I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.
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- Letteratura
La Poesia cosè
La Poesia cos'è di Ninnj Di Stefano Busà Ci siamo chiesti sempre cos’è la Poesia? senza saperne dare una risposta certa. Così continueremo a interrogarci e a giustificare questo senso estetico che ci governa e ci domina definendolo il linguaggio più alto dell’uomo. La sensazione è quella di sostegno alle infinite carenze dell’umano destino, che pur nella caducità, nel limite del proprio orizzonte può intravedere una luce, anzi uno spiraglio in cui far volare alta l’anima vagabonda, sitibonda di fantasia e di sogni. La configurazione di ogni poetica è inconfutabile segno di pensiero, mostra la spiritualità dell’uomo fatto segno di svariate capacità intellettuali, con le quali si mette in confronto o parla agli altri simili attraverso il linguaggio diversificato della Poesia, in quanto Arte della parola, selezione di un linguaggio nobile e alato che riconduce al modello di una più marcata autonomia dell’individuo e dei suoi nobili ideali di spirito e d’intelletto. Ninnj Di Stefano Busà
Id: 1648 Data: 17/02/2016 22:20:37
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- Politica
Ecatombe nel mediterraneo
PER UNA TRAGEDIA COSI' ECLATANTE VALGANO LEGIFERAZIONI E REGOLE DI STRAORDINARIA RILEVANZA, NON ORECCHIE DA MERCANTE E L'OBLIO DELL'AFTER DAY. di Ninnj Di Stefano Busà Non è più possibile tollerare simili tragedie nel Mar Mediterraneo. Ormai il "mare nostrum" è diventato un girone infernale, la gola profonda che inghiotte tanti uomini, donne, bambini indifesi, una nuova fossa (come quella delle Marianne), che ottunde le coscienze dei governanti e dei politici di turno, rivelandosi la tomba più adatta e semplicistica adottata dalla malavita per affogare migliaia d'indesiderati, di diseredati che non hanno altra colpa se non quella di essere nati in territori martoriati da: guerre, genocidi, fame, pestilenze. Non può piovere sempre sul bagnato, è ora per la U. E di prendere decisioni e posizioni che ridiano ordine e dignità a esseri umani indifesi, ad anime stanche di peregrinare e morire per un tozzo di pane. Il genere umano non può subire altri martirii e restarne indifferente. Bisogna attivarsi, fare qualcosa che impedisca a questi "fratelli" (planetari) d'inabissarsi, senza mai vedere la luce del futuro aprirsi dinanzi a loro. Scappano da episodi di violenza inauditi, scappano dalle dittature, dalle torture, dai sistemi totalitari che mortificano il loro diritto alla vita, sono bambini, madri, mogli come noi, hanno solo bisogno di aiuto, di una legge umana che gli dia la <dignità> violata, hanno soprattutto fame e sete di libertà, di pari diritti umani, di coscienze che si accorgano di loro: le nazioni cosiddette civilizzate non si girino dall'altra parte, non tergiversino più, emettano norme che regolino finalmente l'emigrazione, e diano direttive e misure atte a prevenire queste stragi di esseri umani, regolarizzando ordinamenti nei quali prevalga il criterio della tolleranza "vigilata" per evitare l'ecatombe che ha come unica risposta: l'inadempienza. Una civiltà incapace, asfittica, amorale che non sa rispondere alle esigenze del pianeta è destinata a decadere, a regredire, fino ad estinguersi. Questa tanto esaltata società del progresso non sa rispondere alle più elementari norme e ordinamenti che darebbero i criteri e i requisiti necessari alla sopravvivenza dei popoli: Una civiltà siffatta è destinata ad implodere...
Id: 1420 Data: 20/04/2015 16:45:56
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- Letteratura
Interviste rilasciate da Ninnj nei vari anni
Id: 1227 Data: 01/11/2014 21:22:49
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- Scienza e fede
Il declino porta a riflessioni sullevangelizzazione del mon
Il declino di oggi inevitabilmente porta a riflessioni ponderose sul processo di evangelizzazione del mondo.
Il Nuovo cristianesimo va ormai a rifondersi nella Globalizzazione e nel caos di Ninnj Di Stefano Busà L’esperienza spirituale, che in altri momenti storici si è mostrata in tutta la sua ampiezza culturale, oggi si mostra isterilita e stanca, asfittica e insicura sui sentieri inagibili di una globalizzazione che muove forme sempre più complesse e articolate verso l’effimero e il vuoto di pensiero. Siamo giunti – al canto del cigno- poco distanti da un declino che la dice lunga sul percorso della specie umana e sui suoi equilibri che si fanno sempre più instabili, aggressivi, perentori, inaffidabili. La premessa di una revisione, seppure parziale dello Spirito, si manifesta in ogni tempo come capacità di liberare la propria riflessione e di conseguenza si muove alla ricerca umana di un sentiero poco agibile quale può essere la nuova evangelizzazione nel Concetto di Dio. L’esperienza che ci offre la spiritualità quando viene sollecitata dal nostro fervore d’indagine è sempre una liberazione dalle scorie e dai veleni della seduzione vanitosa, che compromette l’anima e ne fa episodio a sé, senza retropensiero, senza spirito di osservazione, senza verità e bellezza. Non dovremmo mai seppellire la ns. risorsa spirituale, sotto cataste di detriti che ci piovono dal mondo, per non trovarci soli e demotivati dinanzi ad una morte che ci rapisce: il Fuoco deve ardere sempre, senza divenire fiammella fatua, né ancor peggio, cenere fumante e poi gelida. Non demoliamo i basamenti della fede e della morale, se non vogliamo che essi ci piovano addosso con sufficiente forza da schiantarci, non riduciamo l’apertura alare che ci trasferisce in territori meno abbietti, sorvolando tempeste e diluvi, per ritrovarci in territori aridi e compromessi: interpretiamo l’ardore che ci origina dalla fede, come il più alto valore cristiano. Forse la crisi di secolarizzazione che stiamo attraversando in questo periodo storico è la crisi della ns. coscienza, il calvario delle ns. colpe, del ns. peccato originale che ci orienta ad essere ottusi e intransigenti con la voce dell’OLTRE. Nel sentirci defraudati e incompresi per illeicità dovute alla carenza umana di “umanità” ci allontaniamo da quella fiamma che invece di rinvigorire, ci schianta, da grandi detrattori di noi stessi, giorno per giorno, ci perdiamo, ci allontaniamo dalla Fonte di salvezza. È necessario riallacciarsi alla potenza CONOSCITIVA del Vangelo, alle regole che furono dei padri fondatori: Benedetto XVI ce ne da continuamente segnali, attraverso la luce potente della sua parola: vi è troppa confusione, troppo spreco di energie che potremmo dirigere a noi stessi, per essere migliori, interrogarci più spesso e allontanarci dal pressapochismo e dal nichilismo di un secolo che non dà nulla in termini di Bellezza spirituale. La cultura dominante è devastata da una forza che abbrutisce e ingenera sempre più nelle coscienze il riduttivismo e il frammentarismo. Il mondo sta soffrendo l’assenza dal suo Dio, ne risulta martoriato e indifeso, perciò si è fatto misero e cieco, spreca le sue migliori risorse per sostituirle e compiacersi delle fandonie e delle imposture di una secolarizzazione nefasta, fortemente impregnata di falso moralismo e di falsi idolatrie. Il mondo laicista sembra consegnarsi ormai quasi unanimemente, e senza più alcuna resistenza morale, ai dettami della tecnocrazia e del mercato, ad una politica becera e distruttiva, ad un materialismo disperato, cioè, privo perfino di quelle speranze illusorie in un’emancipazione finale a tutto vantaggio dell’uomo, che annaspa, non riesce a prendere fiato, e sembra non avere scampo di sopravvivere ad uno sbiadito e torbido e quasi sempre insanguinato futuro.
Id: 1096 Data: 08/06/2014 11:08:46
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- Scienza e fede
Il declino porta a riflessioni sullevangelizzazione del mon
Il declino di oggi inevitabilmente porta a riflessioni ponderose sul processo di evangelizzazione del mondo.
Il Nuovo cristianesimo va ormai a rifondersi nella Globalizzazione e nel caos di Ninnj Di Stefano Busà L’esperienza spirituale, che in altri momenti storici si è mostrata in tutta la sua ampiezza culturale, oggi si mostra isterilita e stanca, asfittica e insicura sui sentieri inagibili di una globalizzazione che muove forme sempre più complesse e articolate verso l’effimero e il vuoto di pensiero. Siamo giunti – al canto del cigno- poco distanti da un declino che la dice lunga sul percorso della specie umana e sui suoi equilibri che si fanno sempre più instabili, aggressivi, perentori, inaffidabili. La premessa di una revisione, seppure parziale dello Spirito, si manifesta in ogni tempo come capacità di liberare la propria riflessione e di conseguenza si muove alla ricerca umana di un sentiero poco agibile quale può essere la nuova evangelizzazione nel Concetto di Dio. L’esperienza che ci offre la spiritualità quando viene sollecitata dal nostro fervore d’indagine è sempre una liberazione dalle scorie e dai veleni della seduzione vanitosa, che compromette l’anima e ne fa episodio a sé, senza retropensiero, senza spirito di osservazione, senza verità e bellezza. Non dovremmo mai seppellire la ns. risorsa spirituale, sotto cataste di detriti che ci piovono dal mondo, per non trovarci soli e demotivati dinanzi ad una morte che ci rapisce: il Fuoco deve ardere sempre, senza divenire fiammella fatua, né ancor peggio, cenere fumante e poi gelida. Non demoliamo i basamenti della fede e della morale, se non vogliamo che essi ci piovano addosso con sufficiente forza da schiantarci, non riduciamo l’apertura alare che ci trasferisce in territori meno abbietti, sorvolando tempeste e diluvi, per ritrovarci in territori aridi e compromessi: interpretiamo l’ardore che ci origina dalla fede, come il più altro valore cristiano. Forse la crisi di secolarizzazione che stiamo attraversando in questo periodo storico è la crisi della ns. coscienza, il calvario delle ns. colpe, del ns. peccato originale che ci orienta ad essere ottusi e intransigenti con la voce dell’OLTRE. Nel sentirci defraudati e incompresi per illeicità dovute alla carenza umana di “umanità” ci allontaniamo da quella fiamma che invece di rinvigorire, ci schianta, da grandi detrattori di noi stessi, giorno per giorno, ci perdiamo, ci allontaniamo dalla Fonte di salvezza. È necessario riallacciarsi alla potenza CONOSCITIVA del Vangelo, alle regole che furono dei padri fondatori: Benedetto XVI ce ne da continuamente segnali, attraverso la luce potente della sua parola: vi è troppa confusione, troppo spreco di energie che potremmo dirigere a noi stessi, per essere migliori, interrogarci più spesso e allontanarci dal pressapochismo e dal nichilismo di un secolo che non dà nulla in termini di Bellezza spirituale. La cultura dominante è devastata da una forza che abbrutisce e ingenera sempre più nelle coscienze il riduttivismo e il frammentarismo. Il mondo sta soffrendo l’assenza dal suo Dio, ne risulta martoriato e indifeso, perciò si è fatto misero e cieco, ha discreditato le sue migliori risorse per sostituirle e compiacersi delle fandonie e delle imposture di una secolarizzazione nefasta, fortemente impregnata di falso moralismo e di falsi idolatrie. Il mondo laicista sembra consegnarsi ormai quasi unanimemente, e senza più alcuna resistenza morale, ai dettami della tecnocrazia e del mercato, ad una politica becera e distruttiva, ad un materialismo disperato cioè, privo perfino di quelle speranze illusorie in un’emancipazione finale a tutto vantaggio dell’uomo, che annaspa, non riesce a prendere fiato, e sembra non avere scampo di sopravvivere ad uno sbiadito e torbido e quasi sempre insanguinato futuro.
Id: 1090 Data: 03/06/2014 12:12:18
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- Letteratura
Reciprocamente la Poesia ha bisogno delluomo e questi
RECIPROCAMENTE, LA POESIA HA BISOGNO DELL’UOMO E L’UOMO DEL SUO SUPPORTO ESTETICO CHE LO QUALIFICHI di Ninnj Di Stefano Busà Ebbene, ammettiamolo, la poesia non è per tutti, ma solo per coloro che la amano, è un agglomerato di cellule mnemoniche, orchestrate come da struttura sinaptica, passano direttamente dal cervello alla pagina bianca, dopo aver congiunto e collegato le cellule deputate all’attività di coordinamento. Si tratta di un’attività pseudocerebrale e linguistica che assolve questo compito, al quale si possono aggiungere: la predisposizione, il sincretismo della parola, l’attenzione per l’arte del linguaggio, la fantasia, l’estro. In poesia, <la parola> attende la nuova ipotesi disvelativa della sua elaborazione, che le deriva dall’essere trascritta e trasmessa: l’imput le giunge dal subconscio, l’appello alla chiamata, preposta a formularla, origina dall’intelligenza del cuore, che le permette di collocarsi in una sua particolarissima fisiognomica visione particolarmente gradita al poeta. L’inettitudine umana la colloca ai margini o la respinge, altre volte la rinnega, la contrasta, la svilisce, quanti atti d’ingratitudine si compiono a suo danno! Quanta intolleranza, quanto lesionismo e ignoranza è costretta a subire la poesia! Mi fa rabbia vederla trattare con quel fare compassionevole e umiliante, che recita: a che serve? Lo dichiarò Montale a chiare lettere, ma mi permetto di dissentire: la poesia è una delle innumerevoli doti umane che non dà fastidio, non scomoda nessuno, non s’impone a viva forza, non pretende nulla, non esige alcunché, si rifiuta di giungere a chi proprio la ignora, non la capisce, non la ama: se ne sta lì, quieta e silenziosa senza scomodare alcuno. Se c’è, si fa sentire, se è amata, riama con la stessa intensità, con grato e sincero altruismo. Spesso ripaga proiettando il poeta in una territorio sconosciuto che è l’iperuranio della sua ricerca. Ripaga l’uomo confortandolo delle tristi vicissitudini in cui tutti si è costretti a vivere, sa donare con gioia quella pagina di armonie o di equivalenze che originano direttamente dal cuore o dall’intelletto, per riequilibrare contrarietà, sofferenze, dolori, solitudini. Se la chiami ti risponde, come una compagna fedele e devota, viceversa se ne sta latente, in un silenzio quasi assoluto. La poesia non ha accesso all’utile, non ha predisposizione al vantaggio materiale, non s’intromette nell’economia, né si propone alle moltiplicazioni avariate e contraddittorie di un mondo finanziario losco e invasivo, che guarda alla materialità con avida bramosia, con provocante desiderio. La materia lirica non è viziata mai da diniego alla morale, neppure al più sottile e sofisticato meccanismo di risorse che concorrono alle vita greve dell’individuo. È solo una forza legittima che vuole venir fuori a sedare gli animi, a placare il loro bisogno spirituale, intellettuale, un richiamo all’autenticità metafisica del singolo uomo, mira all’armonia, alla completezza, all’idealità del mondo, perché esso ha bisogno di capire, di sincronizzarsi col suo essere, con la sua entità interiore. Ma proprio perché non ha nulla da spartire con l’interesse spicciolo, come si può facilmente supporre, (gli fa d’intralcio); è malvista in questo nostro momento storico così repellente, asfittico, sclerotico, fatto di un solo “imput”creativo: la necessità di accumulare ricchezza...niente di più naturale che la vanagloria in un mondo così - (s)poetizzato – così avido, lontano dall’interesse creativo e lirico. Ma se ci soffermiamo qualche minuto a riflettere, come si può ben vedere, la poesia non ha mai fatto del male a nessuno, siamo noi che l’abbiamo esauturata, esclusa, posta ai margini, perché priva di quella forza brutale, meschina, invasiva, deputata al benessere materiale: l’uomo di oggi propone se stesso, è ammalato di protagonismo che gli può dare solo la raggiunta ricchezza, il potere, la gloria. La poesia non dà nulla di tutto ciò, nessuna delle tre ipotesi è raggiungibile con la poesia, perché essa è l’emanazione della nostra spiritualità, dell’ingegno; la particolarità unica ed esclusiva, generosa e mite della natura umana la richiede, per riformularsi a livello di superiorità e distinzione dal genere animale. Nel coacevo esponenziale della menzogna, dell’ipocrisia, della contraddizione, essa assolve il compito di regolatrice ed esploratrice della psiche umana che ha necessità di formulare il suo bene, la sua condizione di ricognitrice, di viaggiatrice in un mondo disorientato e reso succube dal male, la poesia manifesta il suo vigore, rivela il pensiero di esistere al di là del mondo materico e viziato, estrinseca l’implicito significato del pensiero “pensante”, la passione, l’atto espressivo del sentimento, che eloquentemente vuole mostrarsi all’insignificante, lo richiede con impeto e, talvolta vi riesce, di saper dire l’inesprimile
Id: 1069 Data: 07/05/2014 16:37:06
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- Letteratura
La Poesia cosè
di Ninnj Di Stefano Busà Ci siamo chiesti sempre cos'è la Poesia? senza saperne dare una risposta certa. Così continueremo a interrogarci e a giustificare questo senso estetico che ci governa e ci domina definendolo il linguaggio più alto dell'uomo. La sensazione è quella di sostegno alle infinite carenze dell'umano destino, che pur nella caducità, nel limite del proprio orizzonte può intravedere una luce, anzi uno spiraglio in cui far volare alta l'anima vagabonda, sitibonda di fantasia e di sogni. La configurazione di ogni poetica è inconfutabile segno di pensiero, mostra la spiritualità dell'uomo fatto segno di svariate capacità intellettuali, con le quali si mette in confronto o parla agli altri simili attraverso il linguaggio diversificato della Poesia, in quanto Arte della parola, selezione di un linguaggio nobile e alato che riconduce al modello di una più marcata autonomia dell'individuo e dei suoi nobili ideali di spirito e d'intelletto. Faccio riferimento al diverso grado di interscambiabilità che fa parte della vera natura dell'uomo, che ha esigenza di un linguismo alto, per evincere il suo disperato anelito alla trascendenza, alla ricerca di una nobiltà d'animo e di intelletto. Le teorizzazioni che ne avvertono il distillato più profondo dell'essere, sono bisogni interiori che neutralizzano la disperazione e il limite irrisolto ed estremamente vanificante del suo status. La Poesia sta all'Arte come al Mito e come l'economia al versante finanziario, o la Pittura al tratto dell'Artista (con l'A maiuscola). Anche la Poesia, purtuttavia, interagisce e fa suo un sistema di vasi comunicanti all'interno dell'Arte: è parola che utilizza il meglio di sé per addivenire a strategie di pensiero che interrogano l'inconscio, il suo farsi territorio cogente di un piano alto di strutture umane che ad esso fanno capo. Infatti, non ci sembra che la filosofia, dalla quale l'Estetica si è staccata per sua precipua necessità, abbia fin'ora cessato di interrogare e interrogarsi sulle varie ragioni che hanno indotto la Poesia a manifestarsi come concetto -concezione vitalistica dell'intelletto- . Come Ente indipendente e fascinoso nella complessità del progetto di sviluppo e del progresso dell'uomo il dire poetico corrisponde ad un linguismo purificato da scorie e, dunque, sublimato nella fattispecie storica come un concetto a se stante. Riteniamo che la Poesia richieda il massimo sforzo direttament e al poeta stesso e per induzione al lettore che ne è il fruitore. Gadamer ha posto l'accezione che il metodo della Letteratura consista nella sua interpretazione testuale, ma anche nel sistema interno ai rapporti che intercorrono tra poesia e Storia. La Storia è il risultato dell'intelletto, il suo fine ultimo, il suo reiterarsi ed evolversi da un progetto d'intelligenza e di progressiva interazione con la Vita e le condizioni esistenziali dell'individuo. Oggi i mezzi di comunicazione fanno del poeta un emarginato, perché la multimedialità telematica ha soppiantato la parola "del cuore", ma forse ignora o pretende d'ignorare le ragioni stesse delle sue esigenze intellettive e intellettuali. La scrittura poetica è ben lungi dall'essere assimilata dall'iconografismo moderno, dalla sua spinta propulsiva all'utile e non al valore in sé. L'invenzione, la fantasia, l'estro del poeta restano a testimoniare il postmodernismo della società volto al suo nichilismo epocale. Sembra un paradosso ma, oggi i poeti sono statisticamente più numerosi che in passato, proprio per la funzione diffusiva di internet e della telematica. Il metalinguismo che si instaura come simbolo di autenticazione del poeta è la -vis - formale che non pone alcun veto alla creatività. Il potere creativo della fantasia è l'atto stesso della sua istanza scrittoria, il quale sembra appartenere interamente all'artista. Quando la Poesia tocca - lo status di grazia- il pathos che ne consegue è espressione selettiva dell'emozione, che si va a configurare come visione utopica del mondo. L'arte non fa che aderirvi, essere l'archetipo, ma è pur sempre la vocazione a dare il segnale più importante. La Poesia riposa nell'inespresso, è sempre lontana da noi, perché fa parte dell'immaginario e del sogno, pur se si configura come la trasfigurazione della logica comune. L'ispirazione in Poesia non ha ore fisse, né lavora a freddo, come su un vecchio marmo da laboratorio, non è neppure - repechage mnemonico - perché il verso non si tiene in memoria, svola con la stessa rapidità dell'aria, si spegne come lampadina con l'interrutore. E' tutto e niente delle proprie capacità, che temerariamente, vengono esposte e mostrate ad un pubblico più vasto. Non corrisponde quasi mai a tempi e luoghi prestabiliti. Possiede il massimo della sua libertà e autonomia. E' dono di elezione e basta. Borges dichiara: "vedo la fine e vedo l'inizio, ma non ciò che si trova nel mezzo. Questo mi viene rivelato gradualmente, quando l'estro o il caso sono propizi". Ecco, dunque, il mistero che conduce per mano la poesia: un Ente intellettivo, una risorsa del pensiero cogente che conduce l'intelletto all'azione creante. È come se da un'archeologia antropologica andassimo a scoprire le tracce sbiadite di una stratificazione millenaria. Se ne ritrovano i reperti storici che sono disvelamento e scavo, scoperta di un processo intellettivo cui l'uomo è finalizzato. Ma non ne troveremo mai la spiegazione. Il poeta è guidato dalla passione, dall'estro, talvolta dalla duttilità, dalla versatilità della parola che sa divenire strumento, forma, contenuto di una ortodossia concettuale più vasta. In Poesia si procede a tentoni, a volte si avanza nel buio più fitto, solo qualche volta si "esce a riveder le stelle". Dice Valery: "solo il primo verso, in una poesia è donato dagli dèi", in ogni modo non è detto che sia possibile innescare il segnale metapoietico, e neppure sempre è possibile realizzare il capolavoro che cerchiamo.
Id: 999 Data: 22/02/2014 10:54:19
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- Letteratura
La situazione oggi non è un incontro con Cristo
di Ninnj Di Stefano Busà Viviamo in un mondo di relativismo-nichilismo senza sorgenti di luce, in un’impasse senza presenza divina, proiettati all’interno di una terra brulla e arida che scaraventa ogni giorno di più l’anima in un pozzo nero, senza probabilità di uscita. Il tempo messianico non ha valore, perché proiettato nel tragico momento della desertificazione spirituale. La nostra società è in preda al delirio, vince il trionfo planetario dell’assurdo,avendo toccato questa civiltà il minimo consentito dal buon gusto, dalla logica e dagli ideali di vita ispirati dai nostri predecessori. La matrice cristiana si è allentata fino a divenire un tenue barlume. Vi sono scetticismo e agnosticismo a forgiare anime in pena, perché non trovando gli individui gioia e serenità si piegano ad esperienze e azioni che istericamente consumano incuranti della coscienza e del bene, che sono diventati degli “optional”. Assistiamo ad una crisi dei diritti, prima ancora che ad una crisi d’identità: chi si maschera infatti perde il bene più prezioso, l’ispirazione ad essere se stesso in un contesto naturale di giustizia, di verità, di buono. Il bene esiste ancora, ma è calato di tono, non rinnova il carattere divino, il senso liberatorio di una condotta esemplare, si perde nei meandri dell’afflizione direttamente provocata da atteggiamenti falsi esperiti sulla base dell’inganno, della speculazione, dell’atteggiamento criminogeno e spavaldo che porta a determinare crimini, malaffare, in una estenuante perdita di valori umani che deteriorano ogni giorno di più il prodotto umano. Il vero nodo epocale è una sorta d’involuzione socio/culturale che porta ad uno sconvolgimento spirituale e al declino di forme di pensiero che intercettino la bellezza, perseguendo invece un sistema di crisi dolorosa e senza vie d’uscita, materialistica e miope, egocentrica e inumana.
Id: 918 Data: 15/11/2013 10:20:11
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- Cultura
La coscienza di oggi compromessa dal non senso
La coscienza di oggi compromessa dal non senso In tutte le società moderne vi sono stati periodi più o meno bui, che hanno caratterizzato il declino della morale e dell'etica, oltre che le capacità dell'individuo di riformularsi in un contesto progressivo di più matura formazione, consapevole delle pericolose conseguenze nel futuro. Ogni civiltà periodicamente subisce il deterioramento delle conquiste fatte a causa di un lento quanto inesorabile sfaldarsi della coscienza, in cui la consapevolezza del danno che si va a creare sembra minore dell'utile egoistico, (a)morale, disinibito e aggressivo, che si viena a formare in un clima politico economico e sociale difficile. Posto questo teorema, andremo ad analizzare ora alla luce dei nostri giorni, la situazione dell'attuale società supertecnologica postmoderna. Essa è il frutto un po' avariato di una tendenza al lassismo, che ogni nuovo periodo storico apporta e dentro il quale, più o meno coscientemente l'uomo investe tutto il suo capitale genetico, il suo livello intellettuale, la sua formazione educativa, il suo grado di giudizio e discernimento, le sue più alte potenzialità, le sue fragilità o debolezze, il diverso grado di rapportarsi alla religione, al progresso, alla Storia. Una necessità irrinunciabile sembra essere ai nostri giorni l'affrancamento da ogni verità vera o presunta, da ogni riferimento valoriale in relazione al comportamento, al diritto alla vita, alla libertà, alla società. Forse neppure ce ne accorgiamo, ma è difficile credere che le facoltà migliori del soggetto sano di mente oggi siano talmente stravolte da essere giunti sull'orlo dell'abisso. Nel clima culturale in cui si vive, le remore sono bandite, e anche le regole, definite superflue e inadeguate nel clima del post-modernismo nel quale solo la confusione regna sovrana. Qui, però, entra in ballo il futuro dell'umanità: le conseguenze non sono valutabili, ma danno segno d'inquietudine, avvisano che siamo molto vicini a provocare conseguenze temibili per la gravità dei problemi in gioco. Vi è una debolezza di fondo nel tessuto sociale di questa nuova era che fa pensare ad una insufficiente informazione, che possa risultare idonea a comprendere che la resa dei conti è più prossima di quanto immaginiamo. In parte è aggravato dai mass-media che giornalmente ci bombardano di vacuità: il palcoscenico è vasto, si va dalle idiozie, alla prospettiva di un bene vanesio che è occasione di indebolimento delle coscienze, soprattutto dei giovani, che non hanno la visione interamente adeguata della conoscenza e dell'esperienza. Questa confusione di ruoli, di fini, di progetti induce a sovrastare il bene comune a favore di spinte riduttive per l'umanesimo e per l'illuminata visione della vita. Non si fa che giocare al rinvio, quello che non è fatto oggi lo otterremo domani: ma cos' è, dunque, questo gioco al massacro?quale maleficio ci nutre di dentro facendoci perdere le prospettive future? Di fronte a comportamenti così massificati, senza dettami ideologici, senza spinte di legalizzazione, il compromesso porta a promuovere come finalizzazione ultima le remore coscienziali, per essere liberi di agire a proprio piacimento, senza dover rinunciare alle lusinghe della propaganda e delle mobilitazioni opportunistiche. Ma per essere libero veramente l'uomo non può esimersi dal dover educare il pensiero alla verità alla conoscenza e al sacrificio. Difendere il proprio diritto alla scelta non sempre è segno di libertà. Chi nutre passioni discordanti e criteri di valutazione che esortano all'edonismo e al piacere dell'immediato, difficilmente riflette sulle cattive conseguenze di comportamenti brutali e dissennati, salvo poi doversi trovare a fare i conti con la coscienza...Non bisogna confondere la libertà con il libertarismo, perché è proprio il libertarismo che ha generato il nichilismo con conseguente imbarbarimento dell'attuale società. La dignità e la responsabilità sono i luoghi da raggiungere per una correzione di rotta, per un'autoreferenzialità del soggetto come individuo <libero>, ma consapevole e degno di questa libertà faticosamente conquistata che darebbe al recupero della dignità, quella rinascita umana, culturale, religiosa di saper distinguere il bene dal male: saper riconoscere la necessità di un risveglio di coscienze è auspicabile per la vera rinascita di una società smarrita e claudicante, che vaga senza criteri di valutazione certa verso gli imponderabili scenari futuri, che non saranno certo rosei, senza una rivisitazione dell'impianto-uomo, senza una revisione e ottimizzazione degli strumenti in suo possesso, che gli sappiano indicare la strada della ragionevolezza e forse pure della salvezza.
Id: 880 Data: 14/09/2013 10:17:55
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- Scienza e fede
Il volto umano di ogni processo spirituale
IL VOLTO UMANO DI OGNI PROCESSO SPIRITUALE di Ninnj Di Stefano Busà Ogni processo umano ha bisogno per sortire alla sua umanizzazione di avere dalla sua un comportamento dettato da etiche del pensiero, non di moralismi sui generis, che influenzano negativamente il patrimonio genetico/strutturale della sua vita interiore. Non se ne esce da questo empasse se il problema non esamina una sorta di pensiero dominante che deve passare necessariamente da un revisionismo storico, ma anche dalla ormai ossidata forma mentis che ci dà inquietudine e malessere. L’unico rimedio, senza che andiamo a cercarne altri, è l’indagine storica, l’analisi di se stessi che dentro una sostanziale forma radicalmente controversa e paranoica ci deforma la visuale e ci paralizza. Questi nostri tempi sono davvero la sintesi di un rifiuto alla normalità dell’etica, al recupero di un capitale storico/individuale che ci dia l’essenza e il valore dell’esser(ci). Siamo in preda ad un mondo che vortica senza più controllo: l’istinto e non la ragione si è impossessato dell’uomo e lo fa suo schiavo in un delirio vulnerabile e catastrofico che mette a repentaglio l’esistenza stessa degli esseri umani. Una trappola mortale si rivela ormai il superamento del limite estremo che rischia di soppiantare la coscienza e la morale senza più freni inibitori. Qui non si dice di tornare al medioevo, ma di dare una impostazione di ordine nuovo all’intelletto pensante, in una luce moderna e in chiave di equilibrio della società del postmodernismo, ormai in crisi per i troppi malesseri che porta in sé. Occorre sganciarsi dalle zavorre di un malessere ingovernabile e riprendere le redini di un carro che sta correndo verso il precipizio. Questa società planetaria deve rinunciare al clamore e alla violenza, al protagonismo, all’esibizionismo, all’egoismo delle platee, ai lustrini di un perbenismo becero e ottuso per abbracciare un più equo rapporto con la coscienza dell’essere e del divenire. Bisogna tornare a sentire il respiro della terra, il germogliare dell’erba, il rosso del tramonto, la preghiera del mattino e del Vespro: la parola di Dio che ci assolva dalle colpe di un peccato originale che il mondo ha tramutato in peccato “mortale”. Con le sue fandonie e menzogne, col suo ostracismo ed edonismo, con la sua malefica strategia all’utile l’uomo ha trasformato il mondo in un plateale mercato all’aperto, dove tutto si può comprare e vendere, tranne la dignità e il buon senso, la logica e l’onestà dei sentimenti. Ed è a questi ultimi che dobbiamo fare appello se vogliamo salvare il salvabile, se ancora vogliamo dare un volto umano ad un processo spirituale che si fa sempre più lontano e sfumato. Al contempo però questo processo di recupero delle coscienze richiede una sorta di allontanamento dalle forze del male, una riossigenazione dei processi che rilancino i motivi della cristianità, (laica, non necessariamente ecumenica e bacchettona) della purezza della Verità senza ipocrisie e infingimenti, un rilancio che ci liberi dal nichilismo responsabile della caduta dei valori e della crisi delle civiltà del terzo millennio. vorrei iniziare questa nuova stagione 2013/14 con un famoso pensiero di Einstein, che diventi per tutti noi una sorta di viatico, ma anche un augurio e un impegno di lavoro: “Non possiamo risolvere i nostri problemi con il pensiero che avevamo quando li abbiamo creati”. Credo che questa intuizione dovremmo applicarla con cura sia alle nostre crisi personali che a quelle della cultura, dello stato nazionale, del governo mondiale, e della stessa Chiesa. Questo è il tempo infatti in cui i problemi che incontriamo a tutti i livelli possono essere risolti solo se modifichiamo radicalmente le forme del nostro pensiero, anzi se cambiamo proprio la nostra forma mentis. Questo rovesciamento della mente si chiama in greco metànoia. La meta-noia universale è oggi l’unica via di uscita dalla para-noia globale, e cioè dalla fissazione mentale sostanzialmente suicidaria in cui ci stiamo paralizzando. Viviamo infatti questi anni con la sensazione davvero inquietante di un mondo in preda ad una vertigine senza più controllo. Questa società planetaria iperconnessa e delirante ci appare come una sorta di valanga che precipita a valle portando con sé e travolgendo tutto ciò che incontri: case, villaggi, ecosistemi, strutture mentali, codici morali, sacrosante verità. Meno male che possiamo già da ora e in ogni momento spostarci su diverse e ben più alte e aerate frequenze di pensiero rispetto al misto di angoscia, noia, ossessione economicistica, criminal minds, oscenità e pubblicità offertoci notte e dì dalla comunicazione di massa. Non dimentichiamocelo, fratelli, in specie quest’anno, ne avremo bisogno: in ogni istante l’anima può cambiare punto di vista, elevarsi, sganciare le zavorre mentali, tutto il chiasso e la violenza di questo mondo, e lasciarsi assorbire dal Respiro dell’Eterno: anche ADESSO. Il filosofo morale statunitense Michael Sandel dice che siamo passati da una economia di mercato a una società di mercato, in cui cioè tutto ormai è in vendita: i corpi, gli uteri, gli stessi diritti: possiamo pagare per saltare la fila o per tatuare addosso a qualche povero ragazzo spot pubblicitari o per affittare il corpo di una donna indiana e impiantarci dentro un figlio, magari con lo sperma di un “donatore” sudafricano, o ancora per affittare persone che si sottopongano a sperimentazioni farmacologiche pericolose o semplicemente per farci uccidere. Questo mercato globalizzato delle carni umane in realtà sta per deflagrare: ci sono 600.000 miliardi di dollari di ricchezza fittizia in giro, e cioè qualcosa come 12/15 volte il PIL mondiale, che prima o poi manifesteranno la loro natura di buco nero, smascherando i crimini di decenni di speculazione e di consumi istericamente gonfiati. Ma ancor più ci sono ormai milioni di persone fuori di testa, sballottati dentro esistenze economicamente e psicologicamente insostenibili, vittime anch’esse, insieme ai disoccupati e agli emigrati, di un mondo disumano, la cui vera natura è quella di una Matrix vampiristica universale. La nostra civiltà occidentale ha superato da tempo la linea mortale, la deadline di uno sviluppo ancora pienamente umano, ha smarrito da tempo addirittura il senso comune e unificante di cosa sia l’umano. Viaggiamo infatti da decenni in zone psico-culturali ben poco umane: osservate, vi prego, con attenzione da questo punto di vista il flusso pubblicitario che ingoiamo ogni giorno, la sua minuziosa educazione, rivolta in specie ai bambini, a uscire appunto dalla sfera dell’umano… L’economista francese Serge Latouche arriva perciò ad invocare esplicitamente una radicale conversione: “Noi occidentali dovremmo trovare l’ispirazione per realizzare una metànoia, cioè un ritorno a noi stessi”. Noi, nei Gruppi “Darsi pace”, lavoriamo appunto per questa conversione dell’intera civiltà cristiano-occidentale ai propri stessi ideali obliterati: la nostra civiltà, infatti, ormai catastroficamente trionfante e planetarizzata, non ha altre vie di evoluzione umana se non quella di riscoprire in modo del tutto originale la propria matrice cristiana, l’ispirazione cristiano-messianica di tutta la modernità, della scienza come della democrazia moderne, e, purificandone le tendenze nichilistiche, proseguirne la traenza storica. Al contempo però questo processo rivoluzionario richiede anche una purificazione rigenerativa ed un grandioso rilancio della stessa esperienza di fede: l’attuale crisi della fede cristiana infatti sta in realtà alla radice della crisi di civiltà in cui stiamo precipitando. Non usciremo mai da questo precipizio nell’inumano e nell’antiumano se non riscopriremo la nostra sostanza spirituale ebraico-cristiana; e al contempo non riaccenderemo mai questo fuoco di luce sulla terra se non rinnoveremo profondamente e seriamente la nostra esperienza di fede, il senso cioè di una liberazione che superi ogni schiavitù, anche quella della morte. Le donne e gli uomini ancora vivi in questo Occidente sconsolato dovrebbero perciò occuparsi con entusiasmo e determinazione soltanto di questo duplice rinnovamento: della propria cultura (anche politica) e della propria fede. Di questo immane compito devono occuparsi la Chiesa cattolica e le altre Chiese cristiane in primo luogo, ma poi anche quei partiti e quei movimenti culturali e politici che non diano per scontato questo progressivo ed estenuante esaurimento nervoso dell’intera civiltà umana.
