Pubblicato il 21/04/2012 10:18:49
POESIA COME GROVIGLIO CHE SI DIPANA DAL MISTERO
di Ninnj Di Stefano Busà
Vi sono molti modi per sgrovigliarsi dalla morsa della Poesia, che come Mistero pervade e assolve. Senza colpa alcuna, si entra nel meccanismo poetico e se ne viene a tal punto travolti, da non poterne più fare a meno. Chi scrive Poesia, la fa per sempre. Non vi è percorso più obbligato di quel sentiero impervio, scosceso, ai limiti dell’isolamento. Come un calco nell’argilla la parola del poeta s’innesta, s’incista al centro di un mistero fittissimo. Perché facciamo poesia? perché scriviamo in versi? quale forza ci spinge a decifrare segnali dell’oltre? interpretare una lingua aliena che ci scruta dentro l’anima e ci fa pronunciare ai limiti del sogno. Vi sono imponderate ragioni per farlo. Prima d’ogni altra cosa, l’inclinazione. Vi è nella poesia una sorta di predisposizione, un imput di cui sconosciamo la ragione, che ci permette di collegarci con la parte più profonda e abissale di noi stessi. Il poeta sa che ogni parola origina ab interiore ed è il risultato della sua indagine conoscitiva, del suo percorso umano, del suo sentire acuto e impaziente che cerca il dialogo con l’esterno, si fa testimonianza di una presenza spirituale che comprende la forza e le finalità del suo intendimento, le quali spesso corrispondono all’esatto richiamo della coscienza e dell’intelletto: vi è uno strano connubio tra il pensiero poetante e la liturgia verbale del linguaggio lirico, fatto di premonizioni, di sensazioni, emozioni, suggestioni mai placate, spesso sdrucciole, impermeabili a qualsiasi altro richiamo che non sia il significato irrisolto della propria ragione insondabile, quanto mutante, il segno inconfondibile della propria identità. In poesia si può trovare l’evidenza di un tragitto che paradossalmente appare normale, ma che a ben vedere è ostico, difficile, tragico e quasi sempre implacabile. Ci pone interrogativi, ci indica la sua irriducibilità, come atto di fede, che si articola nel sentimento e nell’abbandono a parole desuete, come se l’assillo inquietante di un significato “oltre” ci pervadesse. La natura stessa cangiante e mutevole ci fa da sfondo, è il cimento ininterrotto del poeta, il suo vivaio d’immagini, di passioni, di riferimenti pulsanti, vi fa da sonda interagendo con ogni accelerazione, che riesce a muovere le corde intime e ben controllate del cuore. La scrittura poetica è quasi sempre l’imprevedibile espressione che sollecita con lucidità e senso tutte le pulsioni. La Poesia si confronta con le perturbazioni del mondo, con le sue assenze, le sue varianti, le eccedenze, le contraddizioni. Essa è perciò la molla di un cimento ininterrotto tra l’ego e il suo contrario, la presenza materica della sua necessità ne prende atto come di un evento irriducibile, che si dipana dal mistero per proiettarsi dentro e fuori da ogni tautologia, infondendo alla consapevolezza del pensiero la necessaria forza per redimere la bellezza minacciata dalle brutture del mondo, quasi catarsi, dunque, evocativa di meraviglie e metamorfosi.
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