il mio pensiero, esitante sulla soglia dei tempi e delle forme, identificasse la casa mettendo una accanto all’altra le circostanze, lui – il mio corpo – ricordava per ciascuna di esse il tipo di letto, la collocazione delle porte, l’esposizione delle finestre, l’esistenza di un corridoio, e in più le cose che avevo pensate addormentandomi e ritrovate al risveglio.
Certo, adesso ero ben sveglio, il mio corpo aveva compiuto un’ultima giravolta e il buon angelo della certezza aveva fermato ogni cosa intorno a me, mi aveva sistemato sotto le mie coperte, nella mia camera, e aveva messo più o meno al loro posto, nell’oscurità, il mio cassettone, il mio scrittoio, il mio caminetto, la finestra verso strada e le due porte.
Ma tra me e il soffitto c’erano ancora le tracce di un’anomalia: una scintilla svaporava, sembrava la luce di un ultimo lampo molto lontano, lasciandomi l’impressione che quella appena passata fosse stata una notte magica.
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