Id: 875 Data: 09/09/2013 08:51:31
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- Letteratura
Scienza, Filosofia e Teologia
SCIENZA, FILOSOFIA E TEOLOGIA SONO LE COMPONENTI DELL’INTELLETTO UMANO a cura di Ninnj Di Stefano Busà A formare una triade indissolubile per l’esperienza degli umani si fa carico una triade che interpreta e indaga sulle fenomenologie, le teoresi, i princìpi metodologici relativi alle indagini sensorie e sperimentali dell’individuo. Scienza, allora, è l’indagine speculativa volta a individuare, definire, riconoscere, capire e interpretare la realtà che ci circonda, i suoi diversi aspetti gnoseologici e tutte le conoscenze che attengono alla forma materica, che in forza della sua progenitura, dai primordi del “caos”, tende alla fase sperimentale per definire il mondo che ci circonda. Filosofia è intesa la ricerca delle verità essenziali dell’essere, dei princìpi e delle ragioni di ogni manifestazione umana: in sintesi potrebbe intendersi la riflessione per tutto ciò che la scienza indaga, scopre, elabora, conferma o dissente dal tirocinio della sfera materiale per essere intellettuale, teoria anche sperimentale dell’intelletto “cogente”. Teologia viene definita la scienza di Dio, la cristologia come materia delle cose divine che si orienta ai principi trascendenti tramandati dalle Sacre Scritture e dalla Bibbia, di cui il cattolicesimo si fa interprete e promotore. Bisogna qui chiarire che malgrado una disciplina sia inerente o collegata all’altra e tutte fanno capo al genere umano, non sempre scienza, filosofia e teologia sono andate d’accordo. Vengono riportate dalla storia gravi conflittualità tra scienziati, teologi e filosofi, quale frutto amaro di un procedere cieco, della caparbietà e superbia che alberga nell’uomo in quanto portatore di ostinati preconcetti che offuscano le menti e avvelenano gli animi. Sta proprio nel cristianesimo l’incontro tra trascendente e fede nella verità, tra il qui e l’oltre. Dunque occorre rompere il silenzio, la cortina nebbiosa sulla potenza dei segni, dei simboli, non essere temerari né tremabondi, di fronte alla potenza divina, ma acconsentire a tradurre le teumaturgie che provengono dal rigore intellettuale senza respingimenti, con la mente sgombra rispetto all’onnipotenza e mettendo in atto un piano di custodia dei principi della fede. Le tre esperienza possono e debbono confluire nella storia come interpretazione di conoscenze, segno e riscatto di plurime angolature atte a precostituire il tessuto della conoscenza, ma tra discipline che si integrano tra loro lealmente e cristianamente, ma anche laicamente scavando ai limiti di ogni realtà, col bulino della saggezza e dell’intelligenza, con rigore e onestà intellettuale, rispetto all’unica verità possibile.
Id: 867 Data: 30/08/2013 09:47:05
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- Cultura
Il poeta è lessere più imperfetto
“Il poeta è l’essere più imperfetto che cerca la perfezione ovunque”
articolo di Ninnj Di Stefano Busà
Quando si parla di Poesia c’è il dubbio che si parli di qualcosa di assolutamente astratto che ci commuove o ci sommuove, ci spinge a cercare dentro o fuori di noi la Bellezza che manca nel mondo.
E infatti, sono convinta che il poeta sia tra gli esseri umani il più “imperfetto”, il più lacunoso e incapace di trovare la perfezione che disperatamente cerca.
Ha uno strano e ambìto progetto il poeta, che è quello di perseguire la perfezione ovunque essa si annidi, nel mentre la cerca, essa gli sfugge, si allontana da lui, in una sorta di sortilegio che lo fa essere sempre altrove, da dove essa si trovi, altrove da sè, altrove dai luoghi, dalle cose che egli possiede e ama.
E allora per quanto egli la evochi, per quanto desideri raggiungerla, essa è sempre lontana o pare allontanarsi sempre più dal suo progetto iniziale.
Vi sono due tipologie di poeti. chi scrive per se stesso, inseguendo il modello di bellezza che ha dentro di sè, che lo ispira e gli fa immaginare una perfezione “superiore” a quella che lo circonda, e quella di chi scrive a tavolino, direi <a freddo>, per immettersi in un mondo, che gli consenta il protagonismo intellettuale, pirotecnico, (e spesso illusorio), le luci della ribalta, la popolarità e il successo.
La poesia invece ha tempi lunghissimi, è qualcosa che origina da molto lontano e va verso territori inimmaginabili. Se tutto va bene, trasferisce il progetto poetico oltre noi, oltre il momento, in una dimensione storica che può collocare il poeta nella pagina letteraria del futuro come un vate.
La dimensione irreale che è perennemente sul punto di implodere al di dentro, esplora emozioni “altre”, che le restituiscano la funzione del Bello che in sé non possiede.
E’ come se al poeta mancasse il terreno sotto i piedi, più corre per inseguire la perfezione, più quest’ultima si allontana, rifugge da lui, si estranea o si mescola con la realtà cruda del quotidiano, impedendogli di vedere oltre la cortina di nebbia del suo osservatorio privato.
Il rischio peggiore per un poeta è quello di sapere che non troverà mai la perfezione che cerca, ma si dovrà accontentare del <perfettibile> che la surroga almeno in parte.
La poesia, infatti, nella sua vera accezione, è un conto aperto con l’anima di chi la scrive.
Ogni poeta sa che si può estinguere in ogni momento, ma al contempo è cosciente che della sua essenza e superba bellezza non può più fare a meno fino alla morte.
Se è toccato dalla poesia, difficilmente rinuncerà a cercare dall’abisso fondo del buio le parole atte a comunicare con essa, (poesia) in quanto il tentativo per innescare un verosimile dialogo resta sempre un po’ incerto e incapace di aprirsi del tutto. Perciò, spesso si dice che “la poesia più bella è quella che un poeta ancora non ha scritto“.
Per il fatto che è induttiva e inebriante o esaltante essa trova molti fautori, ma con la consapevolezza che: chi scrive poesia è solo il guardiano del paesaggio interiore, semmai l’interprete, il transfert qualche volta, ma mai padrone di ciò che crea, perchè una volta creata la parola diventa di tutti, inibisce la proprietà di ciascuno che diventa ascoltatore di sè stesso. E come un teatro il cui palcoscenico è attraversato da tanti attori, tutti con ruoli diversi, ma compresenze di una stessa scena, una “piece” teatrale che è quella del mondo, dove trionfa il segno architettonico dell’avventura universale, ma non il tutto, come dire una pagina non l’intera rappresentazione.
La poesia è uno di quei disegni che sfugge ad ogni interpretazione o intuizione umane.
La poesia vive di se stessa, e cerca in se stessa la sua ragion d’essere, è biografa e registra ogni vibrazione dello spirito come se fosse il primo segnale del mondo, non si può coattare, nè impedire che venga fuori, d’improvviso, quando meno il poeta se l’aspetti. Sarà condivisione “dopo”, ma al momento del poiein il poeta è solo, come una madre che sta per partorire, in quel preciso momento la natività della parola è slancio, idealmente assolve il compito di neutralizzare le brutture, del mondo, rendersi perfettibile, compartecipe alle sue straordinarie manifestazioni scrittorie, ai suoi panorami intellettuali, alle sue emozioni e suggestioni. In un secondo momento la poesia sarà amore, sarà tendenza all’eterno, forse tendenzialmente votata ad essere altro da sè, ma lucidamente, prioritariamente anche del mondo.
NOTIZIE di Ninnj Di Stefano Busà
Rivelatasi come poeta, poco più che quindicenne a Salvatore Quasimodo (Premio Nobel), suo corregionale e amico di famiglia, ha mostrato nei vari decenni una produzione letteraria più che qualificata.
Ha pubblicato 20 voluni di poesia, per i quali ha avuto prestigiosi estimatori critici. Scrittrice raffinata e consodidata da plurime esperienze. Laureatasi con una tesi su Benedetto Croce: L’Estetica crociana e i problem dell’Arte ha raggiunto nel tempo ragguardevoli posizioni liriche. Considerata oggi una delle massime figure nel diorama della poesia contemporanea, ha avuto prefazioni da Giovanni Raboni, Marco Forti, Giorgio Bàrberi Squarotti, Walter Mauro, Emerico Giachery, Davide Rondoni, Dante Maffia, Francesco D’Episcopo, A. Coppola, A. Spagnuolo, S. Demarchi e altri, recensori come Attilio Bertolucci, Alda Merini, Fulvio Tomizza, Antonio Piromalli, Neuro Bonifazi, Renato Filippelli. E’ storicizzata nella Grande Enciclopedia per le Università e i Licei in 6 vol. dell’Editore Simone. Innumerevoli riconoscimenti alla Cultura e alla Letteratura. Insignita dell’onorificenza di “Dignitario di Letteratura” dal Consolato Gen. dell’Ecuador (equivalente al ns. cavalierato)
La scrittrice si è saputa reinventare nel tempo, pur seguendo il solco della tradizione lirica. Il suo linguaggio sfugge al rischio della ripetizione e dell’autocontemplazione estetica, nuovo e sempre motivato risulta il modello, per la continua sollecitazione e ispirazione di un fattore interiore determinante che lo sollecita.
Un linguaggio esente da scorie che in una continua esigenza di rinnovamento si è fatto sempre più alto (G.Bàrberi Squarotti).
Una poetica che origina dal divino e si alimenta del quotidiano, superando: perplessità, dubbi, contraddizioni, inquietudini e conflitti esistenziali in un afflato ampio di cosmogonia.
La poesia di N. Di Stefano Busà va oltre il banale, oltre le punte d’iceberg di un diluvio, avendo in cuore la poesia che canta tutto il “suo” sublime stupore e la sua verità.
Id: 848 Data: 02/08/2013 10:53:26
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- Letteratura
Intervista di Matteo Montieri a Ninnj Di Stefano B
SU SUGGERIMENTO DI GIOIA LOMASTI SIAMO LIETI DI INTERVISTARE LA SCRITTRICE Ninnj Di Stefano Busà poetessa, critico, saggista e giornalista. Ha iniziato a scrivere poesia in giovanissima età. Aveva 13 anni quando propose una raccolta di poesie a Salvatore Quasimodo suo corregionale e amico di famiglia, che si entusiasmò al punto di volerla premiare con una sua prefazione, se da lì a poco non fosse deceduto. La sua poesia seguì un diverso corso di eventi. Negli anni successivi fu poi apprezzata da altre personalità della Letteratura, seguirono gli autorevoli Carlo Bo, Mario Sansoni, G. Bàrberi Squarotti, Attilio Bertolucci, Antonio Piromalli, G. Manacorda, E. Sanguineti. Con il loro favorevole parere critico, l’autrice pubblicava le prime timide opere e risultava vincitrice di alcuni premi prestigiosi. Iniziava la sua vera attività con raccolte significative vinte in premi letterari rilevanti che ne mostrarono il talento. Incassava recensioni, prefazioni e scritti di Alberto Frattini, Giuseppe Benelli, Fulvio Tomizza, Geno Pampaloni, Walter Mauro, Emerico Giachery, Marco Forti, Francesco D’Episcopo, Plinio Perilli, Giovanni Raboni, Roberto Carifi e di altre qualificate personalità del mondo letterario che a vario titolo le hanno dedicato prefazioni, saggi critici, monografie. Molti l’hanno paragonata ad Alda Merini, taluni critici vi hanno riscontrato affinità con Montale. Arrivano premi come il “Libero De Libero”, (Fondi) con Le lune oltre il cancello prefazione di Bàrberi Squarotti, o come il premio editoriale “Agemina” con l’opera: Abitare la polvere prefata da A. G. Brunelli, e poi ancora L’attimo che conta prefata da Vittorio Vettori, Quella dolcezza inquieta prefata da Vittoriano Esposito che vince il Premio Atheste della Regione Veneta nel ’98. Poi anni di fervido silenzio ai quali seguono in accelerazione libri come L’Arto-fantasma, prefata da Giovanni Raboni (Premio Maestrale, Sestri, (2005); Tra l’onda e la risacca, prefata da Marco Forti (2007) pluripremiata; Quella luce che tocca il mondo (2010) con prefazione di Emerico Giachery, (Premio Tulliola 2011); Il sogno e la sua infinitezza prefata da Walter Mauro (2012) e ancora: Eros e la nudità con saggi introduttivi di Walter Mauro, Plinio Perilli, Arturo Scwarz. Ha pubblicato ventidue raccolte di poesia. Ha collaborato a varie testate giornalistiche qualificate con studi critici, articoli di attualità, di politica e letteratura. La scrittrice si occupa anche di Estetica, Critica letteraria e Storia delle Poetiche, oltre che di Letteratura e di Scienza dell’Alimentazione. La sua vasta opera è raccolta in saggi, studi critici e articoli di varia natura. In saggistica ha pubblicato: L’Estetica crociana e i problemi dell’Arte (1986) che ha vinto rispettivamente i Premi: La Magra (Sp); il Premio G. Parise di Bolzano e il Premio Nuove Lettere dell’istituto italiano di Cultura di Napoli. In esclusiva per vetrinadelleemozioni.com. Ninnj Di Stefano Busà concede questa intervista: Molte opere dell’antichità iniziavano con un invocazione ad una Musa, lei ha curato cinque antologie della collana “Poeti e Muse”, cosa può ispirare un poeta, o un artista in generale, e più in particolare è esistito nel corso della sua carriera qualcosa o qualcuno che l’ha ispirata profondamente? L’ispirazione viene dal di dentro, leggere, confrontarsi coi grandi scrittori, assimilare le loro opere con vivo e tenace interesse può essere di sostegno e di grande preparazione per il genere letterario. È necessario un entroterra culturale che nutra alle basi il sostrato emergente, una forma di vita entro la stessa vita, si presenta come il filo di Arianna per dipanare l’ispirazione, far proprio un certo sistema autonomo che io definisco come “vasi comunicanti” per entrare in contatto con la propria ispirazione, uscire dal labirinto delle forme che si accavallano per delineare immagini e contenuti ben definiti dalla caotica espressione-sperimentazione della propria interiorità, che non deve essere compromessa da nessuna configurazione preminente, ma solo dal “segno” poetico, ammesso che vi sia e sia forte. Ho curato diverse antologie poetiche di vari autori per la collana “Poeti e Muse”. In ogni poeta ho riscontrato autonomie di linguaggio e stili che li contraddistinguono, credo che la vera Poesia ha bisogno di spazi esclusivamente privati, nessuno può influenzare un poeta in modo tale da sostituirsi alla sua anima o alla sua ispirazione. Molti autori letti e studiati mi sono piaciuti, alcuni li ho amati e ne sono stata fervida ammiratrice, ho letto tanta poesia francese, inglese e americana, ma sono rimasta sempre me stessa, pur cercando differenziazioni, variazioni comprensibili nella ricerca di novità del linguaggio. Ogni tempo della propria sperimentazione si annuncia diverso per ciascun autore, in progress e sempre diversificati sono stati tutti i libri che ho scritto. Sempre parlando delle sue opere c’è un intenzione di trasmettere qualcosa al lettore o sono state delle opere che rispecchiavano un determinato momento del suo animo? Ogni scritto lascia sempre dietro di sé un messaggio, magari inconscio, e in esso va colta la sostanza esistenziale che lo rappresenti. Tra le tante attribuzioni che si fanno al poeta c’è appunto quella di trasmettere emozioni, ma è sempre sincero e coerente il poeta o si può parlare di bifrontismo, secondo cui a volte la poesia diventa un sogno e vive una realtà ben diversa da quella cantata nei suoi versi? Il poeta non si pone mai, quando scrive, un procedimento -in interiore- su cui inserire le proprie emozioni, lo fa a caso, o perlomeno, ricerca le prospettive che più gli si addicono. Non è bifrontismo, ma voglia di aprirsi alla conoscenza, uscendo dall’isolamento e dal labirintismo dell’io per congiungersi all’etos, al nostos, alimentando forme di linguaggio che, di volta in volta, appaiono diverse e variegate, per finire alla più completa libertà di espressione che lo rappresenti. Il sogno c’è, ma vive una realtà “altra”, da quella cantata nei propri versi, oserei dire che <sogno e mito> vi fanno da sfondo, ma ogni poeta attraverso il suo percorso individuale ne propone una configurazione di tracciati differenti. Un argomento di attualità della politica nazione è quello dei “saggi”, uomini che hanno specifiche capacità, e colui che parla di emozioni che ruolo può avere nella società? La letteratura isola dai loschi intrichi della politica, per fortuna, la saggezza della poesia è racchiusa nelle emozioni, suggestioni, o nelle variabili segrete dell’io più interiorizzato, non nella mercificazione e nello scambio “utile” di ogni politicizzazione Occupandosi di storia della poetica è arrivata ad avere una immagine unitaria di essa? pensa di essere arrivata ad una conclusione, quando ripensa al corso storico di quest’arte c’è qualcosa che la fa ragionare? Mi sono occupata, come docente, per moltissimi anni di Storia delle Poetiche in corsi universitari. L’arte non ripete se stessa, né istruisce il karma che viene visitato di volta in volta da un tempo e da un luogo a se stanti. Ogni Poetica vive il suo momento storico, cerca prospettive di linguaggio mai esaustive, mai concluse, ma sempre alimentatate da stilemi in evoluzione, da linguaggi in formazione: le forme poetiche sono l’espressione di talenti sempre diversi nei confronti delle epoche storiche. Ogni individuo è testimonianza della sua storia individuale, ma anche della parola scritta che ne attraversa tutto il confronto storico e umano. Nella sua vita ha incontrato molte personalità, ma in particolare fu Salvatore Quasimodo ad incoraggiarla all’attività poetica, come avvenne l’incontro? Era amico di mio padre, le famiglie si frequentavano e in uno degli incontri mio padre estrasse un piccolo foglietto che teneva sempre in tasca, e glielo lesse. Restò favorevolmente colpito e gli chiese lui stesso di dargliene in lettura altri testi. Da lì, partì il suo incoraggiamento che purtroppo non ebbe sviluppi, in quanto lo stesso anno morì. Tra le sue ultime composizioni poetiche si evincono titoli come: “La traiettoria del vento” “ Il sogno e la sua infinitezza” “Eros e la nudità” a cosa si riferiscono i titoli delle sue opere? come nascono? Essi sono il concentrato, l’essenza di ciò che nel libro voglio rappresentare, in genere trascrivo diversi titoli che meglio stiano ad indicare l’embrione o la forma desiderata da indicare nel testo. E un po’ come il nome da dare al nascituro, Il titolo è importante, rappresenta il biglietto da visita per il lettore. Io elaboro molto ogni testo, perché vedo nel titolo l’immagine iniziatoria della sua genesi. Ci parli dei suoi progetti futuri Ho da poco portato alla luce con la collaborazione di Antonio Spagnuolo L’Evoluzione delle forme poetiche (Kairos Edizioni) un grosso tomo di circa 800 pp della migliore produzione poetica di fine millennio. Si tratta di un archivio storico di grande impegno e ricchezza di contenuti che immagino passerà alla Storia della Letteratura. Sta per uscire un altro libro per i tipi dell’Editore Ursini: La distanza è sempre la stessa. La ringraziamo molto per il tempo dedicatoci. A cura di Matteo Montieri
Id: 769 Data: 10/04/2013 08:40:23
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- Politica
Il delinearsi degli anelli più deboli della catena
UNA GRANDE TRAGEDIA PER GLI STATI PIU’ DEBOLI DELLA U.E. QUESTA E’ LA MIA PERSONALE IMPRESSIONE, MA E’ AVVALORATA DAI GIUDIZI DI GRANDI ECONOMISTI E GENI DELLA FINANZA GLOBALE CHE INTERCETTANO IL RISCHIO DI UNA DEFAILLANCE DEL MERCATO DELLE NAZIONI PIU' DEBOLI DELLA CATENA. di Ninnj Di Stefano Busà Nessuno parla della situazione che si verificherà nell’eurozona manipolata dalla politica speculistica e truffaldina della UE che ci sta portando allo sfascio. Le nazioni più forti economicamente vogliono soppiantare quelle più deboli, in modo da avere meno bocche da sfamare nel 2015/2020. E succederà. La prima ad uscire sarà la Grecia, seguita dalla Spagna e da altre, per non fare il nome dell’Italia che è all’osso, ridotta ai minimi termini da una politica troppo rigorista, fatta di tasse e balzelli. E’ la teoria dell’economista Charles Robertson di Reinaissance, dove c’è il massimo rigore, si comprime lo sviluppo, l’incremento del peso fiscale riduce sul lastrico un popolo e ne sentenzia il fallimento economico –default - Ma c’è anche chi si spinge oltre, come il gestore di fondi speculativi Kyle Bass, secondo cui il destino dell’Europa è già segnato. Ma a dare dichiarazioni shock è Reuters. La recessione non avrà breve durata, la crisi andrà molto oltre le previsioni e non avrà lieto fine, sfocerà in una guerra mondiale ha concluso Bass Fondatore di Hayman Management Capital (Dallas). Bass è convinto che assisteremo a guerre sanguinose e rivoluzioni, un vero dramma per le popolazioni e gli stati che non potranno stare al pari con le speculazioni di un sistema capitalistico da guerra “stellare”. Lo stallo sarà un’immensa perdita di capitali che sotto forma e fatti passare per diminuizione del debito pubblico lasceranno sul campo morti e feriti. Il fenomeno potrà nel tempo allargarsi fino a provocare una riduzione drammatica sugli stati sovrani che dovranno uscire dall’euro. Ma non è molto lontano questo rischio, anche se nessuno ne parla, e proprio per questo, perché viene tenuto sotto silenzio, avverto il pericolo incombente e prossimo ad accadere. A dare il primo segnale è l’Inghilterra, cui potranno seguire altri stati in grave affanno e
Id: 733 Data: 22/02/2013 08:51:46
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- Politica
Monti vorrebbe fare il funerale allItalia
MONTI VORREBBE FARE IL FUNERALE ALL’ITALIA di Ninnj Di Stefano Busà MONTI ha battuto ogni record. In 12 mesi ha aumentato l'IVA di 2 punti, creato 750.000 disoccupati in più, fatto chiudere altre 250.000 aziende, applicato l’articolo 18 con licenziamenti possibili (per fortuna non c’è lavoro per nessuno, quindi i suoi licenziamenti sono del tutto superflui), in compenso, per pareggiare la perdita ha creato una marea di esodati (il che vuol dire uomini e donne senza stipendio e senza pensione), imposta una tassazione che non avrà l’eguale nella storia del fisco, con una I.M.U esorbitante che ha ingoiato gli ultimi spiccioli ai superstiti, annichilito il livello di sopravvivenza degli italiani che sono ormai avviliti, prostrati da queste cure di cavallo, da queste doppie e triple dosi di veleno potentissimo. Ha ridimensionato la Sanità, (in peggio), eliminando numero di letti, reparti di ricerca e tecnologia, laboratori etc. Tutto perché? per dimostrare alla UE e ai mercati finanziari che ruotano intorno al business che siamo solventi. Pensate un po’: uccide un paese d’ingenui per dimostrare al mondo una ricchezza che non c’é: l’Istat stima 40% di effettiva soglia di povertà e altra percentuale si prevede a breve, perché miseria trascina miseria e, per trascinamento arriveremo ad essere tutti poveri. La Caritas ha dichiarato lo stato di allarme, poichè sono parecchie migliaia le fasce di indigenza che utilizzano il pasto delle Organizzazioni solidali, e ciò, indipendentemente dagli emigrati che sono già parecchie migliaia di più al giorno. Un uomo venuto dal nulla è stato capace di far suicidare decine di imprenditori falliti che si sono tolti la vita piuttosto che avere di fronte lo spettro della miseria per sè e per i figli, i dipendenti etc. Questo genio della finanza, burocrate e tecnocrate attorniato da altri macroingegni di prim’ordine, ha aumentato tutto tranne il numero di italiani che soffrono la fame e non giungono alla fine del mese. Per l’IMU ha avuto una sanzione e un rimprovero persino dall’UE che l’ha ritenuta una tassazione record che rischia d’impoverire ulteriormente l’Italia. Non ha imposto la stessa tassa agli immobili e ai Beni economici del Vaticano e del Clero, non ha sottratto un solo euro ai vitalizi, agli stipendi ragguardevoli dei parlamentari, non ha tagliato su niente, ha solo fraudolentemente virato sulla povera gente, sugli impiegati e operai riducendoli in poltiglia e avvilendo il loro già esiguo introito. Non ha fatto le liberalizzazioni tanto sbandierate, non ha promosso la crescita sul lavoro e sull’occupazione. Troppo difficile per il “professorino” velleitario mettere le mani in queste bazzecole, è sufficiente mettere le mani nelle tasche del ceto medio, solo da lì si ricava il maggiore introito. Allora che bisogno c’era di chiamare un tecnocrate informatissimo sulla gestione dell’impero finanziario? un economista di prima classe (si vociferava) che si è rivelato un “ragioniere” da strapazzo, (il mio nipotino di 11 anni avrebbe potuto fare lo stesso), senza lo schieramento di quell’entourage di quegli altri evoluti rappresentanti dei migliori quozienti intellettuali, genialoidi nullafacenti. Spettacoli deprimenti: una Fornero che piange in diretta televisiva,per poi accanirsi contro il ceto medio con una raffica di rappresaglie inaudite. Avrebbe potuto risparmiarcela. Ma lo sapete dove sono finiti i soldi degli Italiani? tutti quei milioni di euro raggranellati con una sola mossa fenomenale attraverso la tassazione mostruosa? Quel che è peggio è che ha regalato i nostri soldi alle banche, non li ha riutilizzati per sostenere l’economia di casa nostra, non li ha rimessi in circolazione per create nuovi posti di lavoro ai giovani, per dare respiro all’industria, al commercio che hanno perso quota e si sono disintegrati, smembrati, delocalizzati all’estero per troppe tasse. Infine dove sono finiti quei miliardi tanto invocati dalla rigorista strategia della teutonica Merkel &. Co.? sono state ingoiate dalle Banche le quali cpn grandissimo entusiasmo hanno inneggiato alla politica di Rigor Montis, certo, cosa di meglio avrebbero potuto sperare che un premier che ne toglie ai poveri per darne ai ricchi (una sorta di Roben Hood alla rovescia!) Ora ha la faccia tosta di presentarsi alle elezioni e come sempre agire da furbastro privo di scrupoli, senza sporcarsi troppo le mani si allea con i centristi fallimentari come Casini e Fini che lo hanno sostenuto per darsi una mano a vicenda, insieme sperano di farcela! Ma la popolazione è avvertita! se appena in un anno di potere indiscusso ha potuto partorire solo tasse e NIENT’ALTRO, PENSATE COSA POTREBBE FARE CON UN ALTRO MANDATO!!! Non dimenticate gente che ci ha distrutti. Nell’interesse del paese non dategli la soddisfazione di farci il funerale.
Id: 706 Data: 14/01/2013 16:00:32
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- Politica
Un governo privo di coscienza morale
IL CITTADINO RIDOTTO A SUDDITO DA UN GOVERNO CANAGLIA, SENZA TRASPARENZA MORALE E PRIVO DI COSCIENZA CIVICA di Ninnj Di Stefano Busà Da una indagine a lungo raggio risulta che il peggior malgoverno dell’area mittleuropea è stato realizzato in Italia. Un modello arcaico, di fantomatico sistema intercambiabile ma non trasformabile, sarebbe come dire: far finta di cambiare, senza cambiare nulla. Una tattica che ha dato pessimi risultati, perché si realizza la definizione matematica per la quale scambiando gli addendi il risultato rimane lo stesso. Quindi fumo negli occhi dei cittadini ignari, che vedono l’inadempienza sommergerli ogni giorno di più fino a divenire intollerante. Non ci siamo mai soffermati in quest’ ultimi due anni sulla fine che farà la generazione che è stata defraudata dal lavoro. Ebbene, facciamolo. Per pochi anni ancora sopperirà alla mancanza di occupazione giovanile, un ammortizzatore sociale di grandissimo rilievo: la famiglia, i pochi euro dei vecchi genitori ormai anziani, qualche lavoretto di “sfroso”, qualche call center con paga miseranda di un precariato giovanile che diviene ogni giorno di più un dramma. Ora riflettiamo, questo status non può essere eterno. I vecchi genitori che mantengono i figli maturi, esodati o disoccupati, questa generazione di poveri vecchietti pensionati si estinguerà negli anni a venire, moriranno e, allora? quali ammortizzatori troveranno in una Italia martoriata da tasse, da balzelli, succube di un’europa sempre più ingorda, con un debito pubblico strabiliante per il quale ora può giustificare agli occhi dell’europa di stampo mittlemerkeliano il versamento di ingentissime somme facendole passare per indispensabili ad estinguere il debito, col solo scopo di diminuire il tasso percentuale d’interesse dello stesso (è la favola?) Ma ora sappiate che non è più credibile, dobbiamo metterci in testa che la verità non è questa, è quella di incrementare utili su utili ad un sistema bancario corrotto e ignobile che chiede sempre di più e dà sempre meno in termini di costruzione di una Europa Unita. NON C’E’ nulla di vero in questo concetto fraudolento che vuole abbattere gli stati più fragili economicamente. Ora passiamo ad un altro argomento di grande rilevanza: quando ci si accorge di un errore madornale, e questo errore può portare a morte certa interi paesi, fare affondare popoli nella fame e nell’indigenza più nere, non si rema controcorrente, si corre ai ripari, non si lascia morire un popolo di stenti, di miseria. Ed è quello che sta facendo l’establishment di ogni mandato di turno...Accortosi di aver fallito, di non aver considerato che prima si fanno le leggi e poi le alleanze, continua impeterrito la sua strada verso la distruzione totale. Mi dite perchè di tornare indietro si parla solo in sordina? chi mette questo dictat? chi impone che indietro non si torna, ovviamente chi ne ricava il suo maggior profitto? ovvero la zarina merkel che ne trae il massimo giovamento. Ma noi non possiamo sottacere, obbedire ad una linea politica che vede avanzare le strategie e le supremazie teutoniche. Prima o poi la Ue scoppierà perchè taluni Paesi meno dotati finanziariamente imploderanno e vi sarà la resa dei conti, allora ne vedremo delle belle e come si dice: affonderemo nella melma creata da noi stessi a nostro d
Id: 702 Data: 13/01/2013 10:58:10
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- Letteratura
Intervista di N. Pardini a Ninnj Di Stefano Busà
Intervista A Ninnj Di Stefano Busà a cura di Nazario Pardini N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia sempre differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi argomento tratti? Risposta: le occasioni della vita sono davvero innumerevoli, e ad ognuna va data la giusta dimensione, il giusto valore per connettersi direttamente con l’anima, e dunque con la Poesia. Vi sono state occasioni in cui il cuore gioiva o s’incupiva, nelle quali vi sono state le nascite delle mie figlie, dei miei nipotini, rare e delicatissime le sensazioni, le suggestioni, anche l’ispirazione seguiva il corso delle vicende, com’è ovvio. Ma la mia produzione origina in profondità, tra le dita del caos, ha vissuto momenti e sedimentato molto in anni di attività letteraria, in cui sono stata esclusivamente lettrice e non autrice. Quasimodo che fu amico di mio padre, ne aveva intuito le capacità linguistiche, fin dal principio, incoraggiandomi a proseguire. L’ho fatto con la più ampia fede nel messaggio medianico della Poesia, perché la Poesia è un messaggio che ci viene dall’oltre, naviga negli spazi iperurani di altre realtà invisibili per offrirsi a noi che l’amiamo con tutta l’anima, ma non necessariamente e per tutti deve essere lirica nè elegiaca, a volte può essere di “rottura”, sul tema sociale, morale, etc. Nei miei versi vi sono io, il mio pensiero e le mie riflessioni, senza essere solamente autobiografica, perché nella mia produzione c’è molta filosofia, a volte metafisica del pensiero, molta “estetica” come studio della parola in sè: vi sono io sullo sfondo, ma il mondo, l’universo visibile e invisibile tutt’intorno, vi è soprattutto l’esigenza di capire l’universalità dell’anima, attraverso la spinta interiore della coscienza e di intuirne i meccanismi, le regole, le condizioni dell’essere e del divenire. N. P.: Essendo uno degli interpreti principali della poesia e della cultura contemporanea, la sua poetica è in gran parte nota attraverso le innumerevoli recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare lei direttamente? Risposta: credo sia tutta racchiusa nelle mie opere, 20 pubblicazioni sono un cospicuo numero, ma non credo di fermarmi qui. Ho in cassetto varie altre opere inedite. La mia vena è sincera e fertile, mi rinnovo facilmente dalle nuove esperienze di vita, dalla crescita intellettiva e umana che profila il mio operare in Letteratura, non credo di essere ripetitiva, perché credo nella forza della parola e nella sua luce che promana una speranza fideistica sul mondo. La poesia è maieutica, è la zattera per non annegare in un mare di banalità e di assenteismo quale il nostro periodo storico vive convulsamente. Si nutre di dolcezze, anticipa quelle linee di demarcazione che dovrebbero renderci partecipi dell’universalità, per regalarci quell’attimo di eternità cui aspiriamo.. . N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché? Risposta: ho sempre letto molto. Ai tempi di scuola: Dante, Petrarca, Tasso, Leopardi, poi da Keat a Verlane, Rimbaud, Holderlig, dai poeti russi: Tolstoj, Dostoevskij a Machado, Neruda, ai nostri contemporanei Montale, Ungaretti, mi sono nutrita del corregionale Quasimodo in anni di formazione culturale. Sono stata un’appassionata lettrice, forse più di quanto sia autrice. Ho sempre avuto come “seconda pelle” la cultura poetica. Ho iniziato a 13 anni e porto avanti la Poesia come fosse la Bibbia, le Sacre Scritture, con lo stesso slancio, la stessa inesplicabile passione del primo giorno. Il mio è impegno continuo incessante, la promuovo nelle Scuole, nei Licei, sono stata docente di Letteratura e di Storia delle Poetiche per lunghissimi anni all’Università Terza di Milano. Se mi chiedi quale poesia suscita il mio interesse, ti rispondo quella che non ho ancora composta, l’ultima, quella che passi alla Storia e che faccia dire alla Letteratura, (se mai vi sarà una Storia): questa è magica, questo testo è degno di essere letto...Ma è solo un sogno, la realtà è altra: sono un piccolo segno nell’immenso, una piccolissima virgola nell’eternità...che altro? N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo? Non credo proprio che una scrittura o una lettura possa contaminare a tal punto un autore da farlo divenire clone. In Letteratura non si può. Occorre l’autonomia di giudizio, ognuno deve possedere un suo profilo semantico, una sua libertà espressiva, un suo linguismo individuale, per un’ identificazione netta e chiara, per avere una sua sigla e un suo filone. Vi possono essere affinità elettive con altri scrittori, ma ciò può dipendere dalle ascendenze strutturali gnoseologiche, dagli studi, dalle tendenze, dai gusti, dalla formazione estetico-culturale, ambientale etc Per il resto ognuno sia se stesso fino in fondo, sempre. N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica? Risposta: ogni epoca ha avuto i suoi poeti, sotto il profilo sincronico e diacronico, ogni tempo è diverso dall’altro, ma da qui a voler fare uno sperimentalismo forzato, solo per essere anarcoidi e ribelli al classicismo, ne corre tanta di strada. Certo tutto cambia, anche i gusti in Letteratura, nella musica, nella pittura... Il minimalismo di oggi, però, sotto il profilo armonico, lascia molto a desiderare, si contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato, per pura contaddizione al passato, per ostentare una leicità sua propria, che mal si addice alla Storia delle Lettere. Vi possono essere varianti, modifiche nel ceppo linguistico e multimediale delle nuove generazioni, ma respingere tout court ogni metrica, ogni endacasillabo mi pare una forzatura, a freddo, una scomposizione degli elementi armonici di una scrittura, che non porta a nessuna novità e, semmai, segnala un nuovo disagio motivazionale e generazionale, che va indagato entro l’ambito di un rifiuto innovatore che in tal senso è solo di tendenza, o patologico. N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di Case Editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale? Risposta: Poesia” non dant panem”, allora, i grandi editoriali non ne ravvedono gli utili economici e un ritorno d’immagine, perciò, sono riluttanti e negano in primis la<Poesia> rilegandola al ruolo di merce inutile. Vi è una tendenza a tirar fuori dal cappello del prestigiatore un’antologia ogni decennio, frutto di una sollecitazione all’interno di poeti veterani, che vogliono passare alla Storia. Perciò qualche esperto si paluda da critico ufficiale e ne decreta i promossi e i bocciati . Ma non avviene nulla, non cambia nulla, non si muove una brezza: tutto resta come prima, perché non c’è la volontà di assumersi da parte della critica la responsabilità dei criteri storici, di cui tanto necessità avrebbe il profilo letterario di oggi. L’immobilismo e la scarsa intenzione di formalizzare criteri logici di marcatura storica fa pensare a critici inadempienti, artefici di una stagnazione che non avrà alcuna giustificazione nel Futuro. In quanto ai Premi davvero innumerevoli che persistono in Italia, bisogna considerare il fatto che vi sia un’altra fascia di mezzo tra gli “indignados” e gli spacconi (ovvero, quei” non poeti” che si spacciano per grandi autori). Ebbene, a costoro bastano le vetrine che li espongono, le passerelle e” le coppette del nonno” per autodefinirsi poeti. Ma poesia è altro persino da se stessa. Poesia è la voce del mondo che parlerà per noi, Poeti, semmai ve ne fosse bisogno, saranno tre o quattro, e nessuno di noi potrà ben fregiarsi di esserlo. N. P.: Certamente sarà legata ad una sua opera in particolare. Ne parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà nei confronti di un’analisi interiore? Risposta. No, a nessuna in particolare e a tutte, ognuna delle mie opere è per me una creatura, nata dalle mie viscere e dal mio sangue, un anelito alto di vita interiore, un’ansia sempre rinnovata di significati e di tappe della mia storia letteraria. N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…? e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi? Risposta: anche la letteratura contemporanea risente del disagio attuale dell’essere, non è altro che una logica conseguenza della politica, della società, dell’economia, tutti fattori carenti o ingessati, motivi di disorientamento e di declino di un’epoca storica tra le più travagliate e infelici. La situazione della Letteratura è quella di una società in piena crisi: anche lo Strega, il Campiello, il Repaci riflettono questo dato storico di alta ingegneria all’immobilismo. Sono premi quasi sempre pilotati dalle Grandi Case Editrici che fanno rientrare nel novero dei privilegiati taluni nomi escludendone altri. Il disorientamento è totale, nessuno crede più nel merito e nel criterio di valutazione di equità e giustizia. Il resto è fumosa politica intrigante e pervasiva, barbarismo paludato da democrazia delle Lettere. Nient’altro che un campo di spighe devastato dalla grandine, ovunque la desolazione...il declino N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente? Risposta: non c’è più nulla a fare, tutto è stato fatto, in peggio, certo, calpestato, vilipeso, distrutto da una società che si autodefinisce “moderna” ma che mantiene i tratti dei cavernicoli all’interno di una civiltà, che ogni giorno di più si fiacca, declina, muore La ringrazio per la sua disponibilità. NazarioPardini 04/06/2012
Id: 701 Data: 13/01/2013 10:51:18
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- Poesia e scienza
Lamore cosè?
L'amore cos'è? di Ninnj Di Stefano BusàPurtroppo, la facoltà di amare, la necessità di un procedimento psicologico di crescita, di condivisione con l'altro di noi, di affiatamento con qualcuno che ci affianca, ci accompagna, o vive con noi, è una capacità attitudinale non naturale che non tutti possiedono. Amare, poi è una cosa talmente difficile, così, rara e portentosa da divenire col tempo un privilegio, qualcosa che abbiamo o non abbiamo, quasi facente parte del DNA di appartenenza. E non è escluso che si scopra nel tempo, che l'amore è un enzima., magari una sorta di ormone. Di recente hanno scoperto che l'innamoramento porta un'accelerazione e un aumento della melatonina: un ormone che si trova nel nostro sistema organico e che sovraintende alla scelta della persona di cui ci si innamora. Perché non potrebbe essere altrettanto anche in amore?. Vi sono meccanismi oscuri che ci dominano, complicatissimi filamenti, accessi o collegamenti più o meno palesi che ci fanno essere diversi gli uni dagli altri, dentro un patrimonio genetico, all'interno di un tessuto umano, spirituale, morale, affettivo, logico, emozionale, che è difficilissimo da comprendere e altrettanto impossibile gestire, far confluire, armonizzare a nostro piacimento. La parte più intima del nostro generatore intellettuale, la massa intellettiva del nostro cervello, quella più profonda, deputata ai sentimenti, al raggiungimento della felicità accanto ad un altro essere umano è quella più difficile da gestire. Ritengo perciò che sia sempre una crescita intellettiva, qualcosa che mettiamo in gioco quando siamo più responsabili, più maturi interiormente. Cresce con noi, di pari passo, o non ci sfiorerà mai, se non l'aiutiamo a venir fuori, divenendo un tutt'uno con la nostra capacità di amare, all'interno di un sistema interiore di condivisioni e di rapporti interpersonali difficilissimi da comprendere , ma ancora più difficile da realizzare. Il successo o l'insuccesso dipendono da molte ragioni, non ultimo l'ambiente in cui siamo vissuti fino a quel momento, le crisi che ci hanno attraversato, le esperienze devastanti o felici che ci hanno fatto crescere o degenerare in atteggiamenti di difesa, di chiusura, di egoismi, di assuefazioni, di rifiuto. Non vi è al mondo materia più difficile e più maledettamente imponderabile e incomprensibile della mente umana. Dentro di noi è come se coabitassero mille persone diverse: una miriade di suggestioni, di atteggiamenti, di reazioni, di emozioni, alle quali bisogna aggiungere, di necessità, anche il passato delle persone che ci hanno accompagnato, che ci sono vissuti a fianco dall'infanzia fino alla maggiore età: più esattamente e presumibilmente genitori, parenti, figli, fratelli, sorelle, amiche. E' come se, vivendoci accanto, ci lasciassero dei segni, delle escoriazioni, delle ferite, oppure ci orientassero più felicemente ad intuire le regole dell'amore, ce ne indicassero gli orientamenti, o più in generale c'insegnassero a saper cogliere l'AMORE con la Maiuscola, quello vero, profondo, autentico, non distruttivo, non infelice e arido, non devastante e paranoico, non instabile e nevrastenico. SEMPLICEMENTE L'AMORE. Ma anche a saperlo individuare non è facile, come non lo è saperlo gestire, farlo crescere e progredire... Occorrono, senza ombra di dubbio, intelligenza, dosi massicce di autoconsapevolezza, di autocontrollo, di equilibrio. Non è facile per nessuno amare e restare con lo stesso indice di gradimento per sempre. Intervengono fattori esterni, estranei al sentimento, che demoliscono ogni giorno le certezze, rimuovono la stima, deludono, irritano. Non si può essere sempre come rocce adamantine dentro un mare in tempesta, vi sono momenti oscuri, esigenze diverse, tempi diversi e diversi modi di sentire lo stesso sentimento, che ci deviano, ci confondono. Ma basta essere maturi, cresciuti nell'orbita di un sentire che non vuole a nessun costo giungere a situazioni irreversibili, avere il privilegio della logica, della comune ragionevolezza, per non arrivare a passi estremi di autolesionismo e di intolleranza. Saper riportare tutto nella normalità, di un percorso comune, adulto, ragionato, educato alla tolleranza, alla comprensione, duttile, per poter progredire, crescere, perdonare, vedere le cose attraverso lenti bifocali di autodisciplina e cultura interiore, che è diversa da quella della preparazione dei corsi di studio. Si possono avere, in tal senso, due lauree ed essere analfabeta in -amore- analfabeta in tatto, in comportamento. in educazione, meritare zero in disciplina morale e in sinergia intellettuale. Tutto ciò è delle menti eccelse, non per comuni mortali (ci sussurriamo all'orecchio) invece non è così. Chiunque può accedere alla grazia di un Amore grande, basta non lasciarsi condizionare fa fatti estranei, da esperienze che se hanno segnato i genitori, i fratelli, gli amici, non è detto che debbano coinvolgere e travolgere anche noi. Bisogna avere la mente lucida, iperattiva, in grado di discernere il bene dal male autonomamente e sapersi dire, ogni giorno, davanti allo specchio: io sono un essere razionale, ho un indice di media intelligenza, non voglio essere plagiata o suggestionata da chicchessia, voglio agire da solo, voglio sbagliare o avere esperienze autonome che mi fanno crescere, senza implodere in me stesso come un allocco. Questo dovete fare cari amici e amiche. Ognuna delle esperienze di chi ci è stato vicino ha invece seminato zizzania nei nostri cuori, ha eluso la nostra sorveglianza intellettiva, ci ha condizionato, ha lasciato un segno, una traccia dentro di noi, ha manomesso la parte più delicata del nostro sentire, generando nei meandri più oscuri della coscienza una sorta di allarme, una sorta di (in)compatibilità col mondo esterno, con l'altrui. Mi spiego meglio: nessuno di noi vive solo, isolato in cima all'Everest, indipendentemente dall'amore o dall'affinità con l'altrui, siamo tutti legati gli uni agli altri, in una catena di sentimenti più o meno falsati, più o meno contraddittori, conflittuali con il nostro prossimo: ambienti lavorativi, rapporti interpersonali con colleghi, amici, vicini, viaggi, la nostra professione ci portano ad intrecciare volenti o nolenti rapporti con il prossimo. Può capitare che la persona che ci viva accanto lasci involontariamente dentro di noi un segno indelebile che non si cancellerà mai più. I genitori ad es. che sono stati i primi protagonisti della vita precedente vissuta in famiglia, hanno lavorato nel nostro subconscio quanto non osiamo neppure supporre. Il loro esempio nell'età giovanile, o nei primi anni di vita, quando la coscienza non è adulta, ma è virtualmente recettiva, fattibile, plasmabile, ondivaga, può essere determinante per una soluzione felice da parte di chi ha vissuto serenamente l'ambiente familiare, ma può anche essere un disastro per l'infelice adolescente che diventando uomo o donna si trovi sbalzato fuori, senza avere potuto imparare nulla. Si, amici, avete capito bene. L'amore s'impara, come a scuola la lezione di latino. Nulla si deve lasciare al caso e chi è analfabeta o non ha frequentato lezioni non può essere il primo della classe, perché gli manca il nozionismo atto a fargli scattare l'intelligenza, gli è del tutto estraneo o assente il meccanismo di penetrazione, di discernimento, di articolazione del bene e del male, in poche parole, tutta quella complessa struttura abilitata ad apprendere la cultura dell'amore, proprio come si apprendono le nozioni, le regole della matematica, delle lingue straniere, della fisica. La serenità vissuta accanto può essere determinante nel suo sistema di crescita e può pregiudicare tutto l'impianto psicologico del bambino, che sarà il futuro adulto. Per l'infelicità, poi ci serviamo da soli. Quando abbiamo vissuto carenze di affetti devastanti, quando abbiamo dovuto superare solitudine, incubi notturni, castighi immeritati, esperienze shock, che ci lasciano defraudati dall'enzima amore, al resto pensiamo con la nostra carica di crudeltà, d'indifferenza, di egoismo, di cattiveria. Ma davvero vogliamo peggiorare le situazioni? Se appuriamo che, qualcosa non va nel nostro organismo, andiamo dal dottore, se qualcosa non va nella nostra sensibilità, nel nostro organico sentimentale, siamo tentati di guarire da soli. No. bisogna lasciarsi aiutare, perché il cervello, l'anima, lo spirito sono di gran lunga la materia più difficile in assoluto, da controllare, da curare per non rimanere coinvolti in una infelicità complessiva, devastante per se stessi e per gli altri.
Id: 687 Data: 09/12/2012 09:56:53
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- Politica
La Politica deve cambiare se vuole rinascere
di Ninnj Di Stefano Busà Mi rivolgo a voi e soprattutto a chi ha l’avvedutezza di capire come stanno veramente le cose. Prima alcune voci hanno messo in giro una ripresa ipotetica nel 2013, salvo poi essere stata smentita e rinviata al 2015, dopo di che rimane il traguardo del “mai”. Siamo alle soglie di una catastrofe epocale, come si può sperare in una rinascita? in uno sviluppo generazionale imminenti? o almeno a breve scadenza? soprattutto, dopo aver fatto tante mosse, tante scelte sbagliate, dopo aver navigato controcorrente alla dignità, alla morale, al decoro, all’intelligenza. Viene da chiedersi allora dove stia questa prossima ripresa. Solo nei sogni ormai... Le riprese o rinascite avvengono nel tempo (tanto e realizzando risorse con criterio e intelligenza, sfruttando le risorse che ci vengono poste e facendo scelte di fondo giuste, ineccepibili. Le riprese possono realizzarsi e spesso sono il risultato di anni di malumore, di malessere e di crisi. I consumi di questi ultimi mesi sono ai minimi storici, l’Imu di Monti c sta sotterando; ha visto ingoiarsi le tredicesime e molti risparmi di poveri cristi costretti a vendersi i gioielli di famiglia per far fronte a mutui e tasse. Il governo di questo esecutivo verrà ricordato come quello della iniquità e delle superaccelerazioni dentro le tasche degli italiani. Consumi a picco, si comprano solo i prodotti di prima necessità atti alla sopravvivenza, il disavanzo è un continuo impoverimento delle classi meno abbienti che non possono più sopperire neppure alle necessità primarie. Allora di che ripresa si parla?...la devastazione è totale, il capitalismo avallato da protettorato da terzo mondo ha coperto le magagne e le frottole di questo sgangherato eroe di seconda categoria: tecnocrate impenitente, burocrate e realizzatore di impoverimenti macroscopici, che ci ha privati dell’ultimo residuo di speranza. Nei cuori alberga il seccume, non c’è luce intorno a noi, in una società siffatta, stritolata da egoismi e finanzialcapitalismi sfrenati e senza regole. Ci sentiamo quasi sospesi ad un filo, tra incognite paurose che iniettano malumore e malessere. L’uomo-Monti era adatto a bilanci ragionieristici in cui fosse facile provvedere con aggiustamenti spiccioli. La crisi che lo ha coinvolto nel frattempo è una crisi mostruosa, planetaria, una crisi da “fine del mondo” come da profezia Maya che ipotizza la fine il 21 dicembre del corrente anno di grazia. Che dire nel frattempo della democrazia? che dire della stragrande maggioranza degli italiani che stanno alla canna del gas? L.Gallino la dà come la peggiore della storia postmoderna, (pari solo alla calata degli Unni invasori che demolivano e radevano al suolo interi territori). Entrando nel cuore del problema per una disamina obiettiva e sincera, dobbiamo ammettere che siamo già fuori rotta, in piena collisione e nessun elemento parossistico e virtuale ci può essere più nocivo di quello che già viviamo, in assetto di scompenso e non solo morale, quanto economico e sociale. La pace è in pericolo, l’Italia perde pezzi e s’identifica come corpo estraneo alla politica globale. L’economia è destabilizzata da uomini mediocri, che sanno fare solo conti nel loro privatissimo bilancio e accaparrarsi posti di potere e compensi a cifre iperboliche portando il paese allo sfascio. E questa faglia si allarga ogni giorno di più, ha avuto il suo esordio con figure mediocri, che hanno saputo fare solo i loro interessi di parte e si conclude con ignominia e col degrado morale che è sotto gli occhi di tutti. La situazione è sfuggita di mano, non è più controllabile da nessun “Eroe da fumetti”, siamo alla stretta finale: non possiamo più accelerare verso la catastrofe, dobbiamo rinnovare i ns.sistemi di vita sul pianeta, essere collaborativi, non utilizzare l’egoismo come arma impropria di sopraffazione verso il mondo, perché esso non ruota attorno a ciscun cialtrone che prende in mano il potere e lo usa a suo scopo e a suo individuale servizio. Occorrono e, da subito, una nuova consapevole disciplina delle risorse planetarie, una nuova forma mentale che sviluppi nuove energie e il potere di salvaguardare l’integrità morale tra le genti. Uniti ci salveremo, disgregati e predatori non avremo le energie sufficienti per cambiare il mondo, e niente è oggi più prioritario che salvare la razza umana da tutto il male che lui stesso ha allestito per esser(si) proposto “nocivo” a se stesso e alla compagine dell’intelligenza che, non mostra punte di elevatezza tali da farci considerare prossimi ad una ripresa.
Id: 686 Data: 08/12/2012 18:16:27
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- Antropologia
E’ Tempo di single sole mature soddisfatte
E’ TEMPO DI SINGLE SOLE, MATURE, SEMPRE PIU’ SODDISFATTE di Ninnj Di Stefano Busà Il mondo di oggi è pieno di “single”. Il fenomeno è sempre più comune e notevolmente in crescita. Perché? Queste single per scelta non hanno niente da invidiare alle coniugate infelici e senza via d’uscita di un tempo, mortificate nel loro ruolo di madri, mogli, fidanzate. Sono donne spesso autonome, del tutto prive della dipendenza da un uomo, sufficienti a loro stesse, consapevoli che la vita offre altre misure esistenziali, anche senza la presenza di uomini per cui vale la pena soffrire. L’esistenza oggi è diventata difficile, il dialogo tra gli esseri umani è sempre più difficile, vi sono in gioco le mille difficoltà, la scarsità del lavoro, i sacrifici per tirare su una famiglia, dei figli, tutto ciò porta spesso le coppie a snaturarsi, a isolarsi, a erigere delle vere barriere tra di loro. Donne che si dibattono tra mille incombenze o che dopo matrimoni interrotti, matrimoni esauturati e vincoli matrimoniali che hanno avuto le massime tensioni al loro interno, cercano di ricostruirsi una vita autonome e serena nella consapevolezza assoluta, raggiunta magari con fatica e a costo di molte sofferenze. Finalmente libere possono sperimentare il loro modo di essere, con più acutezza e meraviglia il mondo che le circonda, mettere a pieno frutto il loro talento, riprendere magari gli studi interrotti, le loro passioni cui avevano dovuto rinunciare e rimettersi in gioco, sperimentando se stesse, accettandosi come sono, con rughe e sofferenze, ma libere di vivere finalmente una stagione diversa, più intensa, più divertente, più gioiosa di quella che si può vivere con un uomo, noioso, arrogante, ossessivo, prepotente e bugiardo. Esse apprendono che senza un uomo si può vivere e invecchiare anche molto bene, soprattutto, senza l’ambiguità, la sofferenza e il dolore di coppia, se questa non risulta affiatata, collaborativa, e non dia garanzia di impegno duraturo e continuativo. La solitudine di oggi –per scelta- è il frutto di una determinazione necessaria alla vita, all’opportunità di vivere una esistenza serena che c’induca a prendere la nostra libertà e utilizzarla al meglio, soprattutto se volta a avere più tempo per se e per le possibilità di carriera, di lavoro, di impegni. A cinquant’anni si ha molto da dire e da fare: si possiede l’intelligenza al suo massimo sviluppo, l’esperienza, la capacità propria di saper gestire le proprie scelte, le opportunità, non si vive permeate solo d’amore o di desiderio,: gli ormoni si sono acquietati hanno acquistato la dimensione più vivibile, la maternità spesso si è realizzata. Come conseguenza, non si vive ossessionate dal confronto paritetico con la freschezza fisica delle ventenni, ma si accettano le rughe con lungimiranza, con tolleranza, quasi come una parte di noi che ci appartiene. La solitudine non fa più paura, la castità non è una condizione claustrofobica che dà la tristezza e il pessimo equilibrio che creava nelle “zitelle” di una volta. Oggi, i parametri sono cambiati: si vive meglio sole che male accompagnate (dice un vecchio proverbio). Le donne hanno appreso dalla modernità il tratto più saliente e più attraente...si sfilano dai legami terribili che danno sofferenza e si relazionano col mondo in maniera autonoma e serena, senza l’esaltazione di uno status di diritto che preveda umiliazioni, accettazione in famiglia di un uomo-padrone, schivo e riluttante a qualsiasi segno di buona convivenza. Le single per scelta hanno capito che più che un marito serve un amico fidato, sincero per vivere più serenamente, senza l’impegno coniugale la stagione della maturità. Sono donne over, felici, sole e pacificate quelle che scelgono la posizione di single, senza il cliché della famiglia tradizionale, soprattutto perché l’emancipazione della donna ha permesso la posizione di che non accettano il matrimonio come la sola strada da intraprendere. Si dà il caso che a cinquant’anni la donna riscopra se stessa, si riprende la sua autonomia e tende ad invecchiare meglio. Vi è poi un risvolto anche psicologico da indagare: c’è un tempo per ogni cosa, quasi che la fine o l’attenuazione del desiderio sessuale porti una nuova ventata di serenità, i figli sono cresciuti, vanno via e la donna riprende le redini della sua nuova vita. In quasi tutti i casi, le donne si prestano ad una rivincita che spesso le ringiovanisce, perché in ogni modo, sono meno vulnerabili dell’uom
Id: 675 Data: 23/11/2012 16:16:37
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- Letteratura
La vita è fatta di poesia
LA VITA E’ FATTA DI POESIA di Ninnj Di Stefano Busà La vita è fatta di poesia e la poesia è un itinerario complesso e variegato, una riflessione mnemonico-lirica, che tocca le corde del cuore e dell’intelletto, innesca il processo di scrittura che origina dal pensiero e si realizza nella sapienza del cuore e della poesia in particolare. Di fatto non si hanno dubbi. La poesia è per il poeta quello che per il medico è la malattia, fatti salvi: l’estro, l’immaginazione, la fantasia, il verbo, il poeta indaga nell’espressione poetica come lo sciamano coi suoi aruspici. Ogni esistenza si avvale della poesia, come un pianista, un musicista con le note dello spartito. In verità studiare o leggere un poeta e come indagare e indugiare sulle occasioni che una fulminea espressione imprime alla scrittura. Nessuna poesia è uguale all’altra, nessun poeta può essere simile ad un altro, e tutti colgono nel loro intimo concetto la realizzazione di un piano di scrittura, che collochi la poesia nello scavo privatissimo della parola, dell’emozione o dell’immagine che ogni individuo riformula al suo esterno. La poesia è un atto di puro coraggio; è un voler far emergere in superficie ciò che rimarrebbe oscurato o retrocesso al ruolo di “ latebra del pensiero”. Il tentativo persistente di portare alla luce la percezione lirica che accompagna il mistero della parola, fatta luce essa stessa di una luce che trascende il mistero. Poesia è ciò che ci pone ad auscultare con caparbia intuizione e capacità d’indagine il pensiero nelle sue estreme necessarie verità e, strenuamente, ne assolve, ne compone l’intellettualità che si pone a confronto della sua narrazione più intima e autentica. Scrivere poesia è come l’alba di un giorno nuovo su un terreno accidentato e sterile, da cui, come un astronauta su pianeti sconosciuti, deve estrarre il materiale che occorre per ritornare alla normalità della terra da cui proviene. Il terreno incolto e sconosciuto è battuto palmo a palmo nell’intenzione di poter capire o interpretare al meglio enigmi che lo oscurano. E il frammento lirico è come l’estrazione di un nuovo minerale, di una nuova geofisica che gli impone una riflessione: saprà trovare la pietra filosofale? saprà individuare lungo il percorso terreno quella piccola, infinitesimale molecola di vita che l’esistenza propone? saprà capire l’universo invisibile? leggere in un libro scritto in una lingua sconosciuta? dare un senso alla storia? scoprirne i misteri del contingente. La voce del poeta è forma immaginaria di un sistema di luci/ombre che scandaglia a 360° la realtà, spesso ai confini indefinibili tra il relativo e l’assoluto, con la consapevolezza di un linguaggio che aspira con tutto se stesso ad un’inconfondibile risorsa conoscitiva.
Id: 670 Data: 17/11/2012 12:07:46
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- Letteratura
I vincitori del Premio Vivarium di Catanzaro 2012
Premio “Vivarium”: consegna ai vincitori nella Sala Concerti del ComuneMaria Bertilla Franchetti con la raccolta “Nel cuore dei giorni”, Ninnj Di Stefano Busà con la lirica “Andremo soli al delta dei silenzi” eRocco Pedatella con il romanzo inedito “Il giorno della conflagrazione” sono i vincitori della quarta edizione del Premio “Vivarium” di poesia e narrativa organizzato dall’associazione “Accademia dei Bronzi” e dalle edizioni Ursini. “Sono tre autori - ha commentato Vincenzo Ursini, presidente del sodalizio culturale catanzarese - di primo piano che la giuria (G. Battista Scalise, Mario D. Cosco, Mauro Rechichi e Nazzareno Bosco) ha selezionato tra centinaia di partecipanti”. Maria Bertilla Franchetti è docente di Lettere a Verona. Giornalista e collaboratrice in un gruppo di formazione e ricerca all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha al suo attivo quattro libri di poesia, uno dei quali con prefazione di Magdi Cristiano Allam. Le sue composizioni le sono valsi già numerosi riconoscimenti. Nell’ambito delle iniziative promosse dall’Accademia dei Bronzi, aveva vinto due anni or sono il premio speciale per la migliore lirica dedicata ad Alda Merini. Poetessa, giornalista e saggista, Ninnj Di Stefano Busà, è siciliana di nascita ma milanese di adozione. Laureata in Lettere, si occupa da decenni di Estetica e di Storia della Letteratura oltre che di Poesia. Ha già pubblicato sedici volumi alcuni dei quali sono stati tradotti in francese, inglese e serbo croato. E’ una delle “voci” più autorevoli della poesia contemporanea tant’è che di lei si sono occupati numerosi critici e poeti tra i quali Salvatore Quasimodo, Giorgio Barberi Squarotti e la stessa Alda Merini, sua amica per anni. E’ storicizzata sulla Grande Enciclopedia Letteraria per i Licei e le Scuole Superiori dell’Editore Simone, oltre che in numerose rassegne, antologie. Rocco Pedatella è manager di una multinazionale. Fin da giovane ha coltivato l’hobby dello scrivere, “quasi - dice - come valvola di sfogo allo stress del lavoro ed alla quotidianità”. Appassionato del genere thriller, ambienta le sue opere nei luoghi a lui cari, mescolando sapientemente mistero e suspance. Ha pubblicato “Brividi a Sud” (già alla seconda edizione). Lo scorso anno, con il romanzo “Puzzle” si era classificato al secondo posto al Premio “Vivarium - Magno Aurelio Cassiodoro”. La consegna dei riconoscimenti ai vincitori, le cui opere saranno pubblicate gratuitamente dalle edizioni Ursini, si terrà il prossimo 27 luglio, alle ore 17, nella Sala concerti del comune di Catanzaro, alla presenza del sindaco Sergio Abramo e dell’assessore alla cultura Sinibaldo Esposito. Ricordiamo che al premio ha aderito il Presidente della Repubblica che ha anche inviato la sua medaglia ufficiale. Ai posti d’onore sono stati classificati: (sezione “Raccolta inedita di poesie”) Marianna Novara di Palermo,Concetta Aiello di Torino, Donata Fusar Poli di Chieve e Caterina Tagliani di Sellia Marina; (Sezione “Narrativa” Tina D’Agostino di Vibo, Marco Angilletti di Catanzaro, Alda Gallerano di Milano e Giorgio Brambilla di Monza; (Sezione “Poesia singola”) Emanuele Lo Presti di Firenze, Francesco Scattarreggiadi Reggio Calabria, Stefania Peverati di Paderno Dugnano e Alessandra Peveraro di Valduggia. In precedenza, la giuria aveva già assegnato a Francesco Saverio Capria di Catanzaro il premio riservato alla migliore poesia dedicata a Giovanni Paolo II, per l’opera dal titolo “L’ovile del Signore”, e a Maria Pia Furina di Soverato, per la lirica “Ora che non ci sei”, Dolce Fioravante di Roma, per il romanzo edito “La principessa Occhiblu” e Rosa Minei Astarita di Meta di Sorrento, per l’inedito “Enrico e Ada” i tre premi speciali riservati ai partecipanti delle edizioni Ursini. Altre targhe e attestati saranno consegnati a poeti e scrittori di tutta Italia, molti dei quali hanno già confermato la presenza alla manifestazione. “Il Vivarium - ha aggiunto Ursini - è diventato ormai uno dei premi letterari più seguiti d’Italia. Tutto questo senza ricevere alcun contributo da Enti pubblici”.
Id: 608 Data: 29/07/2012 15:57:43
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- Letteratura
Premio Letterario Vivarium Vincitrice a Catanzaro
Catanzaro, premio Vivarium: i vincitori | | | |
Giovedì 19 Luglio 2012 15:51 | Maria Bertilla Franchetti con la raccolta “Nel cuore dei giorni”, Ninnj Di Stefano Busà con la lirica “Andremo soli al delta dei silenzi” e Rocco Pedatella con il romanzo inedito “Il giorno della conflagrazione” sono i vincitori della quarta edizione del Premio “Vivarium” di poesia e narrativa organizzato dall’associazione “Accademia dei Bronzi” e dalle edizioni Ursini. “Sono tre autori - ha commentato Vincenzo Ursini, presidente del sodalizio culturale catanzarese - di primo piano che la giuria (G. Battista Scalise, Mario D. Cosco, Mauro Rechichi e Nazzareno Bosco) ha selezionato tra centinaia di partecipanti”. Maria Bertilla Franchetti è docente di Lettere a Verona. Giornalista e collaboratrice in un gruppo di formazione e ricerca all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha al suo attivo quattro libri di poesia, uno dei quali con prefazione di Magdi Cristiano Allam. Le sue composizioni le sono valsi già numerosi riconoscimenti. Nell’ambito delle iniziative promosse dall’Accademia dei Bronzi, aveva vinto due anni or sono il premio speciale per la migliore lirica dedicata ad Alda Merini. Poetessa, giornalista e saggista, Ninnj Di Stefano Busà, è siciliana di nascita ma milanese di adozione. Laureata in Lettere, si occupa da decenni di Estetica e di Storia della Letteratura oltre che di Poesia. Ha già pubblicato sedici volumi alcuni dei quali sono stati tradotti in francese, inglese e serbo croato. E’ una delle “voci” più autorevoli della poesia contemporanea tant’è che di lei si sono occupati numerosi critici e poeti tra i quali Salvatore Quasimodo, Giorgio Barberi Squarotti e la stessa Alda Merini, sua amica per anni. E’ storicizzata sulla Grande Enciclopedia Letteraria per i Licei e le Scuole Superiori dell’Editore Simone, oltre che in numerose rassegne, antologie. Rocco Pedatella è manager di una multinazionale. Fin da giovane ha coltivato l’hobby dello scrivere, “quasi - dice - come valvola di sfogo allo stress del lavoro ed alla quotidianità”. Appassionato del genere thriller, ambienta le sue opere nei luoghi a lui cari, mescolando sapientemente mistero e suspance. Ha pubblicato “Brividi a Sud” (già alla seconda edizione). Lo scorso anno, con il romanzo “Puzzle” si era classificato al secondo posto al Premio “Vivarium - Magno Aurelio Cassiodoro”. La consegna dei riconoscimenti ai vincitori, le cui opere saranno pubblicate gratuitamente dalle edizioni Ursini, si terrà il prossimo 27 luglio, alle ore 17, nella Sala concerti del comune di Catanzaro, alla presenza del sindaco Sergio Abramo e dell’assessore alla cultura Sinibaldo Esposito. Ricordiamo che al premio ha aderito il Presidente della Repubblica che ha anche inviato la sua medaglia ufficiale. Ai posti d’onore sono stati classificati: (sezione “Raccolta inedita di poesie”) Marianna Novara di Palermo, Concetta Aiello di Torino, Donata Fusar Poli di Chieve e Caterina Tagliani di Sellia Marina; (Sezione “Narrativa” Tina D’Agostino di Vibo, Marco Angilletti di Catanzaro, Alda Gallerano di Milano e Giorgio Brambilla di Monza; (Sezione “Poesia singola”) Emanuele Lo Presti di Firenze, Francesco Scattarreggia di Reggio Calabria, Stefania Peverati di Paderno Dugnano e Alessandra Peveraro di Valduggia. In precedenza, la giuria aveva già assegnato a Francesco Saverio Capria di Catanzaro il premio riservato alla migliore poesia dedicata a Giovanni Paolo II, per l’opera dal titolo “L’ovile del Signore”, e a Maria Pia Furina di Soverato, per la lirica “Ora che non ci sei”, Dolce Fioravante di Roma, per il romanzo edito “La principessa Occhiblu” e Rosa Minei Astarita di Meta di Sorrento, per l’inedito “Enrico e Ada” i tre premi speciali riservati ai partecipanti delle edizioni Ursini. Altre targhe e attestati saranno consegnati a poeti e scrittori di tutta Italia, molti dei quali hanno già confermato la presenza alla manifestazione. “Il Vivarium - ha aggiunto Ursini - è diventato ormai uno dei premi letterari più seguiti d’Italia. Tutto questo senza ricevere alcun contributo da Enti pubblici”.
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Id: 601 Data: 20/07/2012 18:39:51
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- Letteratura
Il privilegio dannazione di essere Poeta
di Ninnj Di Stefano Busà
E ci risiamo a parlare di Poesia! ma cos'è questo corpo estraneo che ci sobilla, ci fagocita l'esistenza e, pur nel clangore quotidiano, si manifesta come un mantra?
La sottile linea di demarcazione ci indica spesso la sofferenza, il malessere di una parte dell'anima che entra in contrasto con la vita, con le banalità o le inadempienze di un mondo che ci riserva solo la parte negativa di se stesso,
E in tal senso la Poesia, in quanto privilegio-dannazione di una elaborazione del linguaggio per eccellenza, luogo abilitato all'espressione del pensiero "pensante" è storia, vicenda di ognuno e di tutti, perché ridurla a chiosa critico-interpretativa? Una ricerca straordinaria dell'impensabile che si fa "possibile" solo attraverso la scrittura, affine alla filosofia perché analitica, enigmatica, logica, intransigente nella sua concentrazione allusiva.
Un plettro armonico che fa da contraltare al frammentarismo riduttivo del testo scritto è l'atto linguistico della sua trascrizione, molto spesso istintuale, autentica, naturale.
Vien quasi da pensare: genuina e incontaminata, tranne poi farne uso speculativo in una rincorsa all'intellettualismo più sfrenato, al frammentarismo più dichiarativo, al di fuori e al di sopra delle strutture meramente intellettuali.
Si potrebbe dunque parlare di trasfigurazione o astrazione semantiche, le quali in ogni caso interagiscono con la storia di tutti i tempi, proponendo un testo che sia la (ri)creazione della nostra sfera psicosomatica, in quanto emotiva, suggestiva o implicitamente condizionante di un'elaborativa sensazione-percezione che tutta l'abbraccia.
Si potrebbe parlare di una condizione di empatia tra l'io intimo e la parte esteriore del simbolismo più universale, mediante il quale noi comunichiamo (latu sensu) la profonda liaison dell'intuizione, la forma fantastico-creativa della ragion d'essere.
La poesia è dunque occasione di ragionamento logico, ma è anche impulso e stimolo che vengono da molto lontano, provocando l'istanza del linguaggio a livelli semantici più svariati: morfologici, sintattici, metrici, sensoriali, articolati in una sintassi più strutturata, perché sostenuta solo da frammenti logici d'immediata ambiguità, quale potrebbe essere la calca dei sentimenti, delle sensazioni o degli accadimenti che (ri)formulano il concetto di Poesia al di fuori di noi.
Anche quando la Poesia procede per linee più sistematiche, più esemplari di un neofiguratismo linguistico, il poeta trasferisce la sua razionale diversificazione sull'oggetto/soggetto empatico della sua materia elaborativa, la quale, a sua volta, epistemologicamente trasmette il pensiero alla sensazione della mente, che la trascrive.
Come in un caleidoscopio visto da ambo i lati, le due visioni si avvicendano in un subbuglio di stimoli che vanno a incanalarsi nelle connotazioni mentali per evoluzioni scientifiche ad es. alla Joyce, o simboliste per mimesi all'Apollinaire.
La percezione del mondo influenza lo specifico limen che contiene l'attraversamento picologico dei sensi; la sua naturale illuminazione è capacità di dare allo sguardo d'insieme la sua forma-categoriale, la sua prospettica ragione di saper individuare figure antagoniste alla realtà, connotazioni e istanze mentali improntate all'evoluzione del linguaggio, che invade e pervade in ogni caso e sempre la dinamica dell'effetto lirico, il repertorio dell' inconscio che brulica di espressioni sedimentate, pronte a venire alla luce. Da qui l'effetto dannazione, prorompente e ambiguo del far poesia.
Id: 581 Data: 10/06/2012 10:06:54
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- Letteratura
Alessia Mocci intervista Ninnj Di Stefano Busà
Alessia Mocci di Oubliette magazine intervista Ninnj Di Stefano BusàCreato il 19 marzo 2012 da LindapintaINTERVISTA a cura di Alessia Mocci di Oubliette magazine D. Lei ritiene che il mondo di oggi dia spazio alla Poesia? o piuttosto la rileghi in un mondo caratterizzato da asfissia, da depauperamento, da preoccupazioni di ordine pratico più grandi e incombenti? R. Il mondo che viviamo, proprio per questo suo essere defraudato di valori e significati interiori, ammettiamolo pure, ha un bisogno estremo, esasperato di Poesia. Poesia che viene dall’essere “spirito” più ancora che materia. La Poesia, pertanto, è l’unico momento in cui ci è permesso di estranearci da questo clima mefitico di morte, di profonde metamorfosi, rinunce, assenze che paradossalmente immobilizzano chi non si avvicini al –mantra- . La Poesia è un grande mantra che ispeziona e sostiene le vie interiori del ns. viaggio esistenziale. Non ci rende ricchi economicamente, ma scava nei cunicoli fondi della nostra coscienza di esseri umani e ci fa sentire meno <imperfetti>, ci fa avvertire meno dolorosi i morsi delle assenza, delle contraddizioni, delle miscredenze e banalità di un mondo fatto a immagine di miseria “indistinta”. D. Chi secondo Lei è più adatto o versato alla Poesia il giovane o la persona matura. R. Possono esserlo entrambi, è solo indispensabile che la Poesia “ditta dentro” e ne mostri lo strumento e la predisposizione letterari, vi sia poi disponibile un’intelligenza che ne avverta lo stimolo, il richiamo del dono, perché la poesia è un dono <aggiuntivo>, qualcosa che esula dal suo stesso farsi: una espressione di libero arbitrio in un mondo ormai sclerotizzato, a tal punto da essere cieco, dinanzi al messaggio del cuore. Per poterla ignorare si deve essere proprio incapaci di amare se stessi, a tal punto da non amare nessuna bellezza autentica ed eterna, quale quella che si sprigiona <in interiore>. La poesia è uno di quegli elementi di natura di cui è dotato ogni essere umano, solo che in molti non è manifesta, non sanno neppure di possedere quella virtù del cuore e dell’intelletto che sa trascrivere e collegare, decriptando immagini scollegate tra loro, e ricomporle come se giungessero dall’infinito, al quale tende e dal quale dopotutto è originato. La poesia tende a congiungere i due estremi: vita e morte in un connubio indissolubile che è la ragione ultima dell’esistente. Quel che avviene tra queste due tratte o segmenti della vita è percorso accidentato di un mistero che si realizza in noi, fotogramma dopo fotogramma. Perciò non c’è un’età che la destini e la riscatti, solo il nostro profondo respiro di chi la ama la sa creare in una dimensione adeguata, ricollegabile al mistero che la sovrasta. D. Ha senso ai nostri giorni la Poesia d’amore? R. Sì, se chi la scrive e la legge avvertono entrambi di essere dello stesso microcosmo che rincorre il riscatto possibile dalla miseria. La Poesia è anche elevazione, affrancamento dalle temperie miserevoli di un mondo fatto a immagine di solitudine, di conflittualità. L’amore completa il ciclo dei due opposti, unisce il filo delle contraddizioni possibili, in un solo armonioso cerchio, placa le ferite. le escoriazioni di un vivere incoerente che si proietta a viva forza nel quotidiano e ci svilisce. Ogni sentimento d’amore è degno di essere decriptato, perchè colma le distanze tra noi e il nulla, può essere la finestra schermata che ci ripara dal mondo, l’ultimo pensiero prima del sonno, il primo del mattino, una ràpida d’acque che tumultua dentro di noi e ci suggerisce che la passione è pronta a esplodere, ci esalta e ci commuove. Quando si ama, sono tutte le nostre emozioni a rivelarsi e le suggestioni possono essere diversificate, ma unite in un solo nodo d’indissolubile connubio: l’essere e l’atra metà di cielo (“l’altro”) combaciano. Il soggetto tende a congiungerlo perché mira ad una felicità possibile, ad una fusione con l’altro da sé che lo attrae e lo disorienta. Ogni amore è sempre un giorno nuovo, uno spiraglio nel buio, un “miracolo” che preferisce il tepore della nostra anima e si compiace di stringerla a sé, di coccolarla con quel fuoco spirituale che gli arde dentro. E’ una questione di biochimica, qualcosa che esula dal banale e forse un po’ ci nobilita.. D. Il suo linguaggio poetico è stato sempre di tono alto. Lei ritiene che la parola convenzionale non riesca a dare il segnale della vera bellezza? R. Ogni poeta è un mondo a sè. Chi scrive Poesia deve saper leggere nel fondo dell’anima al meglio delle sue capacità. Non deve imporsi nessuna casualità né precostituirla, non deve avere convenzionalità di sorta, e tanto meno esprimersi con linguaggi non appropriati, non suoi, non in linea con la presenza del suo io personale, che deve imporre al concetto e al progetto lirico tutto se stesso. Chi scrive, scrive come può, senza prefiggersi altro che il suo tragitto di grazia, di ricerca dell’impercettibile, della verità che sfugge. Ogni episodio poetico è il frutto di tante concomitanze fruibili, che diventano misura del perfettibile nell’atto stesso della sua intuizione, della sua estensione, il resto è modus, flusso formale di pensiero che tenta la luce facendosi strada dagli abissi fondi e, verosimilmente se ne innamora, tanto, da ripetere l’operazione, da cui risulti un instancabile tentativo di reinvenzione, di rinnovamento della parola e del segno. Il poeta attraversa sempre l’aurora del giorno dopo, sa guardare l’universo delle stelle con occhi nuovi, sa intuire la giovinezza anche dalla notte. Il poeta è colui che si acquatta nel passato, per balzare nel futuro di dimensioni altre, di verità altre. D. Questo nostro tempo dà ancora spazio al linguaggio poetico? oppure è distratto da altre forme di linguaggio più tecnologiche? L’informatica e internet hanno preso secondo Lei il sopravvento, hanno scalzato il fattore intimo della riflessione, della scrittura tradizionali. R. Viviamo in un momento storico difficile che privilegia il <tempus fugit> e dà molto spazio all’apparire, più che all’essere. Nonostante ciò, la Poesia tiene, milioni di persone scrivono poesia, pubblicano e diffondono libri di poesia. In contrapposizione al sistema telematico e informatico è una contraddizione in termini, ma anche una legittimazione del pensiero “poetante” che non viene escluso dall’istanza intellettuale, ma se ne aggiudica semmai in piena libertà e coscienza la sua ragion d’essere. A me pare che la Poesia non declinerà, perché la poesia è il centro focale di un discorso interiore avulso da qualsiasi condizionamento del mondo esterno, è il ventre dell’universo, l’anima che nel suo porsi sa dosare le sue significazioni e misurare la temperatura dei sentimenti. Le due anime possono coesistere e non solo, possono interagire e dialogare, attraverso un processo interiore che riduce le distanze tra noi e <l’altrui>
Id: 578 Data: 07/06/2012 18:41:02
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- Politica
Quando si parla di zona-euro
di Ninnj Di Stefano Busà
Quando si parla di zona-euro, quando si dice Unione Europea, quando si discetta sulle conventicole e sulle lobbies funanziarie che hanno generato la catastrofe planetaria e ribaltato i cardini di una realtà economico-finanziaria portando sul pianeta terra uno stravolgimento superiore a una vera guerra, non si va troppo lontani...La guerra è finanziaria, prima si faceva coi carri armati degli invasori ora si fa a colpi di "defoult", una sorta di guerra stellare, fatta da burocrati pusillanimi che vogliono arraffare tutto il denaro della terra, mandando in rovina tre quarti del continente, perché la Cina, il Giappone, L'India territori emergenti e banchieri dalla vista acuta hanno deciso di annientare i paesi più vecchi, meno modernizzati e più arretrati nei confronti delle tecnologie e delle strategie ambigue e inique degli speculatori di turno. I padri fondatori di una o più nazioni non sono uomini comuni: avrebbero dovuto intuire, capire, saper interpretare le leggi di mercato, le strutture economico-finanziare, le situazioni psicologiche dell'uomo, i risvolti storico-comportamentali dell'individuo preda della sua venalità, dei suoi egoismi, delle sue più ambigue e intollerabili miserie umane e socio-culturali. Invece, non hanno fatto nulla per prevedere e arginare, seppure in parte, la nemesi storica. L''abominevole situazione attuale era prevedibile anche da un "giurista" tecnocrate di poca esperienza. Quando l'uono, (in questo caso, più uomini, sono lasciati soli in balìa dei loro più beceri e incontrollabili istinti, c'é di che rimanerne raccapricciati). L'egoismo e l'egocentrismo dell'individuo hanno da sempre generato: guerre, genocidi, daspore, bagni di sangue, fame, miseria e povertà ovunque hanno avuto modo di allignare. NON SI DOVEVA CREARE L'EUROPA senza le regole interne che ne attuassero progetti comuni, programmi che alla lunga avrebbero portato quella congrega di uomini a dilaniarsi. Non ci vogliono "geni" per capire che le regole vanno dettate prima di realizzare le associazioni comunitarie, più sono grandi le comunità più regole si sarebbero dovute fissare, perché l'uomo da sempre è avido, traditore e vile. In lui alligna la maledizione di Adamo, la nemesi storica di Caino e Abele che ritorna. Non vi possono essere società, aggregazioni di popoli, senza le dovute garanzie di poter gestire le infrastrutture interne agli accordi presi. Mi spiego meglio. Quando si è creata l'Europa Unita, si doveva prevedere un Organismo Terzo o, quanto meno, dettare le regole per gestire situazioni, differenze culturali, arbitrii e appetiti voraci di chi, da quella situazione volesse trarre il maggior guadagno, speculando in maniera illegittima e senza remore morali. La morale degli uomini e non il denaro dovrebbe regolare i rapporti tra gli uomini, ma non esistendo (spesso) la morale negli uomini, si giunge ad uno sfacelo tale che risulta non più gestibile e arginabile, ogni compromesso, come quello dei nostri giorni. Una Finanza impazzita, che gioca "a gatto e topo" con l'esistenza dei popoli e la loro stessa sopravvivenza sul pianeta, era prevedibile. Prima di creare la U.E, prima di creare la moneta unica per gli stati appartenenti, si doveva provvedere a creare una Banca Comune Europea, che salvaguardasse gli interessi della Comunità. Doveva essere creata una soluzione alternativa alla sola finalizzazione finanziaria che incamerasse denaro a fiume, senza regole né senso di cooperazione, di senso morale, di giustizia sociale e civile. La Storia avrebbe dovuto insegnare a questi Grandi uomini che hanno creato "il mostro", che non si può operare solo nel verso del capitalismo selvaggio, che non si può mettere in primo piano l'introito speculativo, nell'esclusione completa dei diritti dell'uomo. L'errore più grande è stato non capire, non voler tener conto delle diversità, delle differenze culturali, economiche, sociali e umani delle varie nazioni assemblate. Ognuno porta con sè differiti livelli storico-ambientali, culture, logiche, tattiche, incursioni millantatorie ed egoismi che lacerano il tessuto comunitario e lo riducono a brandelli. Come si fa a pensare che la Germania, la Francia, l'Inghilterra non la facessero da padroni contro una Grecia, una Spagna, un Portogallo, un'Irlanda più arretrati, più poveri di mezzi, più agguerriti che mai a fare la parte dei leoni nei confronti dei più diseredati? come si fa a non pensare che Paese notoriamente facenti parte del Blocco dell'Est, aprendosi alla Storia e alla libertà, (dunque non partners adeguati, nè allineati allo stesso livello, (loro paesi in arretratezza, messi improvvisamente alla pari, meglio, a casaccio, da una politica becera e ottusa, potessero competere con i colossi europei, pronti a farli fuori in in un solo boccone? Come in una giungla senza altre leggi che quelle istintuali, primitive, ora abbiamo belve feroci che si sbranana. Questi padri fondatori hanno creato il corpo senza "la testa". Ora i nodi vengono al pettine. La mancanza di una Banca Centrale Europea che potesse salvaguardare diritti e doveri, adeguandoli in modo equo alle necessità delle genti, si è fatta impellente, la speculazione è divenuta una bomba ad orologeria, innescata e pronta ad esplodere e a trasformare il mondo occidentale in cenere. Chi potrà salvarci da un tale disordine planetario? da un tale tzunami che rischia di travolgere e annientare tutta la Comunità europea (che sarebbe il male minore) ma l'intera esistenza del continente e del contingente umano, perché da una simile follia non ci si salva facilmente, si giunge au un punto di "non ritorno" che tocca la tragedia e l'estinzione.
Id: 577 Data: 07/06/2012 18:18:50
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- Cultura
INTERVISTA a Ninnj Di Stefano Busà a cura di Nazar
INTERVISTA A NINNY DI STEFANO BUSA’ A CURA DI NAZARIO PARDINI
N. P.: Quali sono le occasioni della vita che più hanno inciso sulla sua produzione letteraria? quanto di autobiografico c’è nelle sue opere? lei pensa che ci sia sempre differenza fra poesia lirica e poesia di impegno; o pensa che la poesia, essendo un’espressione diretta dell’anima, sia sempre lirica qualsiasi argomento tratti?
Risposta: le occasioni della vita sono davvero innumerevoli, e ad ognuna va data la giusta dimensione, il giusto valore per connettersi direttamente con l’anima, e dunque con la Poesia. Vi sono state occasioni in cui il cuore gioiva o s’incupiva, nelle quali vi sono state le nascite delle mie figlie, dei miei nipotini, rare e delicatissime le sensazioni, le suggestioni, anche l’ispirazione seguiva il corso delle vicende, com’è ovvio. Ma la mia produzione origina in profondità, tra le dita del caos, ha vissuto momenti e sedimentato molto in anni di attività letteraria, in cui sono stata esclusivamente lettrice e non autrice. Quasimodo che fu amico di mio padre, ne aveva intuito le capacità linguistiche, fin dal principio, incoraggiandomi a proseguire. L’ho fatto con la più ampia fede nel messaggio medianico della Poesia, perché la Poesia è un messaggio che ci viene dall’oltre, naviga negli spazi iperurani di altre realtà invisibili per offrirsi a noi che l’amiamo con tutta l’anima, ma non necessariamente e per tutti deve essere lirica nè elegiaca, a volte può essere di “rottura”, sul tema sociale, morale, etc. Nei miei versi vi sono io, il mio pensiero e le mie riflessioni, senza essere solamente autobiografica, perché nella mia produzione c’è molta filosofia, a volte metafisica del pensiero, molta “estetica” come studio della parola in sè: vi sono io sullo sfondo, ma il mondo, l’universo visibile e invisibile tutt’intorno, vi è soprattutto l’esigenza di capire l’universalità dell’anima, attraverso la spinta interiore della coscienza e di intuirne i meccanismi, le regole, le condizioni dell’essere e del divenire.
N. P.: Essendo uno degli interpreti principali della poesia e della cultura contemporanea, la sua poetica è in gran parte nota attraverso le innumerevoli recensioni, prefazioni, e note critiche che la riguardano. Ce la vuole illustrare lei direttamente?
Risposta: credo sia tutta racchiusa nelle mie opere, 20 pubblicazioni sono un cospicuo numero, ma non credo di fermarmi qui. Ho in cassetto varie altre opere inedite. La mia vena è sincera e fertile, mi rinnovo facilmente dalle nuove esperienze di vita, dalla crescita intellettiva e umana che profila il mio operare in Letteratura, non credo di essere ripetitiva, perché credo nella forza della parola e nella sua luce che promana una speranza fideistica sul mondo. La poesia è maieutica, è la zattera per non annegare in un mare di banalità e di assenteismo quale il nostro periodo storico vive convulsamente. Si nutre di dolcezze, anticipa quelle linee di demarcazione che dovrebbero renderci partecipi dell’universalità, per regalarci quell’attimo di eternità cui aspiriamo.. .
N. P.: Quali sono le letture a cui di solito si dedica e quale il libro che più le ha suscitato interesse? e quindi predilige? perché?
Risposta: ho sempre letto molto. Ai tempi di scuola: Dante, Petrarca, Tasso, Leopardi, poi da Keat a Verlane, Rimbaud, Holderlig, dai poeti russi: Tolstoj, Dostoevskij a Machado, Neruda, ai nostri contemporanei Montale, Ungaretti, mi sono nutrita del corregionale Quasimodo in anni di formazione culturale. Sono stata un’appassionata lettrice, forse più di quanto sia autrice. Ho sempre avuto come “seconda pelle” la cultura poetica. Ho iniziato a 13 anni e porto avanti la Poesia come fosse la Bibbia, le Sacre Scritture, con lo stesso slancio, la stessa inesplicabile passione del primo giorno. Il mio è impegno continuo incessante, la promuovo nelle Scuole, nei Licei, sono stata docente di Letteratura e di Storia delle Poetiche per lunghissimi anni all’Università Terza di Milano. Se mi chiedi quale poesia suscita il mio interesse, ti rispondo quella che non ho ancora composta, l’ultima, quella che passi alla Storia e che faccia dire alla Letteratura, (se mai vi sarà una Storia): questa è magica, questo testo è degno di essere letto...Ma è solo un sogno, la realtà è altra: sono un piccolo segno nell’immenso, una piccolissima virgola nell’eternità...che altro?
N. P.: Fino a che punto le letture di altri autori possono contaminare uno stile di uno scrittore? e se sì, in che modo?
Non credo proprio che una scrittura o una lettura possa contaminare a tal punto un autore da farlo divenire clone. In Letteratura non si può. Occorre l’autonomia di giudizio, ognuno deve possedere un suo profilo semantico, una sua libertà espressiva, un suo linguismo individuale, per un’ identificazione netta e chiara, per avere una sua sigla e un suo filone. Vi possono essere affinità elettive con altri scrittori, ma ciò può dipendere dalle ascendenze strutturali gnoseologiche, dagli studi, dalle tendenze, dai gusti, dalla formazione estetico-culturale, ambientale etc Per il resto ognuno sia se stesso fino in fondo, sempre.
N. P.: Che cosa pensa della poesia innovatrice, quella che tenta sperimentalismi linguistici? quella che si contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato? o, per meglio intenderci, quella che si contrappone ad un uso costante dell’endecasillabo, o a misure dettate da una rigida metrica?
Risposta: ogni epoca ha avuto i suoi poeti, sotto il profilo sincronico e diacronico, ogni tempo è diverso dall’altro, ma da qui a voler fare uno sperimentalismo forzato, solo per essere anarcoidi e ribelli al classicismo, ne corre tanta di strada. Certo tutto cambia, anche i gusti in Letteratura, nella musica, nella pittura... Il minimalismo di oggi, però, sotto il profilo armonico, lascia molto a desiderare, si contrappone e rifiuta ogni ritorno al passato, per pura contaddizione al passato, per ostentare una leicità sua propria, che mal si addice alla Storia delle Lettere. Vi possono essere varianti, modifiche nel ceppo linguistico e multimediale delle nuove generazioni, ma respingere tout court ogni metrica, ogni endacasillabo mi pare una forzatura, a freddo, una scomposizione degli elementi armonici di una scrittura, che non porta a nessuna novità e, semmai, segnala un nuovo disagio motivazionale e generazionale, che va indagato entro l’ambito di un rifiuto innovatore che in tal senso è solo di tendenza, o patologico.
N. P.: Cosa pensa dell’editoria italiana? di questa tendenza a partorire antologie frutto di selezioni di Case Editrici? di questi innumerevoli Premi Letterari disseminati per tutto il territorio nazionale?
Risposta: Poesia” non dant panem”, allora, i grandi editoriali non ne ravvedono gli utili economici e un ritorno d’immagine, perciò, sono riluttanti e negano in primis la<Poesia> rilegandola al ruolo di merce inutile. Vi è una tendenza a tirar fuori dal cappello del prestigiatore un’antologia ogni decennio, frutto di una sollecitazione all’interno di poeti veterani, che vogliono passare alla Storia. Perciò qualche esperto si paluda da critico ufficiale e ne decreta i promossi e i bocciati . Ma non avviene nulla, non cambia nulla, non si muove una brezza: tutto resta come prima, perché non c’è la volontà di assumersi da parte della critica la responsabilità dei criteri storici, di cui tanto necessità avrebbe il profilo letterario di oggi. L’immobilismo e la scarsa intenzione di formalizzare criteri logici di marcatura storica fa pensare a critici inadempienti, artefici di una stagnazione che non avrà alcuna giustificazione nel Futuro. In quanto ai Premi davvero innumerevoli che persistono in Italia, bisogna considerare il fatto che vi sia un’altra fascia di mezzo tra gli “indignados” e gli spacconi (ovvero, quei” non poeti” che si spacciano per grandi autori). Ebbene, a costoro bastano le vetrine che li espongono, le passerelle e” le coppette del nonno” per autodefinirsi poeti. Ma poesia è altro persino da se stessa. Poesia è la voce del mondo che parlerà per noi, Poeti, semmai ve ne fosse bisogno, saranno tre o quattro, e nessuno di noi potrà ben fregiarsi di esserlo.
N. P.: Certamente sarà legata ad una sua opera in particolare. Ne parli, riferendosi più ai momenti d’ispirazione, ai tempi di scrittura, alla scelta lessicale, alla revisione, più che ai contenuti. Che pensa della funzione del memoriale in un’opera di un poeta? e alla funzione della realtà nei confronti di un’analisi interiore?
Risposta. No, a nessuna in particolare e a tutte, ognuna delle mie opere è per me una creatura, nata dalle mie viscere e dal mio sangue, un anelito alto di vita interiore, un’ansia sempre rinnovata di significati e di tappe della mia storia letteraria.
N. P.: Cosa pensa della nostra Letteratura Contemporanea? raffrontata magari con quelle straniere? e dei grandi Premi Letterari tipo il Campiello, il Rèpaci…? e del rapporto fra poesia e società? fino a che punto l’interesse per la poesia può incidere su questo disorientamento morale (ammesso che lei veda questo disorientamento)? o pensa che ci voglia ben altro di fronte ad una carente cultura politica per questi problemi?
Risposta: anche la letteratura contemporanea risente del disagio attuale dell’essere, non è altro che una logica conseguenza della politica, della società, dell’economia, tutti fattori carenti o ingessati, motivi di disorientamento e di declino di un’epoca storica tra le più travagliate e infelici. La situazione della Letteratura è quella di una società in piena crisi: anche lo Strega, il Campiello, il Repaci riflettono questo dato storico di alta ingegneria all’immobilismo. Sono premi quasi sempre pilotati dalle Grandi Case Editrici che fanno rientrare nel novero dei privilegiati taluni nomi escludendone altri. Il disorientamento è totale, nessuno crede più nel merito e nel criterio di valutazione di equità e giustizia. Il resto è fumosa politica intrigante e pervasiva, barbarismo paludato da democrazia delle Lettere. Nient’altro che un campo di spighe devastato dalla grandine, ovunque la desolazione...il declino
N. P.: Se potesse cambiare qualcosa nel mondo della poesia o dell’arte in generale, che cosa farebbe? se avesse questi poteri che cosa lascerebbe invariato e che, invece, muterebbe sostanzialmente?
Risposta: non c’è più nulla a fare, tutto è stato fatto, in peggio, certo, calpestato, vilipeso, distrutto da una società che si autodefinisce “moderna” ma che mantiene i tratti dei cavernicoli all’interno di una civiltà, che ogni giorno di più si fiacca, declina, muore
La sua intervista verrà pubblicata sul mio blog Alla volta di Leucade blog.
La ringrazio per la sua disponibilità.
Nazario Pardini 04/06/2012
Id: 574 Data: 05/06/2012 18:08:32
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- Alimentazione
Il Poeta chi è, il poeta cosa spera
di Ninnj Di Stefano Busà
Il poeta è sempre stato considerato il sognatore, colui che vola con le parole al di là e al di sopra dei concetti sterili, banali, stereotipati degli altri. Colui che reagisce all'inganno del mondo in maniera eclatante: si fa sentire, reclama la sua parte di cielo, inventa o sogna un piccolo "eden" nascosto dove il beneficio mentale è indispensabile al suo dispiegamento: pensare, o scrivere sono la voce del vento, parola che non conforta, ma almeno, non irride alla speranza, non rinnega la fisionomia del sogno, la vela spiegazzata dalla marezzata può reggere: il naufrago viene recuperato in mare aperto e portato a riva, piange per il mondo che ha perduto, per quella pacchiana, e a volte, irriverente, verità denigrata, oltraggiata e offesa.
Il poeta non condivide l'atarassia del pensiero, la sciatta monotonia della normalità, insignificante e asettica, il poeta è il lottatore, l'atleta in una palestra di rachitici, egli fa esercizi in un pensatoio di ciechi e sordi, si allena ogni giorno, per esorcizzare la carità pelosa di chi non sente, di chi non vede o rimane indifferente all'artificio maligno che avanza inesorabile e ama farsi strada in una capitalizzazione universale di utile, di marciume, di asfissia dei suoi abitanti.
Il poeta intuisce che il suo canto non salverà l'universo, anzi ne è consapevole, ma gli regalerà lo strumento per combattere il male, forse per sovvertirlo o scongiurarlo.
Il mondo attraverso la Bellezza potrà ancora essere salvato disse il poeta.
La Bellezza del cuore deve sopperire la Bellezza effimera e insignificante del corpo, intervenire sulla casta moralità dei benpensanti, dei moralisti dell'ultima ora, che vedono nella poesia il passatempo, la noia, la irrilevante/insignificanza del pensiero.
Il poeta è un <barbaro sognatore> non come affiliato alla Lega, ma al suono della parola, al significato potente delle sue immagini ideali e fantastiche, vere ali, per volare....ci vuole un grande sogno, in questi tempi per smuovere ali atrofizzate dalla troppa immobilità intellettuale...e dal dispiegamento utilitaristico e materialistico della specie umana, votata alla sua estinzione.
Il poeta predilige il silenzio, fa sua la notte, la mancanza di suoni o rumori, l'isola felice dove far volare i suoi aquiloni, perché la spinta interiore, la forza ineluttabile delle sue molte vite, lo spinge ad essere fuori del tempo, fuori dagli schemi che ne atrofizzano la volontà del poiein.
Id: 572 Data: 04/06/2012 15:11:57
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- Letteratura
La difficile condizione di essere artista
di Ninnj Di Stefano Busà
La condizione di essere "artisti" in una società di normali, intendendo per "normali" la piatta evoluzione della fantasia, della creatività e dell'arte è per molti un dramma, perché si paga uno scotto imprevedibile. L'artista non è accettato con facilità dalla gente "comune" che vede in lui un fuorirotta, un sognatore, un fuorilegge delle regole, spesso un estraneo alle abitudini regolari del ritmo di vita: egli è fantasioso, estroso, sensibile, generoso. L'artista si può ritenere un privilegiato dalla natura, ma lo è semplicemente verso se stesso. la condizione di artista è una sorta di dannazione, perché è lacerante il suo percorso, (un po' suscita invidia, un po' viene guardato con sospetto). Più che un dono, allora, è una sofferenza, perché inviso ai più, Il poeta ad es. artista a tutto tondo, è un uomo completamente diverso dagli altri proprio di sua natura. In genere rompe con gli ismi, con le banali sottomissioni a questa o quella regola, il poeta è spirito indipendente, ribelle talvolta a qualunque legame, a qualunque disciplina. La sua poesia è una rottura col mondo circostante, uno scandalo verbale, una sofferenza indicibile allo stato "puro". Egli vede la poesia come rifugio dei suoi mali, vi s'immerge totalmente, riuscendo a trovare da essa la ragione stessa della sua vita, la spiegazione seppure opinabile della stessa ragion d'essere. Il poeta è solo, la sua solitudine gli serve per scrivere, per entrare in contatto con la parte più intima di se stesso, ma nello stesso tempo è un uomo solo, un uomo non compreso nel suo tempo, non integrato con la becera cultura e la banalità dei suoi contemporanei.
Il poeta pensa alto, è la punta d'iceberg di una cultura estranea al perbenismo permissivo quanto equivoco della società, non incline all'allineamento pedestre di una mentalità mediocre che s'intruppa all'esercito del q.i (zero).
L'artista vola con la sua fantasia nelle aree alte della stratosfera, ne intuisce la ricchezza del sentire, ne avverte con la sua arte ogni vibrazione con tutta la sofferenza che ne consegue, perciò non è ben visto o accettato. L'artista paga lo scotto di essere tale.
In tal senso è investito da un fuoco che lo condanna all'isolamento, ma lo esalta per le sue intuizioni fulminanti, le sue grandissime qualità intellettive e le sue eccellenti doti di uomo libero che usa il suo cervello e non lo mette al servizio di nessuno.
Id: 561 Data: 14/05/2012 16:56:16
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- Esperienze di vita
La donna e lo stolking nella società odierna
di Ninnj Di Stefano Busà
Premesso che, chi scrive non è una sfegatata femminista, nè una pasionaria che vuole mettere in discussione il ruolo maschile nella società e nel mondo, tanto meno spodestare o scalzare l'uomo dalla sua autorità millenaria di capo tribù, già acclarata dalla notte dei tempi. Al contrario, è a favore delle pari opportunità, ovvero nulla a svantaggio dell'uomo, ma nel contempo, sia dato alla donna il grande privilegio di essere donna, madre, sorella, figlia, ovvero permetterle la piena realizzazione di tutti quei compiti che in sé amministra ed espleta, senza neppure il riconoscimento di un ruolo ufficiale, o la parità di diritti e doveri con l'altro sesso. Per la donna di oggi, sarebbe sacrosanto dovere, oltre che un tributo alla sua innata capacità di destreggiarsi in mille ruoli diversi, lasciare la libertà che le spetta di diritto, al lume dell'intelletto che già possiede, poiché ella non tenta di aumentare il senso di competizione, ma di influenzare semmai positivamente il suo atteggiamento di compatibilità nei confronti del mondo intero, senza sfidarlo ad armi pari. Soprattutto perché ne risulterebbe svantaggiata dal ruolo di supremazia maschilista. La donna agisce con la consapevolezza di un intuito che è quasi infallibile, (ne è dotata fin dalla nascita), le sue capacità logiche sono multiple, possiede eccezionali doti di buon senso, di amore, di pazienza, di comprensione, di eqilibrio, di diplomazia, anche di malizia, perché no, perché malizia non vuol dire malvagità, crudeltà, miserabilità. Non mi trova d'accordo la sudditanza di nessuno dei due ruoli, ognuno potrebbe e dovrebbe operare in libertà, affiancandosi, difendendo il proprio spazio d'azione come può, al meglio delle sue possibilità e capacità attitudinali, in "simbiosi", semmai, senza sovrapposizione né ostentazione, senza scorrettezze e prevaricazione, in sinergia con l'altro sesso, non in netto contrasto con esso. Ma sarebbe chiedere troppo, perciò, ci si limiti almeno alla correttezza e alla pari opportunità. Di fronte alle leggi della Natura e di Dio la donna e l'uomo sono stati creati uguali, nessuno dei due in sudditanza: liberi e felici nell'Eden fino alla cacciata dal Paradiso terrestre. La donna però, al contrario dell'uomo, fin dai primordi ha avuto molte parti sullo scenario della vita, ha dovuto interpretare più parti e quasi sempre le più difficili: crescere e amare i figli dell'uomo, aumentare il prestigio del partner, sia marito o compagno, interpretarne e facilitarne l'eventuale benessere, contribuire col sua amore e la sua dedizione alla famiglia, al mantenimento della casa, portare avanti l'economia dell'intera comunità familiare, fare salti mortali per organizzarsi, conciliare prerogative di lavoro con esigenze familiari, orari di priorità e necessità, dibattersi fino allo sfinimento in mille e mille modi diversi per condurre un'esistenza dignitosa, adeguata alle reali capacità e possibilità, alle esigenze eventuali di altri elementi aggregati, che possono subentrare nel nucleo familiare del tipo: genitori, suoceri, figli di matrimoni allargati. Cosa manca dunque alla donna perché le venga riconosciuto l'imprimatur dei molti ruoli dei quali si fa già interamente carico, senza esserle riconosciuto alcunch* di tutto ciò, e di cui è all'altezza responsabile e guardiana del focolare domestico, pronta al sacrificio per la salvaguardia del suo progetto culturale e morale? L'avallo del maschio che pretende la sua piccola territorialità tutta per sé, e non è disposto a condividerla con nessuno, non rientra nelle sue aspettative, ella va oltre le remore istituzionali che la vogliono relegata al ruolo di "cenerentola" e di sudditanza al partner. Oggi più che mai la donna si è resa autonoma, affrancandosi da un ruolo che era un lacciolo alla sua libertà, alla sua scoperta del mondo, ai suoi diritti e doveri di essere umano "pensante". Ora la donna sta cominciando a capire che non è più tempo di sottostare ai loro strapoteri di vita e di morte, alle loro millanterie, ai loro loschi e recidivi inganni, alle malevolenze, alle vessazioni, ai tradimenti. La donna di oggi se non è affiancata da un partner compatibile, onesto, retto, autorevole, (senza essere autoritario), preferisce di gran lunga lo stato di single: stare sola non la terrorizza, non è un assillo, ella è assolutamente autosufficiente. La sua condizione di single non la disturba, anzi, talvolta, ne fa una privilegiata. Dalla capacità della donna di sapersi adeguare ai mutamenti, di saper far crescere i figli, anche senza l'uomo, di saper individuare un menage sereno, sapientemente dosato di affanni e pene, (che nella vita quotidiana non mancano), ma notevolmente gioioso, accogliente, preferibile a quello furioso e destabilizzante del compagno, soprattutto se non le è congeniale, né compatibile né solidale, ormai è consapevole anche la società in cui viviamo. Da qui: l'urto, la rabbiosa reazione, il malcontento, la furiosa gelosia dell'uomo di oggi. Da qui, la grande tragedia che sta colpendo da una parte i responsabile di tale situazione e, dall'altra, le vittime che tale situazione hanno dovuto fin qui subire. Sono stati calcolati in Italia più di 2000 casi di uxoricidio all'anno. Una vera ecatombe, una sorta di bollettino di guerra. Perché? E' presto detto. Le condizioni di sviluppo sociale, il benessere raggiunto in campo culturale, socio/economico, l'apertura intellettuale della donna verso traguardi che le hanno consentito nuovi orizzonti, rapporti sociali, progressi lavorativi, crescita economica, autonomia di giudizio, guadagni, hanno permesso alla stessa di negarsi al suo ruolo di eterna "cenerentola", e di non volersi più sottomettere al padre-padrone, ormai modello obsoleto di un tempo arcaico, che ha finito per perdere la forza bruta del suo bastone di cavernicolo. Ma sembra che l'uomo non voglia avvedersi della metamorfosi, del cambiamento sociale, culturale, morale, dell'entità cognitiva, sentimentale, emozionale, ristrutturante e impegnata del ruolo della donna in seno alla società, di cui condivide i dolori e i tormenti. Soprattutto, pare non voler accettare una simile condizione, una tale mutazione, che diviene frustrazione, inconcepibile per le sue ridotte capacità di cavarsela da solo. La donna, invece, dal canto suo, ha la forza magnifica ed esaltante della sua certezza di "essere", la potenza della sua energia propositiva, la sua intuitiva visione del tutto, cui fa appello in casi estremi per evitare di soccombere ai fendenti distruttivi, che la natura stessa le impone. Sicché quando tenta di lasciare un uomo che non dà nessuna garanzia di serena convivenza, diventa una vera tragedia familiare. L'uomo non possiede ancora le facoltà di emanciparsi dalla donna, è lui il debole, è lui lo scriteriato, è lui il più fragile, il più immaturo, indifeso, il più arcaico soggetto della modernità e del binomio all'interno del nucleo familiare. Perciò, doversi rimettere in gioco, dover ricominciare, doversi separare, condurre una vita da single, non poter più imporsi a nessuno, lo fa letteralmente impazzire, gli fa saltare la molla che tiene legati i filamenti del cervello, lo fa andare fuori fase: perdere sul campo dove aveva la superiorità, il vantaggio e, soprattutto, dover fare a meno dei servigi della donna considerata per secoli ai suoi diretti comandi, doversi umiliare a riformularsi daccapo, dopo secoli di predominio e di accondiscendenza della donna, polverizza la sua psiche labile e fragilissima, facendola esplodere come una miccia o un congegno ad orologeria. Piuttosto che dover ammettere il fallimento della sua inutile e surrentizia vita da reuccio, o adattarsi a passare al ruolo passivo di apprendista stregone, doversi lavare i calzini, prepararsi la cena, vivere in disperata solitudine, "uccide" il soggetto-oggetto del suo rancoroso legame, o si fa saltare le cervella malate. La donna, dal canto suo, ha acquisito un ruolo sociale di preminenza, spesso giunta all'apice della carriera, non intende mollare. Negli ultimi due anni sono stati calcolati solo (si fa per dire) 10.ooo morte ammazzate, stuprate, violentate dalla furia selvaggio del maschio che smarrisce la ragione. Da pochi mesi è stato inserito nella legislatura italiana il reato di stolking nella legislazione italiana, in teoria, nelle intenzioni del legislatore, questo strumento dovrebbe servire a moderare i bollenti spiriti dei pionieri...del far west, o degli abitatori della giungla. La donna si è resa responsabile di un processo storico che prende sempre più consistenza e di cui la società avverte da poco tempo la "mutata ratio". La donna è provvista di illuminazioni folgoranti, di furbizia spicciola, ma anche di quella profonda, studiata e lungimirante apertura mentale che serve nella società di oggi: tutte cose che all'uomo spesso mancano del tutto. L'uomo è istinto, sopraffazione e violenza, la donna: dialettica, esercizio della tolleranza, pazienza e lungimiranza. Come si fa a non capire che il mondo oggi ha bisogno di entrambi i poli per innescare il corto circuito? Come si fa a non capire che è finito il tempo della sudditanza silenziosa, della irascibilità bestiale dell'uomo condotta sul filo dell'arroganza e della forza bruta? solo perché era lui a portare i pantaloni, a provvedere economicamente alla famiglia? Eppure, ci tentano ancora a sopraffare la donna (in generale) i bellimbusti: a stuprare, a violentare, proprio in funzione di quella spinta animalesca che li soggioga, li cattura, li dirige. Sono in balìa del loro malsano istinto, che li fa credere dominatori del mondo. E lo sono stati per troppo tempo nei secoli passati. Ma ogni cosa ha un fine e oggi la fine è venuta con l'avvento della cultura del diritto, che assegna ad ognuno il suo ruolo, separato e insieme circoscritto, ad un solo grande progetto universale, far sopravvivere il mondo. Non importa Chi vi sta a governarlo, a dirigerlo. L'importante è dominare le negatività, prevenirle, mitigarle e possibilmente superarle. Se poi sarà merito dell'uno o dell'altro sesso niente toglie al merito. Ma questo ancora l'uomo, dopo 2000 anni di storia non lo ha accettato, né capito, neppure è disposto a metterlo in discussione e, ancor meno, a lasciare che si realizzi una simile sovrapposizione di ruoli.
Id: 559 Data: 09/05/2012 18:17:56
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- Alimentazione
La Grecia salvata in extremis agonizza
LA GRECIA IN RECESSIONE E DEFAULT SALVATA IN EXTREMIS DAL MEC AGONIZZA
di Ninnj Di Stefano Busà
Al momento sembra che il fallimento della Grecia sia stato scongiurato da una manovra comunitaria tra gli Stati dell’Unione. Ma sarà una “vittoria di Pirro”? Dopo molti tentennamenti, incertezze, manovre di riconversione, nuovi accordi, ripensamenti e varie, l?unione della Banca Centrale Europea ha deliberato e convalidato il prestito alla Grecia, afflitta e stritolata dalla crisi economica che l’attanaglia da alcuni anni. Anni di grandissimi rischi, e di devastanti incertezze che hanno ridotto il paese un enorme <buco nero> senza via d’uscita per la popolazione che si è vista stritolata dai mercati finanziari e messa alle strette con un debito pubblico da capogiro. Un po’ dell’ingente danno fatto a loro stessi si deve ai loro governanti che hanno “truccato” i conti, le manovre finanziarie non erano in grado di coprire l’enorme debito contratto e si delineava la paralisi e il fallimento titali con gravissimi rischi che avrebbero trascinato anche altri paesi dell’eurozona in difficoltà. Ma malattia è scongiurata al momento da una cura da cavallo che fa toccare cifre record ad una Grecia allo stremo, di cui è impossibile valutare ulteriori sviluppi e la risoluzione dei problemi endemici, ormai cronicizzati da un andamento di mercato bloccato, da un indice di arretratezza competitiva con paesi emergenti come la Cina e l’India, lo stesso Brasile che sono ormai all’avanguardia del potere di sviluppo e di ricerca delle materie prime, nel meccanismo delle trasformazioni. La Grecia e paesi analoghi, arretrati e senza crescita, senza adeguate strutture hanno bisogno di pianificazioni ingenti di sviluppo, di riforme costituzionali, di crescita e di investimenti che ovviamente non trovano più attecchimento in zone rurali e poco sviluppati perché non dedicano risorse alla ricerca, alla scuola e ai mezzi di sviluppo, la well fare è quasi inesistente, le banche non danno più credito perché svuotate del loro potere di acquisto in titoli credibili e affidabili. C’è allora da porsi la fatidica domanda: saprà la Grecia trovare il bandolo per uscire dallo strangolamento e regolarsi sul piano tecnologico-amministrativo come si addice ad un paese allineato? che deve proseguire di pari passo agli altri? oppure resterà tagliato fuori dalla realtà tragica di un sistema produttivo arretrato, da un sottosviluppo invasivo, da una burocrazia retrogada e compromessa? Il vero guaio per i paesi dell’eurozona sta proprio in questo non allineamento, nell’adeguatezza strutturale e commerciale dei loro scambi, nel PIL (prodotto interno lordo) che non tira, non ce la fa ad adeguarsi ai tempi e alla concorrenza, è inagibile dal lato industriale, tecnologico; le imprese straniere non investono in paesi arretrati che non danno un minimo di garanzia. Da qui, il salto nel buio, perdite su perdite si accumulano, lasciando vuoti incolmabili nella finanza e nelle casse dello stato che a tal punto non regge, implode come un pallone sgonfiato dal suo ossigeno e la caduta verticale, senza paracadute, provoca una rottura degli equilibri paragonabili ad un’altra guerra. I fatti sanguinosi e i morti lascuati sulle strade greche, le insurrezioni, le rivolte sono la prova evidente di uno stato di fatto intollerabile, in cui avendo smarrito tutte le certezze, il popolo non ha più nulla da perdere ed esplode in una rabbia difficilmente arginabile.la guerra civile, la guerra tra poveri. La situazione ora ppare meno drammatica, ci si augura la completa soluzione della vicenda greca, anche perché il caso potrebbe costituire un precedente ripetibile per altri paesi in difficoltà. Bisogna correre ai ripari, equiparare un FONDO COMUNITARIO DI SOPRAVVIVENZA con tutte le garanzie riservate ad un accordo internazionale di quel livello, soprattutto vigilare e fare rispettare le regole, perché senza regole comuni, senza condivisioni, senza benefit fiduciari tra i Membri non si esce dall’impasse,
Id: 557 Data: 08/05/2012 17:49:07
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- Letteratura
Poesia come groviglio che si dipana dal mistero
POESIA COME GROVIGLIO CHE SI DIPANA DAL MISTERO
di Ninnj Di Stefano Busà
Vi sono molti modi per sgrovigliarsi dalla morsa della Poesia, che come Mistero pervade e assolve. Senza colpa alcuna, si entra nel meccanismo poetico e se ne viene a tal punto travolti, da non poterne più fare a meno. Chi scrive Poesia, la fa per sempre. Non vi è percorso più obbligato di quel sentiero impervio, scosceso, ai limiti dell’isolamento. Come un calco nell’argilla la parola del poeta s’innesta, s’incista al centro di un mistero fittissimo. Perché facciamo poesia? perché scriviamo in versi? quale forza ci spinge a decifrare segnali dell’oltre? interpretare una lingua aliena che ci scruta dentro l’anima e ci fa pronunciare ai limiti del sogno. Vi sono imponderate ragioni per farlo. Prima d’ogni altra cosa, l’inclinazione. Vi è nella poesia una sorta di predisposizione, un imput di cui sconosciamo la ragione, che ci permette di collegarci con la parte più profonda e abissale di noi stessi. Il poeta sa che ogni parola origina ab interiore ed è il risultato della sua indagine conoscitiva, del suo percorso umano, del suo sentire acuto e impaziente che cerca il dialogo con l’esterno, si fa testimonianza di una presenza spirituale che comprende la forza e le finalità del suo intendimento, le quali spesso corrispondono all’esatto richiamo della coscienza e dell’intelletto: vi è uno strano connubio tra il pensiero poetante e la liturgia verbale del linguaggio lirico, fatto di premonizioni, di sensazioni, emozioni, suggestioni mai placate, spesso sdrucciole, impermeabili a qualsiasi altro richiamo che non sia il significato irrisolto della propria ragione insondabile, quanto mutante, il segno inconfondibile della propria identità. In poesia si può trovare l’evidenza di un tragitto che paradossalmente appare normale, ma che a ben vedere è ostico, difficile, tragico e quasi sempre implacabile. Ci pone interrogativi, ci indica la sua irriducibilità, come atto di fede, che si articola nel sentimento e nell’abbandono a parole desuete, come se l’assillo inquietante di un significato “oltre” ci pervadesse. La natura stessa cangiante e mutevole ci fa da sfondo, è il cimento ininterrotto del poeta, il suo vivaio d’immagini, di passioni, di riferimenti pulsanti, vi fa da sonda interagendo con ogni accelerazione, che riesce a muovere le corde intime e ben controllate del cuore. La scrittura poetica è quasi sempre l’imprevedibile espressione che sollecita con lucidità e senso tutte le pulsioni. La Poesia si confronta con le perturbazioni del mondo, con le sue assenze, le sue varianti, le eccedenze, le contraddizioni. Essa è perciò la molla di un cimento ininterrotto tra l’ego e il suo contrario, la presenza materica della sua necessità ne prende atto come di un evento irriducibile, che si dipana dal mistero per proiettarsi dentro e fuori da ogni tautologia, infondendo alla consapevolezza del pensiero la necessaria forza per redimere la bellezza minacciata dalle brutture del mondo, quasi catarsi, dunque, evocativa di meraviglie e metamorfosi.
Id: 541 Data: 21/04/2012 10:18:49
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- Società
La donna e lo stalking nella società di oggi
di Ninnj Di Stefano Busà
Premesso che, chi scrive non è una sfegatata femminista, nè una pasionaria che vuole mettere in discussione il ruolo maschile nella società e nel mondo, tanto meno spodestare o scalzare l'uomo dalla sua autorità millenaria di capo tribù, già acclarata dalla notte dei tempi.
Al contrario, è a favore delle pari opportunità, ovvero nulla a svantaggio dell'uomo, ma nel contempo, sia dato alla donna il grande privilegio di essere donna, madre, sorella, figlia, ovvero permetterle la piena realizzazione di tutti quei compiti che in sé amministra ed espleta, senza neppure il riconoscimento di un ruolo ufficiale, o la parità di diritti e doveri con l'altro sesso. Per la donna di oggi, sarebbe sacrosanto dovere, oltre che un tributo alla sua innata capacità di destreggiarsi in mille ruoli diversi, lasciare la libertà che le spetta di diritto, al lume dell'intelletto che già possiede, poiché ella non tenta di aumentare il senso di competizione, ma di influenzare semmai positivamente il suo atteggiamento di compatibilità nei confronti del mondo intero, senza sfidarlo ad armi pari. Soprattutto perché ne risulterebbe svantaggiata dal ruolo di supremazia maschilista. La donna agisce con la consapevolezza di un intuito che è quasi infallibile, (ne è dotata fin dalla nascita), le sue capacità logiche sono multiple, possiede eccezionali doti di buon senso, di amore, di pazienza, di comprensione, di eqilibrio, di diplomazia, anche di malizia, perché no, perché malizia non vuol dire malvagità, crudeltà, miserabilità. Non mi trova d'accordo la sudditanza di nessuno dei due ruoli, ognuno potrebbe e dovrebbe operare in libertà, affiancandosi, difendendo il proprio spazio d'azione come può, al meglio delle sue possibilità e capacità attitudinali, in "simbiosi", semmai, senza sovrapposizione né ostentazione, senza scorrettezze e prevaricazione, in sinergia con l'altro sesso, non in netto contrasto con esso. Ma sarebbe chiedere troppo, perciò, ci si limiti almeno alla correttezza e alla pari opportunità. Di fronte alle leggi della Natura e di Dio la donna e l'uomo sono stati creati uguali, nessuno dei due in sudditanza: liberi e felici nell'Eden fino alla cacciata dal Paradiso terrestre. La donna però, al contrario dell'uomo, fin dai primordi ha avuto molte parti sullo scenario della vita, ha dovuto interpretare più parti e quasi sempre le più difficili: crescere e amare i figli dell'uomo, aumentare il prestigio del partner, sia marito o compagno, interpretarne e facilitarne l'eventuale benessere, contribuire col sua amore e la sua dedizione alla famiglia, al mantenimento della casa, portare avanti l'economia dell'intera comunità familiare, fare salti mortali per organizzarsi, conciliare prerogative di lavoro con esigenze familiari, orari di priorità e necessità, dibattersi fino allo sfinimento in mille e mille modi diversi per condurre un'esistenza dignitosa, adeguata alle reali capacità e possibilità, alle esigenze eventuali di altri elementi aggregati, che possono subentrare nel nucleo familiare del tipo: genitori, suoceri, figli di matrimoni allargati. Cosa manca dunque alla donna perché le venga riconosciuto l'imprimatur dei molti ruoli dei quali si fa già interamente carico, senza esserle riconosciuto alcunch* di tutto ciò, e di cui è all'altezza responsabile e guardiana del focolare domestico, pronta al sacrificio per la salvaguardia del suo progetto culturale e morale?
L'avallo del maschio che pretende la sua piccola territorialità tutta per sé, e non è disposto a condividerla con nessuno, non rientra nelle sue aspettative, ella va oltre le remore istituzionali che la vogliono relegata al ruolo di "cenerentola" e di sudditanza al partner. Oggi più che mai la donna si è resa autonoma, affrancandosi da un ruolo che era un lacciolo alla sua libertà, alla sua scoperta del mondo, ai suoi diritti e doveri di essere umano "pensante".
Ora la donna sta cominciando a capire che non è più tempo di sottostare ai loro strapoteri di vita e di morte, alle loro millanterie, ai loro loschi e recidivi inganni, alle malevolenze, alle vessazioni, ai tradimenti. La donna di oggi se non è affiancata da un partner compatibile, onesto, retto, autorevole, (senza essere autoritario), preferisce di gran lunga lo stato di single: stare sola non la terrorizza, non è un assillo, ella è assolutamente autosufficiente. La sua condizione di single non la disturba, anzi, talvolta, ne fa una privilegiata. Dalla capacità della donna di sapersi adeguare ai mutamenti, di saper far crescere i figli, anche senza l'uomo, di saper individuare un menage sereno, sapientemente dosato di affanni e pene, (che nella vita quotidiana non mancano), ma notevolmente gioioso, accogliente, preferibile a quello furioso e destabilizzante del compagno, soprattutto se non le è congeniale, né compatibile né solidale, ormai è consapevole anche la società in cui viviamo. Da qui: l'urto, la rabbiosa reazione, il malcontento, la furiosa gelosia dell'uomo di oggi. Da qui, la grande tragedia che sta colpendo da una parte i responsabile di tale situazione e, dall'altra, le vittime che tale situazione hanno dovuto fin qui subire. Sono stati calcolati in Italia più di 2000 casi di uxoricidio all'anno. Una vera ecatombe, una sorta di bollettino di guerra. Perché?
E' presto detto. Le condizioni di sviluppo sociale, il benessere raggiunto in campo culturale, socio/economico, l'apertura intellettuale della donna verso traguardi che le hanno consentito nuovi orizzonti, rapporti sociali, progressi lavorativi, crescita economica, autonomia di giudizio, guadagni, hanno permesso alla stessa di negarsi al suo ruolo di eterna "cenerentola", e di non volersi più sottomettere al padre-padrone, ormai modello obsoleto di un tempo arcaico, che ha finito per perdere la forza bruta del suo bastone di cavernicolo. Ma sembra che l'uomo non voglia avvedersi della metamorfosi, del cambiamento sociale, culturale, morale, dell'entità cognitiva, sentimentale, emozionale, ristrutturante e impegnata del ruolo della donna in seno alla società, di cui condivide i dolori e i tormenti. Soprattutto, pare non voler accettare una simile condizione, una tale mutazione, che diviene frustrazione, inconcepibile per le sue ridotte capacità di cavarsela da solo. La donna, invece, dal canto suo, ha la forza magnifica ed esaltante della sua certezza di "essere", la potenza della sua energia propositiva, la sua intuitiva visione del tutto, cui fa appello in casi estremi per evitare di soccombere ai fendenti distruttivi, che la natura stessa le impone. Sicché quando tenta di lasciare un uomo che non dà nessuna garanzia di serena convivenza, diventa una vera tragedia familiare. L'uomo non possiede ancora le facoltà di emanciparsi dalla donna, è lui il debole, è lui lo scriteriato, è lui il più fragile, il più immaturo, indifeso, il più arcaico soggetto della modernità e del binomio all'interno del nucleo familiare. Perciò, doversi rimettere in gioco, dover ricominciare, doversi separare, condurre una vita da single, non poter più imporsi a nessuno, lo fa letteralmente impazzire, gli fa saltare la molla che tiene legati i filamenti del cervello, lo fa andare fuori fase: perdere sul campo dove aveva la superiorità, il vantaggio e, soprattutto, dover fare a meno dei servigi della donna considerata per secoli ai suoi diretti comandi, doversi umiliare a riformularsi daccapo, dopo secoli di predominio e di accondiscendenza della donna, polverizza la sua psiche labile e fragilissima, facendola esplodere come una miccia o un congegno ad orologeria. Piuttosto che dover ammettere il fallimento della sua inutile e surrentizia vita da reuccio, o adattarsi a passare al ruolo passivo di apprendista stregone, doversi lavare i calzini, prepararsi la cena, vivere in disperata solitudine, "uccide" il soggetto-oggetto del suo rancoroso legame, o si fa saltare le cervella malate. La donna, dal canto suo, ha acquisito un ruolo sociale di preminenza, spesso giunta all'apice della carriera, non intende mollare. Negli ultimi due anni sono stati calcolati solo (si fa per dire) 10.ooo morte ammazzate, stuprate, violentate dalla furia selvaggio del maschio che smarrisce la ragione. Da pochi mesi è stato inserito nella legislatura italiana il reato di stolking nella legislazione italiana, in teoria, nelle intenzioni del legislatore, questo strumento dovrebbe servire a moderare i bollenti spiriti dei pionieri...del far west, o degli abitatori della giungla. La donna si è resa responsabile di un processo storico che prende sempre più consistenza e di cui la società avverte da poco tempo la "mutata ratio".
La donna è provvista di illuminazioni folgoranti, di furbizia spicciola, ma anche di quella profonda, studiata e lungimirante apertura mentale che serve nella società di oggi: tutte cose che all'uomo spesso mancano del tutto. L'uomo è istinto, sopraffazione e violenza, la donna: dialettica, esercizio della tolleranza, pazienza e lungimiranza. Come si fa a non capire che il mondo oggi ha bisogno di entrambi i poli per innescare il corto circuito? Come si fa a non capire che è finito il tempo della sudditanza silenziosa, della irascibilità bestiale dell'uomo condotta sul filo dell'arroganza e della forza bruta? solo perché era lui a portare i pantaloni, a provvedere economicamente alla famiglia? Eppure, ci tentano ancora a sopraffare la donna (in generale) i bellimbusti: a stuprare, a violentare, proprio in funzione di quella spinta animalesca che li soggioga, li cattura, li dirige. Sono in balìa del loro malsano istinto, che li fa credere dominatori del mondo. E lo sono stati per troppo tempo nei secoli passati. Ma ogni cosa ha un fine e oggi la fine è venuta con l'avvento della cultura del diritto, che assegna ad ognuno il suo ruolo, separato e insieme circoscritto, ad un solo grande progetto universale, far sopravvivere il mondo. Non importa Chi vi sta a governarlo, a dirigerlo. L'importante è dominare le negatività, prevenirle, mitigarle e possibilmente superarle. Se poi sarà merito dell'uno o dell'altro sesso niente toglie al merito. Ma questo ancora l'uomo, dopo 2000 anni di storia non lo ha accettato, né capito, neppure è disposto a metterlo in discussione e, ancor meno, a lasciare che si realizzi una simile sovrapposizione di ruoli.
Id: 539 Data: 18/04/2012 10:04:55
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- Cultura
Dentro e fuori il paesaggio
DENTRO E FUORI IL PAESAGGIO di Antonio Coppola, supplemento a: I fiori del male n.51 (copia omaggio) (a cura di Ninnj Di Stefano Busà)
Un libro inaspettato, quanto gradito, quello di Antonio Coppola: "Dentro e fuori il paesaggio", una plaquette smilza che assumma un concentrato di poesia altissima, una poesia come non ne leggevo da molto. L’autore sbalordisce il lettore esordendo in versi davvero straordinari: “Noi tradimmo i silenzi/ che divennero assalti dentro/ la notte che succhia/ il figliare dei suoi abitanti (pag27) o ancora “Quando rovinosi i passi/ cadranno dalla scena/ mi è straziante bussare/ dentro quel silenzio / su cui visse metà di me” (pag. 17)). Il poeta riscopre se stesso, attraverso le miriadi di memorie quasi filmate, impresse nella mente: un hic et nunc, che come cantaride ricreata dalla bellezza da offrire al cielo, viene sollecitata dalla rapidità del sogno in transito, che la riformula e l’annota in tale nitidezza da sbalordire. Non che prima Antonio Coppola non sia stato un grande poeta, ma con quest’ennesima prova lirica, crediamo di poter affermare che ha superato se stesso, ha fatto il giro di boa e si è portato ad un livello davvero superiore. Antonio Coppola è parco nello scrivere poesia, ma quando lo fa, la compone ai più alti livelli. Come ad es: la sua creatura: I fiori del male, iniziata in sordina, quasi per scommessa, oggi è arrivata ad essere una delle riviste più qualificate del diorama letterario contemporaneo. Vi collaborano autorevoli scrittori e critici di spicco. Un vero successo, di cui andare fieri, soprattutto in questi tempi scarsi di cultura e di iniziative che tendano a proteggerla. La tendenza e la predisposizione sono sempre le stesse, il poeta permane nella sua nicchia d’ascolto, appartato ma non isolato e, riservato, (come è nella sua natura) non ama la folla, il trambusto del palcoscenico, la ribalta mediatica, se ne sta in disparte a comporre liriche che hanno come sostrato una parola consapevole del suo lutto, del suo malessere: “Presto svanirò in questo mare / di triboli e curve di cielo/ in una Scilla che si fa bella/ addormentata sul sentiero fiorito” I versi di questo prezioso libriccino fanno pensare all’eco di un Montale, nelle sue ultime composizioni, ad una riappropriabile trasfigurazione del reale, che increspa e assottiglia la lamina del tempo, senza per questo fermarne: suggestioni, sentimenti, emozioni, in un attraversamento di strazi e di straordinarie maturità intellettive che, proprio per la percezione di cui si fanno interpreti, riescono a misurare un potenziale alto di poesia che coglie e, profondamente trascorre, tra le fitte affannate e dolorose dell’esistente. Tutta la poesia di Coppola è vivificata e resa godibile da una blandita profondità, quasi tragica e palpabile della memoria. Qui, se ne evince un concentrato che utilizza a 360° tutti gli strumenti dell’orchestrazione. Passioni sedate, (forse) che restano perturbanti e fedeli a se stesse. come in questi versi: “Sentire il grido degli uragani spolpare/ l’anima, invece, oggi, il corpo trema/ fino al profondo epicardio.” (pag.42) La bellezza e il fascino di questa poesia stanno nel saper individuare il punto esatto, da cui superare le barriere dell’immaginifico, per farsi pianto consolatore, meno afflitto e più autentico dell’anima.
Id: 532 Data: 04/04/2012 15:29:42
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- Letteratura
La Poesia non è soltanto atto creativo in sé
LA POESIA NON E’ SOLTANTO ATTO CREATIVO IN SE’
di Ninnj Di Stefano Busà
Bisogna tener presente innanzitutto che Poesia non è soltanto atto creativo in sé che trascende l’oggetto stesso e i suoi contenuti. Essa si realizza entro i termini più trasfiguranti di tale atto e deve anche riflettere il mondo e la sua oggettivante natura, deve essere pulsazione di una incontestabile, innata creatività reale, sempre valida nel tempo come relativo oggettuale della sua storia e del suo compimento. In altri termini, la Poesia ha davanti a sè due obiettivi: inventare e reinventarsi. L’itinerario della comunicazione poetica è spesso tortuoso, labirintico e si insinua tra universi di cultura che in qualche misura confliggono tra loro e vengono coinvolti all’interno del fatto creativo come deterrente. Si può immaginare di avere un cannocchiale a due lenti: chi guarda e chi è guardato finiscono per configurarsi entrambi e proiettare la loro visione al di là del contingente e ritrovare la stessa immagine reale valida ed ineluttabile per entrambi. In altri termini, la Poesia deve essere non soltanto espressione, ma anche comunicazione, o come osserva Wladimir Holan nel suo poemetto: “Una notte con Amleto”, un dono. La Poesia finisce con l’essere lo specchio della realtà nel tenpo. Si finisce con l’essere moderni senza saperlo e senza volerlo, perché la poesia si adegua. Ogni artificio o arbitrio perpetrati sulla Poesia, soprattutto se tecnico programmatico, finisce per essere una forzatura, un’assurda pretesa di novità, perché ne compromette chiarezza e spontaneità: L’arte ponte tra individuo e individuo (M. Proust). Allora, non basta esprimere: è necessario comunicare, come altresì è necessaria l’adeguazione espressiva del poeta agli schemi mentali (categorie) ai simboli che ne rappresentano i modelli e le sollecitazioni. La poesia è forma nella quale si coagulano contenuti che scaturiscono dal rapporto tra noi e le cose. L’atto creativo deve realizzarsi attraverso un processo che implica una fase di filtrazione catartica dell’elemento emotivo che la genera e, di trasfigurazione che non eluda l’esigenza della comunicazione ad altri. Si configura così quella sintesi a priori che la istruisce e la determina, come del resto accade in altre discipline: nella scienza e nella filosofia. La Poesia potrà così comunicare, non solo esprimere sensazioni e suggestioni, perché pur all’interno di un’esigenza di purezza, potrà creare un sistema di trasmissione di dati sentimentali e pratici, potrà cogliere i riferimenti oggettuali, i referenti dell’umanità, della società e della storia, al di là della snaturalezza o distorsione dell’atto creativo. Il prodotto siffatto potrà dunque sostenersi da sé, in virtù della sua inventiva originaria, fondata su moduli irripetibili, che rifuggono da luoghi comuni, dai decorativismi, dagli sfoghi privatistici, dalle confessioni di scarsa incidenza logica. La Poesia è sorretta dalla fiducia in taluni valori che ne determinano la rivelazione, che è traccia ed essenza oggettuali, non deformazione o mistificazione retoriche della non verità. Una siffatta visione si regge, pertanto, sulla libera autodisciplina del poeta, capace d’intuire nella profondità del proprio sistema ontologico, le categorie universali e universalizzanti su cui si determina l’arte della parola, rigettando quelle mostruose corruzioni arbitrarie, quei soggettivismi alogici, pretestuosi, anarcoidi di un reale-irreale trasfigurativo, nel quale la fantasia si perde, accendendosi di figure astratte, a volte, mortificanti che si accendono di misteriose volute, senza chiusura di linguaggio, senza circolazione di comunicazione in una tensione colloquiale fortemente inquinata da <non sense> destinato quasi sempre a sfociare in un sogettivismo o liberismo estetico individualistico e sperimentalistico d’assalto, che rifiuta e rinnega canoni estetici della tradizione più illuminata.
Id: 525 Data: 22/03/2012 16:29:41
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- Alimentazione
Intervista di Alessia Mocci Oubliette-magazine a N
INTERVISTA a cura di Alessia Mocci di Oubliette magazine
D. Lei ritiene che il mondo di oggi dia spazio alla Poesia? o piuttosto la rileghi in un mondo caratterizzato da asfissia, da depauperamento, da preoccupazioni di ordine pratico più grandi e incombenti?
R. Il mondo che viviamo, proprio per questo suo essere defraudato di valori e significati interiori, ammettiamolo pure, ha un bisogno estremo, esasperato di Poesia, poesia che viene dall’essere “spirito” più ancora che materia. La Poesia, pertanto, è l’unico momento in cui ci è permesso di estranearci da questo clima mefitico di morte, di profonde metamorfosi, rinunce, assenze che paradossalmente immobilizzano chi non si avvicini al –mantra- . La Poesia è un grande mantra che ispeziona e sostiene le vie interiori del ns. viaggio esistenziale. Non ci rende ricchi economicamente, ma scava nei cunicoli fondi della nostra coscienza di esseri umani e ci fa sentire meno <imperfetti>, ci fa avvertire meno dolorosi i morsi delle assenza, delle contraddizioni, delle miscredenze e banalità di un mondo fatto a immagine di miseria “indistinta”.
D. Chi secondo Lei è più adatto o versato alla Poesia il giovane o la persona matura.
R. Possono esserlo entrambi, è solo indispensabile che la Poesia “ditta dentro” e ne mostri lo strumento e la predisposizione letterari, vi sia poi disponibile un’intelligenza che ne avverta lo stimolo, il richiamo del dono, perché la poesia è un dono <aggiuntivo>, qualcosa che esula dal suo stesso farsi: una espressione di libero arbitrio in un mondo ormai sclerotizzato, a tal punto da essere cieco, dinanzi al messaggio del cuore. Per poterla ignorare si deve essere proprio incapaci di amare se stessi, a tal punto da non amare nessuna bellezza autentica ed eterna, quale quella che si sprigiona <in interiore>. La poesia è uno di quegli elementi di natura di cui è dotato ogni essere umano, solo che in molti non è manifesta, non sanno neppure di possedere quella virtù del cuore e dell’intelletto che sa trascrivere e collegare, decriptando immagini scollegate tra loro, e ricomporle come se giungessero dall’infinito, al quale tende e dal quale dopotutto è originato. La poesia tende a congiungere i due estremi: vita e morte in un connubio indissolubile che è la ragione ultima dell’esistente. Quel che avviene tra queste due tratte o segmenti della vita è percorso accidentato di un mistero che si realizza in noi, fotogramma dopo fotogramma. Perciò non c’è un’età che la destini e la riscatti, solo il nostro profondo respiro di chi la ama la sa creare in una dimensione adeguata, ricollegabile al mistero che la sovrasta.
D. Ha senso ai nostri giorni la Poesia d’amore?
R. Sì, se chi la scrive e la legge avvertono entrambi di essere dello stesso microcosmo che rincorre il riscatto possibile dalla miseria. La Poesia è anche elevazione, affrancamento dalle temperie miserevoli di un mondo fatto a immagine di solitudine, di conflittualità. L’amore completa il ciclo dei due opposti, unisce il filo delle contraddizioni possibili, in un solo armonioso cerchio, placa le ferite. le escoriazioni di un vivere incoerente che si proietta a viva forza nel quotidiano e ci svilisce. Ogni sentimento d’amore è degno di essere decriptato, perchè colma le distanze tra noi e il nulla, può essere la finestra schermata che ci ripara dal mondo, l’ultimo pensiero prima del sonno, il primo del mattino, una ràpida d’acque che tumultua dentro di noi e ci suggerisce che la passione è pronta a esplodere, ci esalta e ci commuove. Quando si ama, sono tutte le nostre emozioni a rivelarsi e le suggestioni possono essere diversificate, ma unite in un solo nodo d’indissolubile connubio: l’essere e l’atra metà di cielo (“l’altro”) combaciano. Il soggetto tende a congiungerlo perché mira ad una felicità possibile, ad una fusione con l’altro da sé che lo attrae e lo disorienta. Ogni amore è sempre un giorno nuovo, uno spiraglio nel buio, un “miracolo” che preferisce il tepore della nostra anima e si compiace di stringerla a sé, di coccolarla con quel fuoco spirituale che gli arde dentro. E’ una questione di biochimica, qualcosa che esula dal banale e forse un po’ ci nobilita..
D. Il suo linguaggio poetico è stato sempre di tono alto. Lei ritiene che la parola convenzionale non riesca a dare il segnale della vera bellezza?
R. Ogni poeta è un mondo a sè. Chi scrive Poesia deve saper leggere nel fondo dell’anima al meglio delle sue capacità. Non deve imporsi nessuna casualità né precostituirla, non deve avere convenzionalità di sorta, e tanto meno esprimersi con linguaggi non appropriati, non suoi, non in linea con la presenza del suo io personale, che deve imporre al concetto e al progetto lirico tutto se stesso. Chi scrive, scrive come può, senza prefiggersi altro che il suo tragitto di grazia, di ricerca dell’impercettibile, della verità che sfugge. Ogni episodio poetico è il frutto di tante concomitanze fruibili, che diventano misura del perfettibile nell’atto stesso della sua intuizione, della sua estensione, il resto è modus, flusso formale di pensiero che tenta la luce facendosi strada dagli abissi fondi e, verosimilmente se ne innamora, tanto, da ripetere l’operazione, da cui risulti un instancabile tentativo di reinvenzione, di rinnovamento della parola e del segno. Il poeta attraversa sempre l’aurora del giorno dopo, sa guardare l’universo delle stelle con occhi nuovi, sa intuire la giovinezza anche dalla notte. Il poeta è colui che si acquatta nel passato, per balzare nel futuro di dimensioni altre, di verità altre.
D. Questo nostro tempo dà ancora spazio al linguaggio poetico? oppure è distratto da altre forme di linguaggio più tecnologiche? L’informatica e internet hanno preso secondo Lei il sopravvento, hanno scalzato il fattore intimo della riflessione, della scrittura tradizionali.
R. Viviamo in un momento storico difficile che privilegia il <tempus fugit> e dà molto spazio all’apparire, più che all’essere. Nonostante ciò, la Poesia tiene, milioni di persone scrivono poesia, pubblicano e diffondono libri di poesia. In contrapposizione al sistema telematico e informatico è una contraddizione in termini, ma anche una legittimazione del pensiero “poetante” che non viene escluso dall’istanza intellettuale, ma se ne aggiudica semmai in piena libertà e coscienza la sua ragion d’essere. A me pare che la Poesia non declinerà, perché la poesia è il centro focale di un discorso interiore avulso da qualsiasi condizionamento del mondo esterno, è il ventre dell’universo, l’anima che nel suo porsi sa dosare le sue significazioni e misurare la temperatura dei sentimenti. Le due anime possono coesistere e non solo, possono interagire e dialogare, attraverso un processo interiore che riduce le distanze tra noi e <l’altrui>
Id: 523 Data: 19/03/2012 18:22:00
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- Scienza e fede
Non si può ignorare la salvezza dellanima
Il DISPREZZO DELLA VITA NON PUO’ IGNORARE LA SALVEZZA DELL’ANIMA
di Ninnj Di Stefano Busà
Vi sono momenti in cui la realtà c’inchioda al nostro ruolo di nomadi, in cui percepiamo più forte il senso, forse anche il pericolo del nostro essere precari nel mondo, di questa solitudine estrema che ci rende estranei a noi stessi, prima ancora che agli altri. La riflessione sul tema ci scuote, ci fa chiedere chi siamo? che cosa rimarrà di noi? cosa resisterà di questo nostro peregrinare sulla terra? La percezione di questo travagliato itinere ci spinge ad analizzare le regole del gioco, la partita aperta con la nostra vita, con l’esistente quotidiano, con l’apertura di un quid, al di là delle nostre frontiere percettibili, delle nostre vaghezze o sostanziali momenti di vita, tra ciò che vale e non vale la pena di vivere, Diventa perciò, sostanziale il concetto di saper dare una risposta ai ns. quesiti in tempi brevi, perché il nostro soggiorno sulla terra non è infinito, subisce variazioni da individuo ad individuo, ma non è eterno, Così possiamo intravedere tutte le stoltezze, gli inganni, le devianze che caratterizzano il percorso umano in una dimensione di “passaggio”. Noi transitiamo, noi attraversiamo il pianeta-terra, lo abitiamo, abitiamo i nostri sensi, vivifichiamo i nostri bisogni, alimentiamo le speranze, i sogni in una nuvola fumosa di esistenza che ci rende a volte una dimora diroccata, violata dai venti e dalle tempeste, altre volte appena una parabola che ci consente il ravvedimento, l’analisi della ragione, il presupposto della saggezza in termini di perdenza e di salvezza. Vi sono uomini che costruiscono la loro casa sulla sabbia, sicché un temporale o i forti venti la inabissano, la riducono in un cumulo di rovine, di polvere. La stabilità o meno dell’individuo sta nella sua forza morale e soprattutto, nella sua saggezza. Da una lettura più approfondita dei saggi, l’individuo può paragonare le capacità di fondo in cui giace, la possibilità di resistere agli assalti del male, contrapporsi alla fragilità della condizione umana, ai limiti materici che la sviliscono, la condizionano, lo può fare con la forza dell’intelligenza, dell’equilibrio e della logica di giudizio, con la pratica quotidiana degli insegnamenti cristiani, (senza essere bacchettoni si può) entrare nell’ordine di idee di rispettare l’altrui, di attuare i comandamenti cristiani, le regole morali e comportamentali dell’umanità senza trascendere in malafede, in corruzione, in iniquità, in malvagità. Allora, si può dedurre che se vogliamo dare ala nostra vita un riflesso di eternità, di compostezza e armonia, dobbiamo partire dal cuore, dall’amore cristiano, dalla dimensione più elevata e spirituale, dalla consapevolezza di ciò che è giusto probo e leale. Ciò che può rendere saldi i principi di una coscienza, di sua necessità, deve partire e scaturire da concetti nobili, limpidi, sereni, non sviliti dal consuntivo perverso di un “fare” che si allontani da Dio, non deve esimersi dal contrapporsi ad azioni malvage, che sperimentino le sregolatezze e i vizi, sovvertendo l’ordine e la profondità di buoni principi e della coscienza. La lotta è ìmpari, la vita ci allestisce piatti sempre più succulenti di perfidia e di inganni, col rischio di farci precipitare sempre più in basso nel baratro fondo del peccato. Al centro della nostra Apocalisse si pone il senso della Storia, la fedeltà ad un Ente superiore, ad un Vangelo che parli la lingua di tutti, che ci ami e ci consoli nelle avversità, ci dia una mano a non allontanarci dal giusto, la cui defezione può diventare il dramma della nostra esistenza.
Id: 521 Data: 18/03/2012 10:17:00
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- Letteratura
La Poesia come crescita umana
La Poesia come crescita umana di Ninnj Di Stefano Busà
Ogni essere umano, ogni individuo della specie determina e governa le facoltà, le capacità sue proprie, in modo autonomamente responsabile e consapevole. In altre parole, è il faber della sua crescita intellettiva. Sin dalla tenera età attraverso le scuole primarie e poi Secondarie, e Superiori, Università o quant'altro acquisisce i fondamenti principali deputati all'intelligenza e allo sviluppo del pensiero cogente, che sarà poi la struttura portante, l'edificio su cui poggeranno tutte le conoscenze e le colonne portanti intellettuali della sua conoscenza e delle sua crescita. Gli strumenti e le modalità di acquisizione dei mezzi espressivi, linguistici, logici, sono supportati dalle sue capacità a modificare la sua massa intellettiva che si serve di tutte le disponibilità strutturali e di categoria che traducono il senso della conoscenza. La quale in massima parte ci giunge dall'esterno, dalla realtà che ci circonda ma, in altra parte sono determinate dalla nostra volontà, dalla nostra capacità di acquisire nozioni, di farle nostre, di scavare e indagare nei meandri delle varie discipline tutti quei fattori che poi determineranno la cultura e la fisionomia individuale intellettiva. Il diverso grado d'intellezione dipende in gran parte dalle capacità di ognuno di approcciarsi a questa o a quella disciplina con interesse, impegno e volontà di apprendimento. La Poesia è un atteggiamento mentale che, inserito nello sviluppo concettuale di ciascuno, determina quella rifinitura quel ricamo-ordito e quella completezza che attengono alla sfera del sensibile, dell'immaginifico, e della creatività. La ragione per la quale prima di ogni altra va interpretata la motivazione profonda della poesia è decifrarne le caratteristiche interiori, lo status emozionale che deve essere sensibilizzato a compiere i primi passi verso la sfera dell'essere che è dominata dalla suggestione/emozione e dal sentimento. Non vi può essere Poesia senza che non intervengano fattori di ordine intellettuale o quantomeno, frammenti di emozione intellettiva che ne determinino il concetto d'arte. Perché di questo si tratta. In poche parole si va ad instaurare un prototipo di conoscenza e di elaborazione individuale che ha del misterioso, ma che è facile individuare in una zona alta del cervello, chiamata area di Broca, dal nome del chirurgo e antropologo Pier Paul Broca, che realizzò parecchi studi antropologici e metodologici sulle facoltà e sulle localizzazioni del linguaggio, così da essere considerato il promotore dell'antropologia moderna. I suoi studi ripresero la circonvoluzione di Broca, cui fu attribuita la funzione di deposito delle immagini motrici del linguaggio. A questo grande studioso dobbiamo la scoperta dei fondamentali criteri che determinano la zona del cervello adibita a magazzino di immagini. E per immagini s'intendano quelle localizzate e determinate nel cervello umano da esperienze dirette o indirette della realtà che ci circonda. Queste immagini supportate da una preparazione culturale che sia affine alla "letteratura"e all' "Estetica" è in grado di creare e realizzare il testo poetico e di amministrarlo e gestirlo sul lato dell'immaginazione e della scrittura che, dapprima, è esplicamente opera del cervello, ma in un secondo tempo tenta di esprimersi come può dal sentimento e dalla sensibilizzazione ad un piano prospettico di linguismo che dà l'espressione poetica. La poesia, quindi, non nasce dal nulla: origina e si proietta su un piano di appoggio che vede nella cultura il suo più vasto progetto intellettuale, elaborato in chiave di riferimenti linguistici attua quel progetto antropologico che abbiamo visto determinarsi e delinearsi nella scrittura creativa, la quale altro non è che la coscienza ai diversi gradi dell'autodeterminazione a creare immagini di scrittura e tali immagini le estrapoliamo dall'emisfero intellettuale di Broca. Ciò premesso, indicare nella Poesia il più alto indice di elaborazione del cervello è di una semplicità lapalissiana, epperò, non basta questa spiegazione, per poter affermare che a raggiungere gli altissimi vertici del lirismo siano veramente le più grandi personalità della cultura, perché questa facoltà di espressione si declina attraverso un processo complicatissimo, d'inaudita ampiezza e profondità che coinvolge gli strati profondi dell'emozione e del linguaggio. Tutto avviene in maniera del tutto inaspettata, non si ha mai abbastanza preparazione per esprimere un concetto in forma d'arte, soprattutto, perché la forma estetica o il gusto che dir si voglia cambia da persona a persona, da un'epoca all'altra, da una società all'altra e fra individui anche affini, nell'ambito della stessa generazione che ne sensibilizza l'estro e la fantasia.
Id: 518 Data: 15/03/2012 13:20:24
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- Società
Essere poveri dentro
ESSERE POVERI DENTRO
di Ninnj Di Stefano Busà
E’ un guazzabuglio la società di oggi, un coacervo di passioni sconclusionate e assurde, un artificio di azioni atte a rappresentarsi, autoreferenziarsi, mostrasi all’ennesima potenza. Il comportamento umano è versato a dare la peggiore immagine di sè, il più lacunoso, estreverso, eterodosso progetto di squalificazione e di disfattismo: si ricorre all’orrido, quando non si trovano modelli, già preconfezionati, standardizzati da seguire. Mai secolo è stato più patentato al libertarismo sfrenato e inconcludente, portato alle sue estreme conseguenze, come quello attuale, mai società più dispare e assillata da dubbi, da incognite, da pregiudizi, incertezze, conflittualità e aberrazioni come quella attuale. Ma cosa succeda alla ns. coscienza? cosa fa scattare la molla di perversione che ci svilisce e ci disorienta in episodi di poca luce spirituale, in assenza di valori, di significati, di idealità? Cominciamo col dire che il Bello non è più di moda, è il nomadismo della coscienza a dettar legge: oggi sei orientato al buio, alla tenebra, non vengono rispettati piani di sviluppo morali, progetti di alto rango, ipotesi di meritocrazie, di sintonie comunitarie. Ovunque alligna lo sfacelo, la ruberia, l’inganno, il sotterfugio per arraffare denaro (quasi sempre denaro sporco, contaminato), proveniente da intrallazzi, imbrogli, droga, corruttele di ogni tipo., Mani pulite non è stato debellato, il suo fenomeno cresce ogni giorno tra le fila di una politica deviata, logora, insofferente e logorroica, una politica rea di aver praticato il politichese per i gonzi e la bella vita per le tasche “elitarie” di chi giunge in alto, tra i privilegiati di una gang che storicamente, da troppo tempo si fa i propri interessi personali, tralasciando e ignorando quelli che sono dell’Italia e degli Italiani. In questi ultimi quindici anni sono avvenuti i peggiori ladrocini, le peggiori disfatte che siano potuti accadere dal dopoguerra in avanti. Le greppie sono state basse e i partiti e i politici lesti a fare man bassa degli ingenti proventi pubblici. Un fiume di denaro è andato a riempire sprechi, malefatte, scambi di favore, partitocrazie, collusioni e corruttele di ogni genere. L’uomo è come impazzito, gira attorno a se stesso, al potere, al denaro e al protagonismo come un lupo sulla preda: tutti vorrebbero essere parlamentari, senatori, politicanti da strapazzo, pur di conquistare uno scranno in parlamento venderebbero la loro madre e anche le figlie, se necessario. Ci si chiede, come questo sia potuto accadere. La libertà, meglio il libertarismo delle dottrine tramandate dal revisionismo storico di Yung, dall’individualismo più generalizzato e inetto ha visto un facile terreno di attecchimento nel versante del libero mercato e del capitalismo senza regole della postmodernità, che ha aperto le frontiere, proponendo facili scambi di merci e di idee. Ebbene, lo scambio è avvenuto, ma l’Italia non avendo una sua moneta forte è andata indietreggiando, (vessata anche dalle troppe regole comunitarie che non siamo in grado di assolvere, non solo per la cattiva politica e la corruzione dei suoi rappresentanti politici, incapaci di far rispettare le regole, inadatti ad un impiego di forze e di congiunture che mettessero l’Italia al riparo del suo defoult, ma pure per l'arrivismo, il malcostume e la miseria morale dei più. Oggi siamo arrivati al capolinea, paghiamo a caro prezzo le menzogne, gli arrivismi, i rinvii, gli egoism, le strategie paranoiche di molti pasionari dell’ingordigia e del malaffare, soprattutto, di un far politica da “strapazzo”: il “politichese” dei mediocri, senza una visuale alta, senza una visione di priorità su quelle che avrebbero divuto essere le regole di un vivere “civile”. Il bubbone è scoppiato, l’Italia si è rivelata per quello che è: una nazione fragile che vuole competere con i grandi del mondo, (e invece si avvita come una palla di ferro e sbanda, tra i cocci di un imperialismo europeistico), senza i connotati necessari. Mi spiego meglio, quando l’Italia entrò nel Mercato Comune Europeo si sarebbe dovuto tener conto dei diversi livelli e potenzialità economiche, sociali e culturali di ogni Membro, si sarebbe dovuto tener conto delle differenze, dei parametri economico-finanziari di ognuno, non assemblare potenze economiche diverse, con solidificazioni e mezzi diversificati, differenti culture e mezzi: welfare, gradi di logica, di perfezionamento del lavoro, di preparazione, di ricerca, di studi. Molti paesi più sviluppati dedicano ad es. alla ricerca ingenti somme, perché da essa origina la superiorità, la competitività sul mercato. l’import e l’export dipendono direttamente da questo ago della bilancia, più un popolo è arretrato in tecnologia e sviluppo, minore possibilità ha di essere competitivo con gli altri. Le ragioni della nostra debacle sono tante, tutte da essere valutate e studiate, invece, si tende a fare: “si salvi chi può” e l’Italia affonda. Infatti, dov’è la crescita? dove sono il senso comune, la logica di immettere forze nuove sul mercato? dove sono le menti atte a disporre di nuove tecnologie? dove sono i governanti capaci di ristrutturare davvero le regole del lavoro? di preparare il domani dei giovani, di costruire un baluardo alle vecchie partitocrazie abuliche e insofferenti, sclerotizzate, ingessate da una burocrazia paradossale e fuori tempo, da un manierismo di regole non più aperte alla globalizzazione che nel frattempo è andata cavalcando? Per usare un eufemismo, dico figure mediocri, dico incompetenti, dico inadatti, ma...si dovrebbero giudicare con minore delicatezza e metterli al posto dove meritano, tanti, troppi furfanti che senza alcun titolo, senza intelligenza e raziocinio, (non oso pensare al termine lungimiranza), ci hanno condotto fin qui, sprecando il nostro destino di libertà, di giustizia, di uguaglianza, oltre che il benessere di oggi e di domani di milioni di italiani.
Id: 516 Data: 14/03/2012 10:08:26
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- Società
La Cultura delloblìo
LA CULTURA DELL’OBLIO
di Ninnj Di Stefano Busà
L’accantonamento e la rimozione del fattore culturale sembra la moda di oggi. La modernità propone un volto devastante in cui tutti rischiamo di entrare in un terreno minato che ci rende opachi spettatori di una vita che non ci apppartiene, se non nelle apparenze: contraddittorie, vanificanti, decadenti, svuotate di ogni immaginario collettivo e individuale. In questo territorio impervio si staglia una decadenza di valori e di significati che trovano facile attecchimento e ampi consensi in una visione di vita, senza Dio. L’uomo della postmodernità rischia così’ di essere un assuefatto spettatore di se stesso, imprimendo alla cultura dell’oblìo la sua più alta accelerazione. L’uomo contemporaneo divenuto scettico e insensibile ai richiami della civiltà e dell’umanesimo, si è man mano avvitato su se stesso, rimanendo impigliato nei vortici pericolosi di una rimozione di <coscienza> paradossale e grave dal punto di vista umano e divino. Divenuto cosi, estraneo a se stesso, si è visto scardinare tutte le capacità raziocinanti del pensiero da un crogiuolo di “globalizzazioni” alienanti, in cui tutte le certezze sono venute meno e l’individuo si ritrova azzerato e depresso. Nietzche, in origine aveva interpretato e intuito la necessità dell’ <l’uomo nuovo>. Ma l’uomo nuovo della contemporaneità è un pellegrino, nomade, sfiduciato e assente che, pur respingendo la nullificazione dei propri sentimenti, si allinea ad un processo di nichilismo collettivo, socio-culturale e programmatico di tutti i fattori riconducibili alla sua volontà di <essere>. Una sorta di fantoccio in mano a forze oscure, non in grado di realizzarsi in un progetto alto della storia, o di portare a compimento una nuova “innocenza” e un nuovo sogno di redenzione e di riscatto. La sua realizzazione ha diverse lacune che il contenuto e la forza morali non possono estrinsecare, proprio per quel retaggio di dolorosa “amnesia” che determina l’abbandono dei suoi progetti più alti. L’assuefazione allora è il peggiore nemico per l’umanità diseredata, offesa e deprivata dal suo ruolo di coscienza autonoma. La chiesa si allontana sempre più da quella visione ontologica di speranza e di apertura verso l’aldilà, non ha più attrattive né consensi, spesso entra in polemica e in sofferenza coi problemi più elementari e stringenti dell’uomo moderno. Su questo sfondo si delinea una pericolosa e inquietante deriva. la mancanza di Dio nel tragitto dell’individuo. La crisi dell’umanità ha determinato la catastrofe del pensiero, il declino della solidarietà, l’allontanamento dai valori e dalle prospettive etico-morali che orientano l’esistenza . L’atteggiamento più facile diventa, allora, passare all’amnesia tout-court, azzerarsi, avere sempre meno capacità induttive e di pensiero, rimuovere l’ortodossia per sopravvivere alle ceneri di una catastrofe di proporzioni globali. La fede vacilla, il senso della religione è in grande ambascia, anch’esso un segno dei tempi: se alcuni decenni addietro era impostato sul “Dio si, Chiesa no”; oggi si proclama più scettico e agnostico che mai: con “religione no, Dio no” correndo il rischio di svuotare definitivamente da ogni significato etico e profetico il senso del Vangelo. Certa teologia vede nel fatto umano la prassi di adeguamento ai tempi, ma spesso solleva inquietudine e sofferenza l’assenza di Dio nella società, nell’individuo, ancor più che nella questione di isolamento dalla fede. La tematica del <male> presente nella sequela delle assenza e della privazione del volto di Cristo è una questione morale che riguarda tutti, da cui non è auspicabile allontanarsi, previa la tragedia immane e il declino etico cui stiamo assistendo nell’era della postmodernità: un delirio assurdo, inconcepibile, una deviazione e un piano inclinati da cui è impossibile prevedere le conseguenze e il disfacimento della razza umana a breve scadenza
Id: 514 Data: 12/03/2012 10:21:43
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- Letteratura
Il sogno e la sua infinitezza
IL SOGNO E LA SUA INFINITEZZA di Ninnj Di Stefano Busà (recensione dello scrittore libanese Haidar Hafez)
I versi di Ninnj ci trasportano in un cielo tempestato di stelle simili ai diamanti luccicanti di una collana che adornano il petto di una sposa in perpetuo cammino nei meandri dell’amore, nel quale la parola migra nello spazio infinito insieme al canto di un usignolo baciato dai primi raggi solari. Essi racchiudono in uno scrigno magico i segreti dell’anima, il fascino di una natura incantata ed incontaminata, emozioni e sentimenti sconfinati. L’etica e la filosofia che fanno da cornice al suo mosaico poi ci offrono momenti di profonda spiritualità e di riflessione, ci conducono per mano a scoprire i veri valori dell’esistenza in questo cosmo pieno di meraviglie e di continue sorprese. La musicalità dei versi, infine, dona un tocco di magia e di raffinatezza, simile in alcuni tratti alla poesia romantica di Chateaubriand e ai versi dell’indimenticabile Alda Merini. (Haidar Hafez)
Id: 508 Data: 07/03/2012 10:20:04
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- Politica
La Grecia salvata in extremis
LA GRECIA IN AGONIA SALVATA IN EXTREMIS da un negligente e contraddittorio sistema di vasi comunicanti
di Ninnj Di Stefano Busà
Al momento sembra che il fallimento della Grecia sia stato scongiurato da una manovra comunitaria tra gli Stati dell’Unione. Ma sarà una “vittoria di Pirro”? Dopo molti tentennamenti, incertezze, manovre di riconversione, nuovi accordi, ripensamenti e varie, l?unione della Banca Centrale Europea ha deliberato e convalidato il prestito alla Grecia, afflitta e stritolata dalla crisi economica che l’attanaglia da alcuni anni. Anni di grandissimi rischi, e di devastanti incertezze che hanno ridotto il paese un enorme <buco nero> senza via d’uscita per la popolazione che si è vista stritolata dai mercati finanziari e messa alle strette con un debito pubblico da capogiro. Un po’ dell’ingente danno fatto a loro stessi si deve ai loro governanti che hanno “truccato” i conti, le manovre finanziarie non erano in grado di coprire l’enorme debito contratto e si delineava la paralisi e il fallimento titali con gravissimi rischi che avrebbero trascinato anche altri paesi dell’eurozona in difficoltà. Ma malattia è scongiurata al momento da una cura da cavallo che fa toccare cifre record ad una Grecia allo stremo, di cui è impossibile valutare ulteriori sviluppi e la risoluzione dei problemi endemici, ormai cronicizzati da un andamento di mercato bloccato, da un indice di arretratezza competitiva con paesi emergenti come la Cina e l’India, lo stesso Brasile che sono ormai all’avanguardia del potere di sviluppo e di ricerca delle materie prime, nel meccanismo delle trasformazioni. La Grecia e paesi analoghi, arretrati e senza crescita, senza adeguate strutture hanno bisogno di pianificazioni ingenti di sviluppo, di riforme costituzionali, di crescita e di investimenti che ovviamente non trovano più attecchimento in zone rurali e poco sviluppati perché non dedicano risorse alla ricerca, alla scuola e ai mezzi di sviluppo, la well fare è quasi inesistente, le banche non danno più credito perché svuotate del loro potere di acquisto in titoli credibili e affidabili. C’è allora da porsi la fatidica domanda: saprà la Grecia trovare il bandolo per uscire dallo strangolamento e regolarsi sul piano tecnologico-amministrativo come si addice ad un paese allineato? che deve proseguire di pari passo agli altri? oppure resterà tagliato fuori dalla realtà tragica di un sistema produttivo arretrato, da un sottosviluppo invasivo, da una burocrazia retrogada e compromessa? Il vero guaio per i paesi dell’eurozona sta proprio in questo non allineamento, nell’adeguatezza strutturale e commerciale dei loro scambi, nel PIL (prodotto interno lordo) che non tira, non ce la fa ad adeguarsi ai tempi e alla concorrenza, è inagibile dal lato industriale, tecnologico; le imprese straniere non investono in paesi arretrati che non danno un minimo di garanzia. Da qui, il salto nel buio, perdite su perdite si accumulano, lasciando vuoti incolmabili nella finanza e nelle casse dello stato che a tal punto non regge, implode come un pallone sgonfiato dal suo ossigeno e la caduta verticale, senza paracadute, provoca una rottura degli equilibri paragonabili ad un’altra guerra. I fatti sanguinosi e i morti lascuati sulle strade greche, le insurrezioni, le rivolte sono la prova evidente di uno stato di fatto intollerabile, in cui avendo smarrito tutte le certezze, il popolo non ha più nulla da perdere ed esplode in una rabbia difficilmente arginabile.la guerra civile, la guerra tra poveri. La situazione ora ppare meno drammatica, ci si augura la completa soluzione della vicenda greca, anche perché il caso potrebbe costituire un precedente ripetibile per altri paesi in difficoltà. Bisogna correre ai ripari, equiparare un FONDO COMUNITARIO DI SOPRAVVIVENZA con tutte le garanzie riservate ad un accordo internazionale di quel livello, soprattutto vigilare e fare rispettare le regole, perché senza regole comuni, senza condivisioni, senza benefit fiduciari tra i Membri non si esce dall’impasse, LL
Id: 504 Data: 03/03/2012 09:44:48
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- Antropologia
Si corre il rischio di disertificazione culturale
di Ninnj Di Stefano Busà SI CORRE IL RISCHIO DI UNA DISERTIFICAZIONE DI MASSA
La contemporaneità corre il rischio di una desertificazione di massa. Chi non ha punti di riferimento, volontà propria e idee chiare asseconda un vento che disperde i semi della cultura, o li orienta debolmente verso quelli che sono i valori cognitivi e prioritari dell’intelligenza e del sapere. Ogni uomo è dotato per sua natura di un quoziente intellettivo almeno di media entità, ma se si lascia inaridire senza apportarvi un minimo di alimento, la cultura, lo sviluppo, la sensibilizzazione e con essi lo sviluppo cognitivo di ogni individuo tendono ad un deterioramento che può portare alla necrosi del pensiero, alla stasi intellettiva, quanto meno si può assistere ad una desertificazione e ad un allontanamento dallo sviluppo delle idee, dei pensieri e delle memorie che sono il sale della vita. La tecnologia dall’Ottocento in avanti, fino ai nostri giorni, ha fatto passi da gigante, ma ha lasciato indietro le qualità sublimanti dell’umanità che sono nell’ordine la definizione del suo criterio discernitivo, lo sviluppo e la promozione delle sue cellule cerebrali e l’uso della parola - il linguismo - che caratterizzano la condivisione delle idee e lo scambio del patrimonio genetico-intellettivo fra i propri simili. Senza questi elementi l’uomo vive la sua necrosi intellettuale e decade nella scala dei valori, desertificando l’intero patrimonio di conoscenza che, con molte probabilità, ha pure segnato il suo percorso. Ma come avviene l’elaborazione intellettiva dell’individuo? egli attinge certamente al suo patrimonio genetico/cognitivo, ma sviluppa nel tempo le caratteristiche piene di una (ri)elaborazione culturale che lo porta a crescere. Siamo circondati dal sapere ad oltranza, da migliaia di libri, da milioni di mezzi interdisciplinari: informatica, internet, rampe satellitari, digitali terrestri etc. che ci portano dritti ad una conoscenza enigmatica, tenebrosa, colma di effetti speciali, di lampadine che si accendono, di input, di videoclips, ma coi tempi che corrono, (accade assai spesso), anche si spengono.
Le turbe di oggi sono questo defilarsi della coscienza e della intelligenza, il non saper o voler più progettare uno sviluppo - a posteriore - progredire dall’istruzione primaria, non fermarsi ad un presente che non garantisce lo sviluppo individuale, poiché le facoltà dell’intero sistema cognitivo dell’uomo si arrestano ad uno stadio che vanifica lo studio ulteriore. E’ come se tutto il sistema si atrofizzasse senza capacità di recuperi. Si vive stentatamente nell’oggi, senza uno spiraglio di luce ulteriore. Del supporto della cultura non si dovrebbe essere sufficientemente sazi, come del cibo lo stomaco per vivere, per star bene, progredire. In realtà . Ma altri sono oggi i motivi dell’abbandono della cultura. Anche intellettuali di primo piano amano esporsi in TV a caricature dell’intelligenza, i programmi colti o almeno culturalmente preparati sono pochissimi, si tende a inquinare e contaminare l’intelligenza con aggressivi scenari televisivi, con talk show, con palcoscenici mediatici che rasentano la leicità, il decoro. La massa tende alla schizofrenia fra l’individualismo materialistico ed edonistico e il guadagno facile e immediato che, di certo, la vera cultura non dà. Il dramma della nostra cultura è oggi un ripiegamento su se stessa, un pericolo assai fondato dovuto alla mancanza di criteri, di equilibri, di saggezza, ma anche e soprattutto alla diffusione di un modello di vita che da più materialismo che spiritualità, più guadagno e successo, garanzie di risorse immediate, piuttosto che contrappunti di scienza e di intelletto. La sapienza spirituale è divenuta un optional. La contemporaneità offre prodotti di più immediata presa, prodotti luccicanti che aspirano a criteri di valutazione egoistici e meschini, piuttosto che aspettare la fruttuosa eredità del dopo, conviene cogliere l’immediatezza e l’apparenza delle immagini, del presente. La ricchezza è una scatola chiusa che tutti vogliono scardinare: la trasformazione interiore è divenuta una lotta continua contro la coscienza e il tempo che si fa avaro e ci depreda. La distanza dall’essere a favore dell’avere si accorcia ogni giorno di più e porta le creature del mondo ad appropriarsi dell’attimo fuggente, a proporre come sfida di vita il richiamo materiale in grado di corrispondere alle aspettative con lauti guadagni. In questo deserto della Cultura, noi guazziamo come pesci fuor dell’acqua, ma quanto possiamo resistere prima di estinguerci? O almeno, le domande più impellenti sono: sapremo impostare la bussola verso un rieducazione delle coscienze? Sapremo rispondere alle attese di domani programmando e promuovendo le attese, le aspettative, i programmi del futuro, senza incorrere nel sistema nichilista che ci sta facendo smarrire tutte o quasi le coordinate degli umani sentimenti, del buon senso e dei valori che attengono alla palingenesi del processo rigenerativo della specie?
Id: 499 Data: 27/02/2012 18:01:31
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- Filosofia
Cosa sintende per Spiritualità
di Ninnj Di Stefano Busà
Dentro di noi ne avvertiamo l'esigenza, lo stimolo, il conforto che ne potrebbero derivare, ma siamo ormai incapaci di rintracciare la nostra "spiritualità" fortemente oltraggiata, derisa, ignorata, trascurata dala immensa mole di sollecitazioni esterne, che abiurano alla profondità e verità del soggetto-animatore che dentro di noi abita.
In qualche attimo di assoluto privilegio, "qualcosa" canta in noi, ci consente una parziale visione dell'assenza, chiede, talvolta, a gran voce di essere rigenerata, alimentata. E' la voce della coscienza come promessa dell'assoluta, indivisuìibile percezione di essere più che di avere. Riempirci di splendore, di luce, di desiderio , raggiungere intinerari spirituali che ci arricchiscano all'interno, che ci progettino qualcosa di alto, di nobile, di migliore per la nostra esistenza.
Una vita degna di essere vissuta è l'anelito di tutti.
Ma cosa può significare oggi il concetto stesso di spiritualità non osiamo neppure immaginarlo. Non ne abbiamo neppure l'idea, lo avvertiamo come percezione, come essenzialità di un tutto, di un corpus ineludibile che si presenta a noi come "anima", concetto astratto che si qualifica come irrangiungibile meta di un quotidian percorso dalla tenebra alla luce.
Ma dove stanno il buio e dove la Luce...non riusciamo a comprenderlo. C'è un vuoto dentro di noi, un vuoto che ci modella, senza la nostra volontà, incolpevolmente o non, verso un'informale, stereotipata visione della vita.
Allo stesso tempo, siamo stritolati dalle passioni, dai desideri, dai tormenti quotidiani che ci allontanano sempre di più dal nucleo centrale del nostro esser(ci). Brancoliamo nel vuoto assurdo delle nostre incapacità pregresse, ma non abbiamo sensazioni di superamento dallo status di frustrazione. Il vuoto ci prende, ci spende nella miriade di sue profanazioni, corrutele, inganni.
Vorremmo ritrovare, indubbiamente, il senso della sacralità, ma siamo infiammati dalla grettezza, dalla pura e semplice incapacità a donarci senza remore ai moti del cuore, agli impulsi del sentimento, alle vicende amorose, sociali, politiche, religiose con una visione più ampia e meno banalizzante.
Da ogni parte si avvertono i sintomi di questa atroce contraddizione. Siamo la domanda senza risposta, l'opposto e il contrasto vivo e tagliente della nostra miseria spirituale.
Stiamo assistendo ogni giorno di più allo sfaldamento di tutti i valori, alle remore etiche, al faòòomento dei significati più elevati e sobri.
Siamo di fronte al diffondersi di un <indivisualismo> senza precedenti, una sperimentazione delle passioni e una diversificazione dei sistemi esistenziali senza freni.
Ci occorrono nuovi modelli, nuovi mondi da esplorare, nuove vie da percorrere: il tragitto verso la Luce è inquivocabile o ci si allinea per raggiungerlo, oppure soffriremo sempre di più il vuoto, la desolazione, l'annientamento delle risorse spirituali.
Siamo ad uno sbocco finale. Il passaggio da un'era all'altra ci ha visto spettatori impassibili scivolare verso abissi fondi. Oggi è tempo di tirarsi indietro, di iniziare a percorrere un sentiero che ci conduca alla consapevolezza di essere su una strada senza ritorno: allora, o reiterare l'inganno o, modificare l'assetto, l'opportunità di crescita spirituale.
L'antico metodo scientistico ha messo in luce che il matrimonio tra scienza/fisicità non sta più in piedi, ne ha ampiamente mostrato i limiti. La fisica quantistica ne ha esaltato l'universalità materialistica della visione newtoniana, incentrata sull'atomismo dei nuclei e sugli atomi isolati, racchiusi nei margini di spazio-tempo.
Oggi, dopo l'illuminismo, attraverso la coscienza dell'intelletto pensante, ma anche dell'intelligenza dell'anima la concezione dell'universo è vista sotto un altro aspetto, il dettaglio non è di poco conto. esiste un legame tra corpo e anima, tra sacro e profano.
E' davvero priva di scopo la nostra esistenza? c'è senso ad essere qui, ora nella nostra veste di protagonisti del nulla o dell'indissolubile mistero che ci trascende? Esiste la metafisica, esiste Dio, c'è legame tra la religione e la spiritualità che tanto evochiamo?
La sfida è aperta.Tutto sta nel dirigere bene le forze interne a noi, non sprechiamo fiato ad evocare assurde dinamiche di funzionalità, mettiamo in moto le nostre sinergie e affrontiamo la prospettiva e la sacralità della vita con occhi diversi, ma soprattutto con nuovi metodi e nuove discipline che non contrastino lo spirito che abbiamo dentro.
Id: 496 Data: 24/02/2012 09:52:39
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- Letteratura
DAnnunzio
D'Annunzio Gabriele D’Annunzio (a cura di Ninnj Di Stefano Busà)
Dentro il Decadentismo sta in bilico un’altra voce singolare del nostro panorama culturale letterario: D’Annunzio. Figura emblematica di scrittore illuminato da una cultura di transito tra il vecchio e il nuovo, il quale non riesce pienamente ad uscire fuori dagli stereotipi di una pagina storica che lo vede in prima fila affrontare le grandi trasformazioni a cavallo del secolo. In lui l’incapacità di intendere la storia come illuminata da fattori di religiosità e di autentici valori di fede fa perdere di vista la realtà che, in tal modo, si presenta come l’esaltazione orgogliosa e proterva di un io che culla il soggettivismo individualistico e lo traghetta nel dissidio reale della storia. Di contro, la storia ne esce come un episodio di esaltazione naturalistico-culturale ricettivo ad accogliere lo strutturalismo di una volontà che è la parte finale di una costruzione intellettuale avanzata, la punta d’iceberg di un prepotente individualismo idealizzato fino alle sue estreme conseguenze da un intelletto che si dibatte nelle sacche prioristiche del fenomeno materico più esaltato dell’uomo-dio (protervo e conflittuale episodio dell’agnosticismo religioso e dell’evoluzionismo darwiniano). Le prove della teoria evolutiva vanno poi ricercate nella possibilità di influire sul controllo di laboratori interpretato dalle indagini scientifiche del processo evolutivo della specie. Da parte di D’Annunzio vi è l’adesione ad uno strumentalismo intellettuale che trascina dalla sua il simbolismo alla francese di Mallarmé, Rimbaud, Huysmans, e russi (Gorkji, Dostoevskji), dentro le istanze concettuali filosofiche di Schopenauer e Nietzsche, che lo portano all’interpretazione culturale di un decadentismo che si rivela di trascinamento storico-politico-culturale del tempo. In ogni modo, D’Annunzio è una delle massime figure della pagina letteraria italiana, un trascinatore fascinoso ed esaltato, un poeta sensuale in Canto novo, un novelliere che interpreta i canoni del verismo (Terra vergine, San Pantaleone, raccolti poi col titolo di Novelle della Pescara) in cui decisamente si allinea al decadentismo di Huysmans e di Wilde (vedi il Ritratto di Dorian Gray) come si mostra nei suoi romanzi Il piacere, L’innocente pervasi entrambi da una morbosa sensualità; Il trionfo della morte e Le vergini delle rocce, una reinterpretazione poetica grossolanamente comparativa del superuomo nietzschiano. Tutte opere che gravitano intorno al concetto della volontà di potenza di questo modello interpretativo. Un acceso nazionalismo sta invece alla base delle Odi navali, in cui si avverte il crescente interesse per la vita politica attiva del momento. Deputato in Parlamento, D’Annunzio si schiera con la maggioranza parlamentare per poi unirsi all’estrema sinistra nell’ostruzionismo contro Pelloux. La relazione con l’attrice Eleonora Duse gli apre un periodo di attività artistica fra le più sfolgoranti, soprattutto in teatro: La città morta, Gioconda, Francesca da Rimini, La figlia di Jorio, La fiaccola sotto il moggio, Fedra, Più che l’amore. Si dà al lusso più sfrenato e alla condotta più sensual-libertaria, dissipando i proventi delle sue opere, oltre che il patrimonio di famiglia che era fra le più agiate. In breve è costretto a lasciare la residenza lussuosa de “La Capponcina” per sottrarsi al tormento e alla furia dei creditori, prima sede Marina di Pisa, poi Parigi e Arcachon, dove compone altre opere teatrali tra cui: Il martirio di San Sebastiano musicato dallo stesso Debussy. L’aspetto strutturale e direi quasi primario del suo carattere è quello di aver considerato la parola rivelatrice essa stessa di storia e di lussuriosa interpretazione dei sensi: una parola goduta, prima di ogni altra cosa, dalla libido furiosa della passione e dei sensi, nella loro più vera accezione di verismo e solo in un secondo tempo demandata al tono goliardico-patriottico propulsore di idee per gli stimoli intellettuali che la dominano. In tal modo, D’Annunzio è recettivo ad accogliere le più ardite spericolatezze del linguaggio e delle esperienze culturali europee. D’Annunzio passa attraverso varie correnti di pensiero: dal naturalismo alla Zola, ai veristi, parnassiani, simbolisti ecc. Sembrò di tutti avvertire il soffio. Perciò, appare come l’ultimo anello di congiunzione di una catena di sopravvissuti che devono traghettare dal crepuscolarismo al revisionismo logico della nuova cultura, lavittoria mutilata che ne accentua il nazionalismo con ampi e godibili spazi verso una tendenza tutta sua di libertarismo in chiave moderna. Con D’Annunzio la letteratura sembra aprirsi a nuovi orizzonti ed a ipotesi di rinnovamento intellettuale e artistico che, tuttavia, non pervengono a modificare assetti e tradizioni, né a pervenire ad esiti strutturalmente definiti. Il mondo dannunziano si muove su un terreno di ricerche personali e va tutto in direzione di un naturalismo panteistico con ampi squarci di decadente materialismo positivistico di fine secolo (Darwin). Come si sa egli si oppone ad un idealismo contrapponendovi il suo tipico individualismo esasperato, esaltando l’io individuale col retaggio storico di un processo nazional-patriottico, ma anche mitico, proprio di quel mito teatralmente acceso e vivido delle sue rappresentazioni. Si possono distinguere tre momenti: quello più sensuale sullo sfondo di una Roma barocca in cui canta la natura con istinto baldanzoso e selvaggio, esaltazione di sé nel primitivo rapporto di storia-ragione che riproduce il modello del verismo, ricordiamo la sua loquace penna nel descrivere il processo virtuale dell’uomo ‘novo’. Le sue prime opere ne sono l’esempio. Passò poi ad un naturalismo ispirato da sentimenti morali ed eroici, esaltando il superuomo, studiando le posizioni teoretiche nietzschiane. Quivi aveva trovato una giustificazione aderente all’esaltazione del suo individualismo: unica verità è l’istinto. Cristianesimo e civiltà moderna sono ben lungi dal rappresentare la realtà del momento così votata al crepuscolo nel rapportarsi al conflitto da sempre esistente tra lo spirito e la materia. In un primo momento, questa posizione di pensiero lo porta a formulare modelli di vita improntati al concetto del superuomo. Poi, ripiega sulla posizione fuori da ogni convenzione sociale che lo porta ad esaltare se stesso. Terzo momento, nel quale D’Annunzio coglie più serenamente il profondo dissidio e celebra la passione con la forza rigeneratrice dei sensi: vivere con forza e con estremo piacere, (credo sia stato il suo vero ideale), assecondando gli impulsi istintuali. Alcyone è l’opera in cui torna ad essere cantore puro, dimentico degli eroi e dei doveri patriottici. L’opera è un ritorno alla natura, alle cose viste con l’occhio sensual-fantastico, vi sono visioni solari e marine, si chiude con un commiato del poeta rivolto al Pascoli che dimorava nella vicina Castelvecchio. In Alcyone si trovano alcune tra le più belle e mirabili liriche di D’Annunzio: la sera fiesolana, la pioggia nel pineto, meriggio, etc. Il poeta vi domina nel suo più vasto repertorio naturalistico a sfondo paesaggistico, rappresentativo di una ineludibile bellezza della poesia. Siamo alla celebrazione di una visione più modernamente panteistico-individuale che esalta la natura nella quale si riesce a cogliere l’esortazione agli uomini a ritornare ad una vita più semplice, nel verginale istinto e afflato del creato, una ragione naturalistica domina un tema paesistico di grande effetto. Un panismo ripreso dai motivi ispiratori che realizzano un’atmosfera sensuale in cui D’Annunzio pienamente si riconosce: la terrestrità, le marine, le modulazioni di un canto incarnato nel mito della terra, quale intuizione di un mondo più semplice che prende il sopravvento su fattori speculativi generazionali di un’apertura al moderno tecnologico. Il sentimento panico avverte di una sua elementare esigenza di natura che rispetti le grandi leggi del mondo, quasi un respiro-cosmico sensuale per chi era abituato a repertori più apertamente celebrativi dell’uomo-protagonista. Gli ultimi anni della sua vita li trascorre in uno sradicamento di sé e dalla realtà circostante, prigioniero ormai del proprio modello estetico, che in tono rievocativo continua a produrre in successione quasi autobiografica di recitazione: Il venturiero senza ventura, Il compagno dagli occhi senza cigli. Completamente in ritiro dalla mondanità, nella sontuosa villa sul Garda il “Vittoriale degli italiani” si eclissa dalle fastose passioni del mondo, rifugiandosi in un agnosticismo religioso che nel selezionare i suoi sentimenti lo rende estraneo al processo dei dibattiti, trasformandolo poi nel monumento-museo di se stesso. Muore nel 1938.
Id: 495 Data: 23/02/2012 13:16:32
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- Politica
Il defoult è divenuto pane quotidiano
GRAVISSIMO RISCHIO DI RECESSIONE E DEFAULT
I MERCATI INTERNAZIONALI MOSTRANO DIFFIDENZA E MANCATA CREDIBILITA' ALLA ZONA-EURO
di Ninnj Di Stefano Busà Un termometro impazzito appare il "differenziale" tra Bpt e Bund. Il fenomeno segnala una febbre da cavallo; ha un parametro troppo decentrato e appare in sofferenza per la difficile congiuntura economica. La situazione è a rischio. Una crisi che investe ormai vari stati, ma che per L'italia dà segnali di grande affanno e mostra tutti i rischi di una politica latitante che non ha apportato modifiche strutturali nel corso dei vari decenni e soprattutto dopo la -globalizzazione" che ha apportato sconvolgimenti e derive in campo finanziario ed economico. Gravata da un debito pubblico vertiginoso, vede ora venire al pettine anni di negligenza e di abbandono, di immoralità e disincanto. Si presenta in tutta la sua gravità storica, intellettuale, culturale, economica e sociale. E' acclarato come un debito enorme psssa influenzare la credibilità e la stabilità di questo momento storico. Lo "spread" (parola divenuta di uso comune) si è attestato ormai da mesi a punte altissime da capogiro, toccando il massimo in molte aperture di Borsa. I titoli di stato sono in balìa di veri e acutissimi "speculatori". La loro appetibilità vorace, il disavanzo e quant'altro rispecchiano la situazione economica attuale, soprattutto per determinati paesi, oggi sotto tiro, quali quelli dell'area europea e viene percepito dai mercati internazionali come la zona-euro. Il fatto che i titoli italiani raggiungano uno -spread- sempre più elevato rispetto al differenziale tedesco indica il rischio. Quest'ultimo indice va di pari passo col rischio-paese: maggiore risulterà il differenziale per l'italia, più grave sarà il pericolo di recessione e di default.
Id: 494 Data: 22/02/2012 15:26:31
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- Letteratura
Il disincanto di Cesare Pavese
IL DISINCANTO DI CESARE PAVESE: tra il vivere e il morire
a cura di Ninnj Di Stefano Busà
Riecheggia come un urlo, da una sottile realtà, quale si era venuta a creare nell'adombrata esistenza di Pavese, la frase del suo romanzo, inquietante, per certi versi, per chi, come gli addetti ai lavori, ricostruiscono la sua storia. Sono queste le parole conclusive del secondo capitolo del suo ultimo romanzo La luna e i falò che portano alla luce i dettagli del suo percorso, per giungere alla destinazione di tutta la sua disperante ricerca. Riteniamo che la frase breve e concisa volesse significare un punto fermo di tutta la sua sensibilità letteraria e umana. La luna e i falò, che porta alla luce tutto il percorso segreto e lo sviluppo della sua metamorfosi caratteriale, è un libro di grande rilevanza, dà una chiave di svolta del suo pensiero e del suo tormento. Si è detto tanto di questo scrittore schivo, appartato, quasi "border line" per una sua puntigliosa e solitaria collocazione all'interno di una propensione a vedere nel suo sottofondo contadino, nel suo proprio paese, le radici più profonde e attendibili che, al contrario, può intravedere il cittadino del mondo. Ma non sempre la sua visuale si chiude in un ristretto angolo collinare, vi sono punti alti negli entroterra langaroli, che superano le visuali di un mondo chiuso e circoscritto per reggersi chiari e lucidi sulla scena del mondo. Vi è ad esempio la sua determinazione a credere che l'ipocrisia dei perdenti è troppo facile preda dell'inganno, lo dimostra l'atto di coraggio nel voler prendere atto delle sue paure, delle sue responsabilità, dei suoi limiti: la virtù dei poeti e degli intellettuali è proprio quella di saper andare oltre gli steccati che ne circoscrivono perimetri e latitudini: andare... e volare con la fantasia dove osano le aquile, al di là, molto al di là, delle sfere sensibili del reale sensoriale, verso dimensioni più infinite. Ogni grande poeta sa che può scandagliare il percepibile, tentando fra nebbie fittissime di diradare ombre, circoscrivere confini, isolare bizzarrie, stravaganze o proteggere schermature, mimetizzarsi, nascondersi o travestirsi, atti che non sono affini alla personalità del Pavese, che manifesta il proprio struggimento e gli assilli attraverso i sottili filamenti emotivo-sentimentali che ne coinvolgeranno stati d'animo e attese, lacerazioni e contraddizioni. Ma niente è più impenetrabile della struttura psicologica dell'essere umano. Per Pavese il "ritorno" rappresentava quell'ipotetico doversi riattare alle scollature subite, alle lontananze, agli esili, erano determinanti per lui le simbiosi morali e spirituali col suo mondo agreste, con le radici e le viscere della madre terra, con gli affetti domestici. Vi sono sempre in ogni modo soluzioni senza continuità che lasciano il segno: gli schianti, i naufragi, le connessioni vere o presunte, con le ferite interne dell'animo, difficilmente, si riducono nel tempo, persistono e si fanno stratificazioni più estese, difficilmente rimovibili, cattedrali all'interno di una costruzione apparentemente granitica. Questa condizione la dice lunga sui disagi che hanno caratterizzato e reso il vuoto attorno a uomini ritenuti forti moralmente e intellettualmente. Pavese avvertì la frattura inevitabile dei suoi soggiorni forzati, delle sue carenze affettivo/ambientali che, nel preciso momento storico, si paravano come "vuoto esistenziale"; ne prende pienamente atto la sua coscienza, ne percepisce l'esclusione dal porto sicuro, della radice terragna da cui non sa privarsi. Ma si può aggiungere che fattori apparentemente transitori, che non furono i soli a disadattare il meccanismo del suo disagio, vengono ad aggiungersi a questo suo dramma interno all'anima, che non conosce sosta, nidifica e si fa accumulatore dirompente. La sua naturale scontrosità, l'incapacità dì riprendere i fili interrotti, la deludente, quanto impellente esigenza di un nido proprio, di una famiglia, di un figlio, certezze quasi assolutistiche radicate nella vita affranta di un uomo illustre quale Pavese, pre parato intellettualmente, ma perciò abbondantemente più espo sto al rischio della delusione, vengono mutuando in lui la temi bile morsa della deriva, avendo maturato nel tempo quella introversione, quell'incapacità a rivelare sentimenti e pudori. Pavese ebbe storie con divèise donne, se ne avvertono presenze nei suoi scritti, se ne intuiscono i drammi segreti negli ultimi anni che videro l'americana Constance al suo fianco. Ma va detto, a scanso di equivoci, che il suo travaglio interiore permanente, disagevole, non venne mai pienamente risolto. Sul dissidio psicosomatico della sua sensibilizzazione sono stati spesi fiumi d'inchiostro; s'innescano dal lato emotivo/psicologico varie interpretazioni, interferenze, connessioni che fanno riflettere e inibiscono il valore stesso della sua scelta che, motivata o non, rappresenta la definitiva svolta della sua ineludibile pena, la valutazione e visione dell'esistente e di tutto il suo investimento e turbamento d'uomo. Il suo mondo, la sua interiorità sono perennemente dominati da carenze di energia, si parano asfittici agli assalti delle raggranellate certezze, gli apparati della combattività e dell'azione sono friabili, inconsistenti; captano gli strati sotterranei di una palude impietosa che lo stritola.. lo emargina. Del suo mondo interno porta alla luce le complicanze che lo alterano. Perciò Pavese risente dell'allontanamento dal nido; i falò, le notti di luna lo incalzano, la sicurezza quasi ancestrale del luogo d'origine è materia del suo canto, ma non riesce a sedare appieno i suoi avvilimenti, i suoi dispositivi di sicurezza sono allertati al massimo grado: il più forte e il più difficile nodo da superare è proprio questo disadattamento caratteriale al nuovo che si è venuto a creare del suo habitat personalissimo, del suo entroterra e del suo universo fantastico, dominato dalle consuetudini che si sfaldano e si depauperano, a seguito delle situazioni postbelliche. Il ritorno è per lui un anelito vitale, un riappropriarsi dell'identità che forse sente vacillare, per ricostruire quel clima, quel dialogo di rapporti umani, dai quali non può transigere. Ma il recupero del tempo perduto ha sempre rappresentato nella vicenda umana una ricostruzione solo frammentaria e frammentata del destino di ognuno: il senso di frustrazione, l'incompiutezza, l'inadattabilità, pesano sull'animo come un macigno, poiché spesso non si riesce a riconnettere tutti i frammenti di una ventura dolorosa, di un distacco, di un addio. Pavese, siamo convinti, che abbia tentato di armonizzare i due momenti, forse estrapolando dai mali della guerra la lusinga più promettente di un reintegro, di un recupero probabili. La frattura, la perturbazione dello spaesamento crediamo ne abbiano provocato, però, una lacerazione, una ferita a livello inconscio. Perciò, pure se tenterà una saldatura fra i due momenti, guerra e momentaneo esilio restano fuochi incrociati, squilibri nella sua psiche, grandemente preparata intellettualmente, ma non concreta, non pratica, inconciliabile con la realtà del momento storico. Si accorge che tutto è cambiato e ne soffre, i rapporti umani sono differenti: ritrova l'interlocutore Nuto, ma lo sente distante, lontano. La guerra gli ha stravolto il suo mondo in maniera irreversibile? A questo punto sente di aver perduto la sua identità. Metafora dì ogni sua incoercibile sensazione dì sconforto resta il simbolo terragno, il langarolo d.o.c. disorganicamente tenta di rioccupare gli spazi perduti, di riannodare distanze, amicizie: gli era stato conferito il Premio Strega, la massima onorificenza letteraria per uno scrittore in Italia. Non gli permise di salvare il differenziale intellettuale dalla sua sfera privata. Frastornante e smarrito permane il suo rituale scrittorio, il suo discrimine sembra divenire sempre più particolareggiato e ingombrante, il suo (re)inserimento nel tessuto intimo lascia molte abrasioni, escoriazioni; l'americana lo abbandona, l'attraversamento oceanico un sogno tramontato definitivamente, le sue colline irriconoscibili, il mondo agreste inesistente, negletto dalle necessità del campare e dal fabbisogno stento della campagna. I falò non sono più le fiaccole delle feste paesane, fatte di risa e allegria, sono roghi sui quali s'immolano alcuni suoi amici, Santina per esempio e la madre, altri che la guerra ha distrutto. L'ultimo anello che rappresenta il congiungimento col passato, in lui deve essersi spezzato in modo definitivo: si sente impotente e inadatto, il disagio è notevole, il bilancio è pesante. Muoiono gli ideali, s'infrangono sentimenti e passioni contro il muro dell'indifferenza in uno scempio di rovine causato dall'evento bellico, dallo sfacelo socio/economico che neppure l'armistizio riesce a placare, fuoriescono i fantasmi che domineranno la sua scena finale. Lesilio, le privazioni, gli stenti, i lutti, hanno certamente avuto il sopravvento sullo spirito provato da emarginazioni e silenzi. Il tema ricorrente di tutta la sua produzione letteraria è inteso a rimuovere i fendenti del suo quotidiano patire, il male nascosto è indicativo di un azzardo che lo estromette sempre più dalla compromissione di coscienza, sembra interrompersi la ricognizione minuziosa delle ragioni plausibili, non distilla le forse residuali ed è la fine. La volontà cede, il filo conduttore sembra riallacciare solo in qualche sporadica emozione il ricongiungimento al passato: il resto è rovina, miseria spirituale, dramma che conduce ad una distorsione senza pari, ad uno smembramento di valori, ad una solitudine indicibile. In ogni suo romanzo c'è il riferimento a un "ritorno", un ripristino di dialogo, un aggancio a quei valori, a quei significati dei quali Pavese manifestava l'assenza e la sofferenza. Ma auspicare un "ritorno"nel grembo delle proprie radici, non vuol dire ottenerlo. Pavese tenta di ricompattarsi con le sue Langhe, i suoi amici, la casa natia, il suo perimetro diventa sempre più destabilizzante e ambiguo, sfumato e inconsistente, gli appare ostile. Pariteticamente anche il successo ottenuto allo Strega gli diventa accessorio, secondario. Ia riserva di tutte le sue energie è calata, anche "Lavorare stanca" risente le mutate condizioni, lo rivelano sottotono, smarrito, deluso, incapace di riequilibrare le assenze, le esigenze del suo ritmo vitale, il recupero memoriale, la visione oggettuale delle situazioni diviene insostenibile. Il suo dramma si compie in una solitaria stanza d'albergo, nel centro di una Torino operosa e piena di gente, ma si è già delineato ab origine, nella sua frequente inquietudine, nella sua umiliante inadattabilità al "nuovo" dal quale si sente poco attratto, incapace di assolvere contraddizioni. In un clima di miserie morali e di rimpianto si crogiola e esaurisce il trauma visibile e invisibile della sua personalità, forse fragile, forse frustrata. forse solo svilita dai condizionamenti della guerra. La componente emotiva ha il suo peso: corrisponde alla nega zione e alla ripugnanza per un'inerzia caratteriale, ma può anche rappresentare ai suoi occhi una forza aggiuntiva, un non volere andare oltre la soglia possibile della sua tormentata esistenza. Del resto il vuoto più incolmabile non è la morte fisica, ma e la sensazione di essere deritro un vuoto a perdere, trascinati da una frana devastante e non saper dare un senso al vuoto. Le nostre paure non ci confortano, testimoniano che i nostri limiti sono in balia di forze oscure, le nostre lacerazioni orribili, le nostre fratture insanabili. Il male dell'anima uccide più di frequente di quello del corpo. Il sipario spesso si chiude attraverso un reticolo che apparentemente ci giustifica, ma non ci riscatta. Fa riflettere il senso del pudore che s'istaura fra realtà e sogno, il letale morso della rassegnazione che s'inserisce fra il fatalismo subordinato e la seducente bellezza del cedimento, o quel garbuglio delirante d'inautentico, d'intangibile che si erge a rinunciatario di sé, fra l'inconscio e il rifiuto metampsicotico che s'istaura fra il soggetto e l'oggetto. Dentro il crollo della realtà privatissima di Pavese, rintracciamo il "male di vivere", più oscuro e tenebroso, gli aculei di un vissuto tormentato, pene ancestrali, mascherate pudicamente da una fede inesistente, quanto meno tiepida e scialbata, vagolante o assente, certezze non gratificanti di un sentire a misura di un laicismo o di un agnosticismo conformato allo stato di ateo che non vuole sbendarsi gli occhi, designare e forgiare la luce dell'oltre, dell'infinito, o dell'Essenza Divina. Questo e molto di più c'è dietro quel perentorio "sono tornato" del suo immaginario fantastico: un modus d'essere che flirta con la vita, ma non va in sposa con la morte, non può accontentarsi di una fiammata e scappare, deve consegnare il fianco piano piano, farsi credito con lusinghe e promesse, fremere di rabbia e d'impotenza per le occasioni mancate, infine lo schianto! Un fiero, forse più che dignitoso schianto, preferibile allo sfinimento e all'insensato, illogico paraocchi della pietà per se stessi, quale peggior sfilacciamento della dignità umana. Gli incastri percettivi fra la misura esatta del cambiamento e la cronistoria pavesiana avrebbero potuto salvaguardare il suo utopico mondo antico, ancorato alle colline Langarole, dove l'olezzo delle erbe la fa da padrone, e il vento scuote le cime d'inverno, dove il senso del paese e della radice è sacro. Ma qui alligna la forzatura, (per così dire), in un elemento forte e determinato avrebbe potuto drizzare la barra verso la salvezza: in poche parole avrebbe potuto certamente optare per la vita, ma la sua scelta è determinata dalle difficoltà di percezioni, dai condizionamenti e dalle differenziazioni emotive, che non sanno trovare incastri, alibi, giustificazioni o coinvolgimenti. Non approfondisce Pavese il problema del -dopo la vita-. In un gioco d'ombre che trastulla la sua sofferenza, egli si lascia inghiottire dalla solitudine, lo smarrimento alligna fra le crepe, sono totali per lui le frane di una generazione che si dibatte fra il bisogno materiale e il discrimine; la diserzione onirica ha il sopravvento in un clima di grande impatto teologico/morale, in assenza di una vera, profonda fede, tenta di eludere quell'interrogativo con un piccolo biglietto vergato all'ultimo momento e lasciato in bella vista: "Non fate troppi pettegolezzi" .. calligrafia piccola, scomposta, irregolare, forse gettata lì, in un attimo prima dell'atto definitivo a indicare un bisogno estremo di allacciarsi a qualche lembo della stirpe umana ossequioso di silenzi, a qualche vaghezza. Era già fuori dalla tragedia, volava alto nell'iperuranio, alla luce del sole, dove aveva sperato forse per tutta la vita di approdare in una visione più metafisica. In C. Pavese vi è stata un'assenza ontologico/fideistica che avrebbe costituito l'aspetto più rilevante di quella religiosità che può sopperire alle ipotesi del post-mortem,all'agnosticismo, alle strutture distorte del mondo. La fede rilevatasi scarsa, parziale o assente è nella morale filosofica del Pavese un polo negativo che non gli farà superare l'incompiutezza soggettiva dell'essere, non lo farà approdare a un Fine Ultimo, che ne trascenda la materialità del tutto, riscattando la finitudine mortale, in una spinta catartica che avrebbe potuto salvarlo in extremis. La spinta salvifica non fu attuata né sublimata da un fuoco che fu improbabile attizzare. La materia restò in Lui inerte, la volontà vulnerabile, irrecuperabile alla vita: formulò una scelta e crediamo si sia astenuto dal modificarne il passo successivo, che la sua discrezione di uomo gli aveva imposto. Il risucchio fu d'obbligo, lo rivelò al dispoglio fisico di tutte le sue risorse, in un'antinomia di fragilità o di forza, non sappiamo. È una domanda che assilla sempre: la morte, salva la vita o è il contrario? La trasgressione potrebbe essere: accettarsi nella perdita di coscienza, indebitamente lasciarsi vivere: Negarsi definitivamente la vita comporta disavanzi meno ingannevoli, forse, inoppugnabile resta il tentativo di dare un obiettivo transeunte. Ma da un luogo all'altro la negazione fisica terrena resta a ricordarci gli assilli vessatori, la fragilità, il caos. La vita non fa sconti, lucra sulle diffidenze, sorveglia le inquietudini, presentando un conto salatissimo. Quando la ragione profonda risiede nella psiche i motivi della rinascita e della continuità possono apparire labili, sbiaditi, inadatti. Fatta salva la vita, è l'anima a dover soccombere?o a volte, viceversa, andando a centrare il disincanto tra il vivere e il morire in modo irreversibile.
Id: 493 Data: 22/02/2012 08:41:44
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- Esperienze di vita
il degrado antropologico
IL DEGRADO ANTROPOLOGICO AL QUALE ASSISTIAMO NON DEVE CONVERGERE NECESSARIAMENTE SU UN SOLO SOGGETTO di Ninnj Di Stefano Busà Per non essere tacciati di "ridicolaggine", cadiamo nella correità di una istituzione giuridica del diritto, che contrasta la libertà e calpesta i principi di eguaglianza e di giustizia. Ci colpevolizziamo in massa, per dimostrare che un solo individuo è degno di essere messo alla gogna e al ludibrio dall'intera comunità per il solo fatto di aver rotto gli equilibri, etico/sessuali della specie. Ma il sesso, non dimentichiamolo, non ha morale, è fatto come unione carnale tra esseri umani uomo-donna, che amano la spregiudicatezza e spesso anche la trasgressione. Se solo riflettiamo un po', ci accorgiamo che è sotto gli occhi di tutti il mastodontico sospetto che ad essere "l'Orco per eccellenza" e il "male assoluto" non può essere un solo uomo. Me davvero si pensa che mandando a casa Berlusconi tutto viene purificato, nobilitato, reso immune da peccato? -la catarsi- avverrà. Ma, davvero, siamo giunti a questi livelli della sfera emotiva e della logica? Un solo uomo, non può aver generato lo sfacelo morale di cui lo accusano i benpensanti. un solo uomo non è il guasto della collettività, della società che ha raggiunto il livello di guardia e sfondato il parapetto della decenza per aver ospitato feste, magari un tantino hard in casa sua. La verità è che si vuole strumentalizzare questo stato emotivo, si vuole cavalcare l'onda lunga come i "surfisti" più spericolati, per stabilire un prima e un dopo ineludibili entrambi e inconciliabili con la visione del mondo. Si vuole e si sta attuando un procedimento a suo carico che ha tutta l'aria di una caccia alle streghe, allora, perché non metterlo sul rogo? perché non lapidarlo, non evirarlo? Ma siamo diventati tutti matti? Il furore dà alla testa...fino a far perdere la ragione? Vi sono livelli di raziocinio che non si possono divaricare e oltrepassare fino a tal punto da ottenebrare la mente. Anche i sassi comprendono che è una speculazione "moralistica" orchestrata ad arte per mettere "al tappeto" il maschilismo di turno. Dàgli addosso all'untore..Siamo tutti da psicanalizzare? il caso "Berlusconi" è divenuto una vera ossessione. Qui, non siamo più a giudicare i fatti, ma gli antefatti, le remore morali, le travagliate e intricate forme della psiche umana quando è tra le lenzuola. Fare 4 processi in 1 solo mese allo stesso "soggetto" vorrà dire pure qualcosa. Cioé, salta agli occhi di tutti che abbiamo perso la lucidità, il buon senso, perfino la logica comune dell'equilibrio più elementare. Il cambiamento antropologico della specie ha avuto in quest'ultimo decennio una tale accelerazione da far attribuire ogni colpa ad un solo uomo? Sembra che solo Berlusconi abbia contagiato l'intera società, abbia inquinato le menti e l'anima di giovani pulzelle, da farle divenire dissolute, prostitute. La vera ragione sta a monte. Si vuole colpire l'uomo dei soldi facili, il miliardarrio, si vuole mandare a casa un Presidente scomodo, che oltre a piacere alle donne, sta al potere da anni; si vuole addossare la colpa della trasformazione antropomorfica di una società che ha raggiunto il culmine del suo libertinaggio, l'apice della sua corruzione (detta erroneamente morale), perché non è questa la morale, facendoli passare tutti per reati non per peccati: reati di stupro, libertarismo sfrenato, corruzione minorile, inquinamento sociale, fanatismo, eccesso di sesso, di potere, arroganza, spocchia e abuso di ruolo, autoritarismo dissoluto, libertinaggio, depravazione sulla testa di un solo uomo, (capro espiatorio). Ed è tale la furia di spodestarlo che non si capisce più dove è il limite, dove il concetto di giustizia, dove finisce la realtà e dove diventi invece affannosa smania di colpirlo e demolirlo. Si lotta all'impazzata, si smuove l'intera umanità, si sguinzagliano forze, mezzi, uomini che diversamente utilizzati potrebbero dare giovamento in altre sedi, per altre problematiche. Si mobilitano energie e si finanziano strumenti (tanti) per colpirlo, come fosse un cane rabbioso, un orco pronto a divorare "le verginelle". Ma davvero queste "minorenni" sono verginelle? o sono iene pronte ad azzannare, a vendersi al miglior offerente, qualcuno a buon diritto, le ha chiamate <lupe>. Il fatto poi che mettano come slogan <SE NON ORA, QUANDO> deve far riflettere molto. E' come dire: vedete, visto che abbiamo la possibilità di colpire attraverso fatti del tutto inusuali e inconcludenti il nostro malfattore, dobbiamo insistere, rincarare la dose, battere il ferro finché è caldo, tentare con ogni mezzo (anche illecito) di cacciarlo, di stanarlo (come si fa con le bestie feroci) prima che l'ondata di sdegno passi e gli italiani lo votino ancora... Arriviamo al paradosso, la strumentalizzazione è tale che far perdere di vista anche l'atteggiamento di tolleranza per il quale siamo ampiamente riconosciuti all'estero. Oggi, con 4 cause a giudizio per un solo uomo, abbiamo davvero superato ogni concetto di garantismo. A rischio è non solo la democrazia, ma davvero, anche la morale, il concetto della giustizia e del diritto, soprattutto la libertà individuale del soggetto-uomo in quanto tale. Ognuno di noi si guardi come può da una condizione di servilismo e di partigianeria che ci travolgerà tutti: vittime ed eventuali carnefici, verginelle e corruttori, lupi e agnelli, peccatori e casti, moralisti e impenitenti stupratori. La posta in gioco è troppo alta per proporla e propinarla ai gonzi di turno, senza essere attraversati dalla più profonda inquietudine ed esserne feriti nel più profondo della coscienza e dell'intelligenza.
Id: 492 Data: 21/02/2012 10:44:19
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- Antropologia
Il privilegio di essere donna
IL PRIVILEGIO/DANNAZIONE DI ESSERE DONNA di Ninnj D Stefano Busà Viviamo in un momento storico, in una società, quelli di oggi, che hanno sostituito la morale alle regole di mercato, la discrezione, l'educazione, l'amore, il riserbo, la correttezza, la deontologia, la giustizia, il decoro, la modestia etc a modelli di vita che nulla hanno da invidiare ad una società in pieno declino. Niente è più vero e dettato da leggi naturali. La specie umana si è disumanizzata, sta inseguendo schemi esistenziali di profondissima metamorfosi, che sono stati per secoli il segnale di una società fondata sulla logica dell'intelligenza e del buon gusto. Il costume, in questi ultimi trent'anni si è andato via via logorando, fino a giungere a livelli di guardia inquietanti, per le derive morali e le contraddizioni che ne conseguono. Una forte accelerazione l'ha data la rivoluzione industriale del secolo scorso, ma via via il tecnicismo e l'imperativo categorico del superuomo nientschiano a cui tutto è concesso, tutto è a portata di mano del suo più esasperante progressismo inurbano. Si è andato ingigantendo il male di vivere, fino al punto da soppiantare la morale e l'etica comuni, fino a far sparire il buon gusto, a demolire logica e costumi, a sacrificare la forma ai contenuti. La civiltà degli ultimi dieci anni ha proposto modelli malavitosi, di degrado morale e spirituale dei più dissoluti e, di certo, dei più nobilitati dal punto di vista delle aggressioni al "babbeo" di turno...Chi non è furbo (si pensa) è messo fuori gioco, chi non è scaltro, meschino, maleduxato rischia di rimanere indietro, forse messo ai margini e deriso in una società dei consumi del < tutto e subito>. I sistemi mediatici hanno compromesso e inquinato a tal punto, l'opinione pubblica da far passare l'idea che, chi non si adegua ai nuovi modelli, ne viene tagliato fuori. Così, ragazze avvenenti: veline, meteorine, passaparoline e ine di ogni genere sono passate alla riscossa. Dopo il fenomeno della parità tra i due sessi e la rivoluzione femminile che ha trasformato le donne prima in femministe sfegatate, poi in donne-virago che hanno in mano il pallino e possono farlo girare a loro piacimento, il sistema è degenerato a tal punto da giungere alla paralisi, al punto massimo della sregolatezza e dell'amoralità più basse e meschine. L'analisi introspettiva dentro al fenomeno abbraccia diverse angolazioni e non può essere definita in poche righe di commento, facilmente intuibile da una constatazione di fatto. Il potere delle donne si è fortemente consolidato...Altro che donne-vittime, altro che donne-oggetto, donne manipolate da uomini turpi...Niente di tutto questo! Attenzione, oggi le donne detengono il potere del loro corpo, ed hanno prerogative imperanti e di dominio sugli uomini. Con questo intendo dire che sono loro a gestire il sesso, loro a decidere se e quando mostrarsi "nude" e con CHI, (intendo con questo darsi, ma non a basso costo, che anzi la posta in gioco è sempre più alta... Sono le donne di oggi ad avere capito la debolezza degli uomini e a gestirla nella maniera più opportunistica e selvaggia. Non possiamo poi lamentarci se il genere femminile viene collocato in modo brutale nella categoria più squallida che vi sia. Degradante lo è, infatti, vedere fanciulle bellocce tramutarsi in scaltrissime manager del loro corpo. Oggi la carne non si vende solo dal macellaio, vi è carne fresca, che si pone allo sbaraglio per denaro. Se cinquant'anni fa il mestiere più vecchio del mondo si faceva per sopravvivere, per portare a casa il gruzzolo che consentisse l'agiatezza in talune situazioni difficili, oggi ci si vende per conquistarsi il potere, e come potere intendo il potere matriarcale sul genere maschile. E' la rivendicazione dei ruoli. La donna non più sottomessa, esclusa dai privilegi di casta per troppo tempo, esce allo scoperto tentando via traverse per giungere a prerogative di comando. Ed è -esattamente- quello che sta attuando la manomissione invasiva sul dominio maschile, perpetrato per lungo tempo e sempre a discapito del femminile. Non vi sorge il dubbio che sia allora una rivendicazione, una contiguità quasi naturale, pur se perfida e corrotta di quel mestiere ineludibile che ha visto la donna sempre in prima linea a combattere il dominio maschile?
Id: 491 Data: 20/02/2012 16:46:47
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- Letteratura
Quella luce che tocca il mondo
Quella luce che tocca il mondo di Ninnj Di Stefano Busà
Emerico Giachery
Accogliere un nuovo libro come un evento dal quale ricomincia il mondo di un poeta è possibile in un libro come questo, così colmo, intimamente organico, e così se stesso pur nel lungo e celebrato cammino di Ninnj Di Stefano Busà. Giova, comunque, prendere atto di qualche lampo interpretativo degli eminenti maestri che si sono espressi su opere precedenti (Piromalli, Manacorda, Bárberi Squarotti e non pochi altri), e poi andare avanti. Non dimenticare, soprattutto, la densa e scavata Lettera-Prefazione al volume L’arto-fantasma (2005) della stessa poetessa. Il prefatore è uno dei personaggi più apprezzati del secondo Novecento letterario, Giovanni Raboni, poeta militante capace come pochi di capire altri poeti e di parlarne con avveduta penetrazione. Certe sue impressioni e formulazioni sulla poesia di Ninnj Di Stefano restano decisive. Per esempio: “una voce che ha nel suo sfondo il mistero della parola fuori della routine”. Oppure: “la novità di un modernismo non aberrante, non raggelato da spettrale figurativismo né minimalismo che ne denuncino il disabitato conflitto coi significati interiori più spirituali”. O ancora: “un limpido assolo fra i drammi privati e quelli più universali cha fanno il consuntivo di una sperimentazione in limine, di ottimo livello”. Infine, “l’impressione di trovarsi in un clima diverso, quasi di sospensione fra la ragione dello strazio e il suo superamento”. Ricordiamo anche la nota con cui l’autrice spiega il titolo, davvero singolare per un libro di poesia, come L’arto-fantasma: “in campo scientifico-medico quella particolare condizione nella quale, nonostante l’assenza fisica, sembra permanere nell’individuo, al di là dell’atto amputativo, la sensazione di reperibilità immanente, di persistente disagio o turbamento, che indichi l’indivisibilità, quale scaturigine di una sua irrinunziabile adesione all’atto unico e irreperibile dell’esistente”. Spiegazione minuziosa, questa, di una ruvida immagine, e quasi allegoria, della condizione d’assenza, di un’assenza-mutilazione dolente, che è anche, al fondo, nostalgia di totalità. Secondo l’autrice, proprio questa è “la condizione della poesia e della parola nell’attuale società tronca, violentemente amputata, assente, eppure ancora vitale nelle rappresentazioni e nelle sensazioni che riesce ad evocare”. Interessante anche l’annotazione, certo di mano della poetessa, alla coinvolgente riproduzione in copertina di una terracotta di Laura Rossi Ravaioli dal titolo Decostruita: “indica la bidimensionalità dell’anima divisa e moltiplicata dall’assenza”. Musa generatrice anche di Quella luce che tocca il mondo, l’assenza, in Ninnj Di Stefano, “non è desertificazione o estinzione”, precisa Raboni. Nostalgia, semmai, dell’Essere perduto, degli Dei fuggiti o nascosti, delle stagioni consumate, che diventa appello alla necessità della parola, o pausa musicale, o respiro di leggerezza e quiete ritmica. Ha forse qualche affinità col vuoto interiore che il guru meditante consegue perché necessario all’auspicata irruzione del divino. Il proposito è ora incontrare senza ipotesi pregiudiziali il nuovo libro nella sua unicità e singolarità, come se si affrontasse un’opera figurativa adespota da attribuire: è un suggerimento di Gianfranco Contini al quale volentieri mi attengo di fronte ad un nuovo testo ancora inedito o fresco di stampa. Stavolta, tuttavia, era necessaria un’eccezione per il grande motivo dell’assenza, radicata nella poetica stessa dell’autrice e nella sua concezione del mondo: averne già nozione è disporre come di un privilegiato frammento di “avantesto”. Che però – ecco – ci introduce già nel nuovo testo. Che poetica costellazione d’immagini vi ha generato e profuso la nozione-chiave di assenza! Assaporiamone alcune: “vuoto lasciato dalle cose”; “echi senza voce”; “ le cose dileguate | o assenti”: “ scalmi alla deriva, senza approdi”; “la salvezza che non cogli”; “giorni senza incensi, senza mète; “lande disabitate, indizi cancellati”, “un diario | senza pagine, l’ora che non c’è”:“inconsistenze che trattengono silenzi”; “suoni senza vita, giorni che non tornano”; “il senso delle cose perdute”; “l’attimo non torna, proprio non torna”; “guizza dall’anima il lamento | per le cose assenti”; “rose sfatte | ai muri dell’inverno, consunte le parole”; “un dire senza attese”; “momenti di un codice segreto | che contorna la vita che non c’è”; “tu parti e non hai mèta, arrivi e non sai | il nome dei luoghi dell’altrove”. Di notevole interesse l’implicito protendersi dall’assenza verso l’“altrove”: una sorta di etimologico ex-sistere. Forse per tentare voli verso un ipotetico Oltre, la terra “ci fa germoglio d’ali”? . L’impari, e perciò tanto più intrepida, sfida della parola e della scrittura al vuoto dell’assenza è comunque un suggello impresso al libro. Eccolo: “le parole sfilano | e non sanno che sistemarle per poco, | seppure sulla carta, serve a dar loro ancora | un po’ di senso una voce un corpo | che le leghi e perduri oltre l’assenza”. Libro compatto, omogeneo è dunque Quella luce che tocca il mondo. Da recepire e godere come unità. Unità poematica? “Poema lirico-filosofico”, si potrebbe dire con un po’d’enfasi, soltanto se mirasse a divulgare una dottrina e se del poema avesse la struttura, con palesi svolgimenti diacronici. Il suo, invece, è un tempo quasi ciclico. Assomiglia al tempo della meditazione, non al tempo della diegesi. Assomiglia a ricorsi di stagioni: analogia o affinità con le stagioni è del resto partecipe sintonia con la grande natura. Si articola in riprese, ritorni, approfondimenti singoli, pur nel costante clima diffuso. “Variazioni”, si potrebbe dire con allusione musicale (richiami a situazioni musicali sono qui pertinenti e illuminanti). Non su tema unico, come è consuetudine nella musica, bensì su un coerente plesso tematico, che rappresenta, se così è lecito dire, la sua stessa struttura, e la scansione di una fondante concezione del mondo, che corrisponde, mutatis mutandis, a quello che è la tonalità per una composizione musicale. La concezione del mondo non è compendiata né compendiabile in formulazioni (giacché si pone anzitutto come effuso sentimento del mondo). Non proclamata né sbandierata, si accende, e più spesso traspare in controluce, qua e là. Il segno cristiano, accennato appena nella prima poesia del libro (“tu non sai perché questo giorno | è inchiodato al legno della croce”), compare esplicitamente solo in Sarà pane, in una generosa visione escatologica: “Gli angeli laveranno il peccato della croce, | il pianto sarà acqua benedetta, | di Cristo avrà voce la salvezza”. Il sintagma “il cielo sopra di noi” non può non ricordare la celebre formula kantiana: “il cielo sopra di noi | è un dono che non finge”. L’“Esserci” è certa allusione al Dasein di Heidegger: “Dunque è qui l’indistinto, il minimale, l’esser(ci)”. I vocaboli “cose” e “mondo”, ricorrenti almeno una dozzina di volte, ci immettono in aura fenomenologica. Singolare, infine, la ricorrenza del termine “implosione” (una sola volta si trova “esplosione | delle spighe”) e del verbo “implodere”, che acquisiscono qui quasi una patina di “idioletto” e richiamano l’estroso monologo di un Amleto dell’era spaziale nelle Cosmicomiche di Italo Calvino. “Esplodere o implodere – disse Qfwfq – questo è il problema: se sia più nobile intento espandere nello spazio la propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient’altro; trattenere dentro di sé ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo dell’anima i conflitti che l’agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi, cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso”. Patina di “idioletto” ha forse anche il molto usato termine “epifania”, indizio di una modalità intensa, a volte quasi mistica, di incontro con l’oggetto Un esempio: “Tutto è nel suo farsi [= del giorno] breve e senza luce | nel suo porsi come epifania di senso”. La suddetta patina è conferita dalla coloritura vivamente personale a diversi altri lessemi, dilatandone e arricchendone il senso. Per esempio “rammendo”(“pianto che ferisce il suo rammendo”); “miele” (“il miele del tramonto”o “il miele del ricordo”), che sostituisce “dolcezza”, rendendola più concreta e meno sentimentale. Poi “arsura” (non “l’arsura in giro” topica diOssi di seppia), e “brivido”, spesso plurali, entrambi con estesa e forte connotazione esistenziale: nel primo caso tendente a volte a crudezza assetata (“arsure di sensi, volti e nomi”), nel secondo a tensione emotiva, vibrazione: “la parola chiusa nel suo brivido”, “inesplorati brividi”. Si trovano comunque entrambi associati, una volta, in “brividi d’arsura”. Pensiero poetante, dunque? Poesia pensante? Preferibile parlare di concezione del mondo, non sistematica e tuttavia coerente; incarnata, come è proprio del dire poetico, in immagini, in ricorrenze tematiche armonicamente variate e in una felicità ritmica e metrica senza sbavature, commisurata al respiro del contemplare, del meditare e del rammemorare. Raboni suppone, almeno per quanto concerne il libro da lui prefato, “aspetti e suggestioni della poesia meridionale del Novecento”. Nel libro che qui ci si offre, una sola volta è ricordata la Sicilia natia: “la mia terra di zagare e uragani”. “Tratturi” ci trasportano al pastorale Sud abruzzese pugliese molisano: “respiro lento | di fiumi a segnare tratturi”, “il profumo dei tratturi”, “luce sfinita | sui tratturi”. Ricorrenti “chitarre” potrebbero evocare – ma è soltanto una supposizione – l’area della “matrice mediterranea” di cui ha parlato Raboni: “vegliano chitarre nelle aie estive”, in Paese senza tempo (titolo d’alta pregnanza!), che ritorna in L’oracolo, “tortorelle | di un sogno perverso che veglia chitarre | nella aie estive”, e in Quella forza, “Una memoria, un fuoco hanno giorni appesi | alle chitarre dell’infanzia”. Ma il contesto melodico e ritmico, con quegli adagi e larghi, pacati e pausati, e di frequente “aperti” al fluire di magistrali enjembements, ci fa immaginare un orecchio che abbia assimilato la vitale lezione metrica del Quasimodo postbellico, in cui più di un poeta del Sud ha riconosciuto una misura congeniale. In ogni caso il protagonista (talvolta dissimulato) della poesia italiana, l’endecasillabo, qui si affaccia con slancio. A volte si afferma in momenti di incisività gnomica: “ l’inutile distanza delle cose”; “Ci restano le strade consumate”; “ciò che non muta, ciò che non ritorna”; “il nostro è un regno dai confini incerti”. A volte offre propizi avvii (“Ogni giorno è votato al suo silenzio”, “Silenziosamente tutto splende”) o misure di compiutezza: “Tutto poi torna alla sua breve quiete”; “che ricompone giorno dopo giorno”. “D’altro naufragio è l’età che non torna” ha un vago alone ungarettiano. Invece Montale, che ha “salato il sangue” di più d’una generazione ed è, secondo Raboni, tra i maestri capitali di Ninnj Di Dtefano, con l’eco del quasi proverbiale anello che non tiene è presente nel verso: “e il rammendo non tiene. Tutto è stato”, e anche altrove. Del resto, proprio nello stesso testo, dal sintomatico titolo Niente ha nome o voce, è già presente quasi un “ammicco” montaliano: “sabbia che si addipana senza consumarsi”. Montaliano un verbo come “avvena”: “la carne del dolore che l’avvena”. “Fuori piove” sono le ultime parole di Ai transiti del vento come delle memorabili Notizie dall’Amiata. Anche in Ossi di seppia aleggiava, come qui aleggia, una esitante “attesa di salvezza”. Non manca il “varco”, forse non immemore di quello esemplare della Casa dei doganieri: “Questo varco, la sua ipotesi | ti porti dentro”; il mondo è “racchiuso in sé, senza varchi provvisori”. Parecchie – ma non necessariamente montaliane – le “occasioni”, importanti aspetti della condizione temporale: “Le occasioni poi scorrono in un fluire | d’acqua e neve”. Il Tempo: uno degli elementi portanti dell’universo immaginario e semantico di questo libro. La parola “tempo” vi compare non meno di venticinque volte. Altrettante volte vi compare la parola “silenzio”, ma per lo più al plurale: Leopardi, con i suoi “sovrumani silenzi”, ha additato la suggestione poetica di un plurale che aggiunge, si direbbe, un orizzonte di spazialità. Ecco due significativi endecasillabi: “L’eco è breve, già chiama dai silenzi” e “albe chiare ritornano ai silenzi”. Il dinamico“vento” (“vento che muta le sembianze”, “odissea di vento”) compare una dozzina di volte; altrettanto i già ricordati “mondo” (“il mondo è lì”) presente anche nel titolo e “cose” (“la storia cambia il senso delle cose”). “Lento” è aggettivo caro all’autrice (“il lento respiro delle sere”) e suggerisce, in amichevole sinergia con “silenzio”, un “tempo di lettura” riposato e pausato che corrisponde col respiro della scrittura. L’indicazione meramente statistica delle concordanze, già in sé stimolante, è peraltro soltanto un avvio, una prima chiave. Uno dei “piaceri del testo”, che è quello di esplorarne percorsi e sensi per goderne la poliedrica compiutezza, si accresce nel riconoscere le metamorfosi semantiche dei segni, il loro combinarsi, intrecciarsi e corrispondersi per dar vita alla sinfonia del tutto. Un tutto, in questo caso, segnato fortemente dalla luce, forse proteso verso la luce. Di fronte a una diecina, o poco più, di segni dell’“ombra”, (“è troppa l’ombra che ti passa | addosso e ti nega il profilo del sole”), la “luce”, che già signoreggia dalla posizione potente del titolo del libro, ricorre poco meno di quaranta volte in una raccolta di settantaquattro poesie. Evidentemente non si tratta soltanto di una parola-nucleo, ed è più che un tema tra altri temi. La tradizione biblica, e soprattutto neoplatonica e mistica, è così impastata nella cultura europea, nell’anima europea, nel nostro immaginario, che non è facile dissociare la luce dal senso del divino e dell’assoluto. Dal I secolo in poi si forma una metafisica della luce, in cui avrà notevole parte Dionigi Aeropagita, poi il francescano di Oxford Roberto Grossatesta col suo De luce (“la prima forma corporea è secondo me la luce”), contemporaneo del luminismo trionfale del Paradiso dantesco. Poi, l’elemento poetico della luce nella pittura europea, soprattutto da Caravaggio in poi. Poi, per esempio, il “lungo viaggio verso la luce” di poeti come Mario Luzi, più che mai poeta della luce da Per il battesimo dei nostri frammenti al Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. Non sappiamo, del resto, quali orizzonti ci schiuderà la fisica di domani nello studio della luce. In questo libro il segno luminoso ha valenza per lo più positiva: “evoca spore in attesa di luce”, “a tentar luce mai vissuta”, “generiamo luce d’amore”, “l’emergenza di luce”, “epifanie di luce”, “una mezza verità | rivelata dalla luce”, “Al gran clamore il giorno proietta | la sua luce, nelle strade, nei vicoli”, “un’allegria di petali alla luce”. E quando è negata è forse anche nostalgia e sgomento per una pienezza ontologica minacciata o perduta, e perciò è quasi implicitamente riaffermata: “luce che si spegne”, “perdita di luce”, “luce che diventa opaca”, “luce che non brilla”. Per concludere luminosamente la prefazione si può ricorrere a questo verso (ancora un endecasillabo!), che sembra renderci partecipi alla tensione spirituale del libro: “ognuno porta l’onda di una luce”.
Id: 490 Data: 20/02/2012 08:32:08
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- Letteratura
Quella luce che tocca il mondo di N. Di Stefano B.
Quella luce che tocca il mondo" Ed. Bastogi 2011 pref. Emerico Giachery. Ninnj Di Stefano Busà : “Quella luce che tocca il mondo” – Ed. Bastogi 2010 – pagg. 106 - € 12,00 –
a cura di Antonio Spagnuolo
Ninnj Di Stefano Busà è una vera e propria valanga inarrestabile, sempre pronta a nuove immagini ed impreviste illuminazioni, che sostengono il suo “fare poesia” per le molteplici implicazioni della parola e del dettato. Ella propone nuove penetrazioni della realtà quotidiana, questa volta secondo il dettame delle esperienze spirituali o religiose, che riescono a concepire le sensazioni umane, quasi a trovarsi in un clima diverso di sospensione tra la ragione e la immaginazione del divino, costellate dalla formulazione dell’assenza, in controluce con la immanenza della dimensione corporea. “Canterò fino a spezzare le catene/ che mi legano ai fondali,/ fino a frangermi alle rotte/ che mi esiliano all’argilla./ Stagioni senza luce, orde di nuvole/ possiedono la forza dell’orgoglio./ Terra di brezze, la nostra,/ di ali spezzate,/ di alture arrossate da pampini,/ di fuochi che si sperdono/ tra case bianche./ La nudità si mostra come l’aria,/ scandita da minuscoli insetti./ Ti rigeneri ai riflessi di un silenzio/ che ti attraversa l’anima e ti narra/ i pochi istanti di verità./ Il fluttuare lieve dell’ultimo sguardo,/ ti placa e un po’ ti consola.” (pag. 21) . Non meraviglia se l’eterno può diventare un grido, anzi un brandello del grido, che si incunea tra il cielo e la terra per incidere e colorare il trascendente. La coerenza, in questo profilo stilistico, si intravede nelle pagine che sono in grado di captare i minimi sommovimenti provocati dall’attrito tra coscienza e psiche, tra subconscio e testimonianza, nell’originale trapianto di suggestioni ben incentrate nel discorso della poesia moderna, contemporanea, e meticolosamente registrate dalla personale circolarità , sempre diligentemente lontana da chiusure o impedimenti. Antonio Spagnuolo
Id: 489 Data: 19/02/2012 09:41:19
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- Letteratura
Franco Loi a cura di Ninnj Di Stefano Busà
Franco Loi a cura di Ninnj Di Stefano Busà Franco Loi nasce a Genova nel 1930. Ma trasferitosi a Milano apprende quasi interamente la cultura e il dialetto lombardo, tanto da farne la sualingua d’eccellenza, soprattutto, aderisce ad una contaminatio che lo avvicina molto ai dialetti dell’interland e dell’area metropolitana. La Storia privata di Franco Loi è di quella proletaria e contadina. Lo stesso, prima di giungere a livelli alti della Poesia e della Critica Letteratura, ha fatto lavori diversi, adatti alla necessità del sopravvivere, quali il ceramista, l’operaio, il portuale. Lavori umili che gli daranno da vivere in un momento in cui la vita del nostro paese era difficile: intrecciata a flussi migratori che il dopoguerra aveva reso necessari per la sopravvivenza di molte famiglie. In Franco Loi, la voce dell’intelletto pensante e della Poesia hanno avuto il sopravvento, riuscendo a penetrare e a superare con un ampio balzo in avanti la caratterizzazione essenziale del momento storico che era lo «sperimentalismo», proponendosi in maniera molto equilibrata ad un lirismo dalle limpide interpretazioni e dalle linee e dai toni più vicini ad una scrittura personalizzata, che gli hanno valso la notorietà e il giudizio positivi della critica che conta. Egli si può dire appartenga al periodo storico della sperimentazione in auge fra il ‘50 e il ‘60, perché vi rientra come secolarizzazione, come sustrato culturale, come linea di orientamento, ma non gli si attaglia, non ne apprende né comprende le punte acuminate che in quel periodo storico e letterario facevano grandi proseliti. Si può ben dire che riformula la sua letterarietà in una peculiare struttura ricercatamente altra, dal contesto personalizzato, che resterà una sigla specificatamente sua e soltanto sua. La sua dimensione culturale lo fa rientrare in un filone a sé che è soprattutto rielaborazione di un agile e spigliatoidioletto lombardo e dell’interland, che assiste al disagio sociale della classe operaia e dell’ambiente rurale. Una via di mezzo, tra la saggezza popolaresca e la fedeltà alle tradizioni, agli stereotipi di una visione di vita che, anche se obsoleta, sa ancora dare pillole di grande morale, di attaccamento alla famiglia, ai valori della vita, ai mestieri che vanno tramontando, ma sempre ben orientati al patrimonio umano dei grandi sentimenti, intriso a quelle rarefatte ma non decadute usanze del passato. Quella di Franco Loi è una scrittura fatta di tutti questi felici raccordi sullo sfondo di un’ironia bonaria tendente a pulsioni di carattere sociale, «conservativa» dell’oggetto popolare e della storia umanistica dei popoli. Quindi, si può affermare che in un periodo che è di cesura tra il decrescente sperimentalismo non ancora obsoleto, ma che si va stemperando, (immettendosi nel ciclo letterario delle avanguardie), egli si collochi come l’artefice di una poesia che affascina per la diversità, e lo impone autonomamente, senza frange di riferimento, senza matrici di appartenenzasubiect. La sua scrittura ha superato la ventata sperimentalistae si è autereferenziata ad un nuovo modello linguistico popolare e di gran lunga carico di quelle espressioni che costituiscono il disgelo e il superamento delle aree linguistiche e culturali sessantottini, nelle cui spire non è mai rimasto invischiato. Il suo esercizio di scrittura ha inizio con bellissime raccolte che gli riservano i primi approcci con la Critica autorevole di Franco Fortini, che lo incoraggia e lo avvia a pubblicazioni di grande levatura come Strolegh, e poi Angel, Liber, etc. Inizia ad essere vincitore di molti premi di prestigio e ad essere conosciuto come uno dei massimi rappresentanti della Poesia dialettale. Il suo esercizio poetico si conforma ad un modello che parte dalla memoria e giunge finoalla dimensione reale del racconto lirico, in una Milano che versa al sociale il suo contributo umano fatto di mestieri, di sentimenti, di presenze, di massime, di personaggi, di sentenze, di chiuse di saggezza, di gocce di buonsenso del mondo popolare e operaio. Franco Loi trasferisce in poesia come in un palcoscenico, tutte le sfumature, gli idiomi, le parlate, le espressioni di una lingua “impura” (dialetti), ma li scioglie dalla pesantezza e goffaggine locali, ne fa unvirtuale concerto che riposa senza celebrazione, né impaccio in una felice e tenera ispirazione personalistica, ed è in questa particolare visionarietà che si muove, in un primo momento la sua scrittura, fatta di linguismo variegato e di un’onda tecnica dell’espressione che si allinea alla “piece” di teatro. E in tale direzione viene sempre più apprezzato, fino a giungere a opere sempre più mature dal lato stilistico e semantico. L’autore, (ancor più che alla poesia), in un primo tempo, aveva rivolto la sua produzione e il suo interesse al teatro. Una delle sue maggiori opere l’Angel (‘94) ottenne anche un adattamento per le scene, e nella formadialettale si conferma come una delle migliori e più riuscite opere dell’Autore: una via di mezzo, dunque tra una forte e disinvolta spigliatezza lessicale che egli sapientemente trasferisce alla profondità dei sentimenti, alla fedeltà alle anticheusanze sullo sfondo di un’ironia che, sa vedere da fondi scuri di bottiglia, la luce serena che emana dalla saggezza, dalla speranza pura e semplice, come si addice ad un poeta del suo rango. Una lingua idiomatica la sua che si avvale di populismo, senza nulla di folklotistico, frutto di un’immaginazione individuale che va oltre le forme classicheggianti in un suo vitalismo immaginifico che è, sì, carne e sangue popolare, ma anche visione del mondo; vitalistica tragicomica dimensione di una realtà e letterarietà che tiene. Tuttavia, pur trattandosi di un romanzo in versi (quindi prosa poetica), riesce a rappresentare una tale riflessione, una tale carica emotiva/storica/culturale/ambientale da porsi essenzialemente come opera lirica. I suoi più grandi critici come Dante Isella, Franco Fortini e successivamente Maurizio Cucchi, Davide Rondoni lo evidenziano come uno dei maggiori poeti dialettali degli ultimi tempi, uno dei più validi e riconosciuti esponenti di quest’ultimo scorcio di secolo. Franco Loi è in cima alle classifiche con le opere che diverranno punti fermi, autoreferenziali per il seguito della sua produzione. Fra queste opere vanno almeno annoverate: Angel, Strolegh, Teater, Liber etc. Ma, sono tante e numerose le altre opere pubblicate dall’autore che hanno avuto validi riconoscimenti a livello nazionale. La suavoce che risente l’influsso di un’immagine fresca, ironica, semplice e popolare è di grande impatto esi identifica a un rilevante e personalissimo livello artistico e culturale, perché porta in sé l’eco spontanea di una bellezza che si fa voce del mondo, ironia bonaria e non menzognera, non artificiosa, mai arzigogolata né studiata a tavolino, molto votata al sociale, versatile, ironica, variegata, intessuta di tutti quegli umori, sapori, profumi, trame soggettive codificate dalla realtà quotidiana, tra disincanto e fatalità, tra occasione e consuetudine che si piegano a un registro lirico accattivante, intrigante per le innumerevoli interpretazioni e sinergie che interferiscono come intermediazione fra la lingua e i diletti: incroci stilistici capaci di beneficiare il lettore di un espressivismo autoctono che lo distingue. Proprio come è negli umili, egli riesce a leggere all’interno del loro stupore, della dolcezza, della semplicità d’animo di chi sa dire: “Ho una canzone nel cuore e so cantare” oppure: “Non so /.../ cosa sia questa gioia che mi fa piangere”. La sua poesia piace, perché mette il lettore nelle condizioni di capire il mondo semplice e spiccatamente ricco di quell’alone lirico che si addice ai puri, alla gente laboriosa, alla condizione modesta, ma grande, del mondo popolare, che avverte la poesia come un dono dal cielo e la riformula tutti i giorni con il vigore e la forza del mestiere, con il pudore e la riservatezza di una preghiera che è l’energia del mondo, un mondo semplice e schietto, che manifesta in definitiva la forza cosmica più inesauribile ed eterna. Visione del popolo che istruisce antropologicamente il mondo in cui vive.Così come idioletti, modi di dire, epressioni gergali: dure a morire, perché conservate gelosamente nello scrigno animistico dellatradizione degli antenati, dei genitori, dei trapassati, prendono il via e si connettono ad una conservazione lessicale che li mantiene inalterati. Loi li trasferisce e li rimodula all’insegna della sua privatistica ispirazione, riuscendo a mantenerne inalteratala struttura di fondo cantabile che è quella di non perdere o destabilizzare il reale quotidiano che cambia, i tempi e le mode che tendono a cancellarli. Una frase di Franco Loi mi rimane scolpita nel cuore e per me rimane immortale. Da grande poeta quale è, Loi ha dichiarato con semplicità e pudore: “La poesia, in fondo, è il dire ciò che è impossibile”.
Id: 487 Data: 18/02/2012 16:47:20
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- Psicologia
Essere Poeti è faticoso
ESSERE POETI E’ FATICOSO (ovvero porti sulle spalle il peso del mondo)
di Ninnj Di Stefano Busà
“Essere poeti è faticoso...”, diceva il grande poeta Dario Bellezza, e aggiungeva: “ vi è qualcosa di tremendamente masochistico nell’indossare le varie maschere...” E’ vero, lo confermo appieno, perché fare poesia, autogestirla, pubblicarla, porla alla mercé della critica, o tenerla semplicemente in cassetto, sotto chiave, è esattamente la stessa cosa. Il poeta non rincorre il successo, più di quanto non lo incalzi il “fatto poetico” in sé, che è innato, si può definire - un vizio di forma - , oserei dire di “natura” una deformazione in nuce, perché risponde alla chiamata del genio o della scintilla ispirativ,i proprio in funzione di quel contagio d’anima che avviene tra poesia e inconscio, tra questi, due fattori metafisici interviene una massiccia dose di mistero, qualcosa che si può paragonare solo all’inferno, perché tale è il territorio visitato dal poeta, da lì, origina la voce che lo interroga, lo chiama, lo nutre, lo incanta e lo disillude. Egli risponde al proprio dèmon come alla madre che lo chiama. Se mi posso permettere la comparazione, il vero poeta ama la poesia più di se stesso, lo esalta, lo consola, lo annoia, lo autodefinisce, lo ama, lo odia, proprio con le stesse caratteristiche di una madre amorevole o di una matrigna, a seconda delle circostanze. Credo che poeti si nasca, per destino, e che, una volta avviati su quel sentiero aspro e forte, non se ne scorga più la luce nel fondo... Una volta scoperto il velo di Maya che tiene la poesia raccolta in petto, il poeta ha davanti a sè la pagina bianca, tutta da scoprire, da decifrare, da decriptare. Ma la Poesia sfugge, è altro da sé, altro da qualsiasi forma di arte, tenta di non farsi imbrigliare, raggiungere, mentre il poeta la rincorre tutta la vita, senza raggiungerla, Perciò si dice che la migliore poesia è quella che non è ancora stata scritta, perché il poeta lungi dall’afferrarla, ne viene invece come catapultato sull’altra sponda opposta e travolto da un’onda tzunamica in un mare tempestoso e beffardo che si prende cura di sbatterlo tra i frangenti e le rapide di un corso d’acqua in pieno delirio, in continuo subbuglio. Vi è una grande maggioranza di poeti che fa poesia a freddo, a tavolino, manovrando in assoluta libertà, assemblando le parole come in un puzzle. Ma non parliamo di essi, questi non faranno mai poesia alta, grande, immortale, quelli che intendo io sono, poeti riservati, nascosti, misconosciuti, amano l’ombra, non le luci della ribalta; scrivono in silenzio, di notte, lottano coi loro demoni che li assillano, li inseguono, li tormentano, li fomentano....la felicità di questi poeti è darsi interamente alla Poesia, ascoltarne il suono, la melodia, amarla, esercitarla ogni giorno come una religione, una fede. In conclusione, dunque è giusto quel che affermava Dario Bellezza. Indossare le svariate maschere è faticoso, si corre il rischio di essere spersonalizzati, mai riconoscibili. Eppure, tentati da un “genietto” che è l’assoluto arbitro della tua psiche, ti padroneggia e ti domina ti vincola tra le spire di un sogno inafferrabile, che ti fa suo schiavo di un piccolo genio perverso che ti suggerisce all’interno della personalità lirica la tracciabilità del tuo destino: “sarai da quel momento solo poeta....” ti sussurra all’orecchio, ed è per sempre..... .
Id: 486 Data: 18/02/2012 16:31:58
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- Letteratura
La poetica di Ninnj Di Stefano Busà
a cura di Carmen Moscariello
Quest’opera di Ninnj di Stefano Busà ha un valore escatologico dove la vita è pellegrina in assorta ricerca dell’uomo e di Dio.
Voi strappandomi i mari, la ricorsa, lo slancio/e dando al piede il sostegno di una terra forzata, /che avete escogitato? Un calcolo sagace:/
il moto delle labbra non può venir sottratto.
Leggendo i versi della Busà si sente riecheggiare la Osip Mandel ‘Stam, la stessa ostinazione e coscienza che la parola poetica in certe vite può rappresentare l’Assoluto e ancor più il mezzo essenziale a sostenere un arco teso di ansie e aspettative laicamente e divinamente rincorse.
Sgocciola amaramente la vita cucita e ricucita con foglie arse, con stilemi delicati di sole e di narcisi che nascono nei luoghi insoliti e pericolosi dell’esistenza di alcuni. Cogliere quei fiori può costituire il sacrificio di se stessi, l’annullamento coraggioso in silenzi d’attesa.
Il sogno e la sua infinitezza nidificano nel cuore della Poetessa. Qui la parola con la sua eleganza insegue e focalizza il sogno per consegnarlo al lettore col suo leggero e trasparente enigma.
Sipari d’ombra con raggi in traverso!
Le parole mietono ore corrucciate di solitudine e abbandono, il tempo è spia e allinea le ore, dall’ombra della morte i battiti e gli echi che feriscono per le impietose meditazioni sul vivere .
L’humanitas poetica, qui travolge e sconvolge l’aria (con memoria d’aria).
Le sbarre non limitano l’Infinito Essere, seppur configurano una prigione ormai infinitamente dolorosa da sopportare: il cielo e il vento hanno voci attutite, più alta è quella del Poeta. La parola assume metamorfosi delicate, senza sottrarsi al dolore di dire, annunciare, assaporare, scrutare.
La poesia è nel destino dell’Autrice, marchio a fuoco, vocazione alta e veritiera. Il tempo è acquoso, libera un grido trafelato, inclemente nemico al desiderio di infinitezza che si innalza .
Incalza il viaggio: il tempo e il viaggio sono epitalami di questa scrittura poetica. Si inseguono dilaniati con poche tregue. Le febbri umiliano, ma rientrano nella consuetudine poetica, riducono in polvere, ma la ricerca di un altrove di infinitezza non cede il passo. Il demone poetico è liberatorio, più forte di qualsivoglia umiliazione. La morte assedia, è lì in agguato; bandito con sguardo furbo che osserva in silenzio un crudele silenzio.
In quest’opera i protagonisti sono il tempo e il viaggio, i loro occhi sapienti sanno guardare, sfidano il dolore, con coraggio non rassegnano alcuna dimissione.
Alla Busà, Il suo ruolo di Poeta le permette di posarsi sul gradino più alto, da lì guardare la vita, nel suo percorso: un fiume con molti ciottoli, con improvvisi fascinosi gorghi, tutto si esplicita senza riserve. La poesia non diviene mai gemito. Il percorso lumeggia incredibili limiti; il tempo insaziato cerca la vita, desidera la vita! Nella sua pienezza di albe e di notti, di estate festose e d’inverni ghiacciati , la poesia tutto ci restituisce; non si placa la volontà di amare e cercare la vita, interamente. Lo scudo del sogno non fa intravedere future appaganti gioie, rimane desiderio infinito, dolorosa trepidante ricerca, traguardo mai raggiunto dell’infinito senso di Dio.
Id: 485 Data: 18/02/2012 15:25:10
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- Letteratura
Saggio critico
Saggio critico a: Quella luce che tocca il mondo di Ninnj Di Stefano Busà
Emerico Giachery Accogliere un nuovo libro come un evento dal quale ricomincia il mondo di un poeta è possibile in un libro come questo, così colmo, intimamente organico, e così se stesso pur nel lungo e celebrato cammino di Ninnj Di Stefano Busà. Giova, comunque, prendere atto di qualche lampo interpretativo degli eminenti maestri che si sono espressi su opere precedenti (Piromalli, Manacorda, Bárberi Squarotti e non pochi altri), e poi andare avanti. Non dimenticare, soprattutto, la densa e scavata Lettera-Prefazione al volume L’arto-fantasma (2005) della stessa poetessa. Il prefatore è uno dei personaggi più apprezzati del secondo Novecento letterario, Giovanni Raboni, poeta militante capace come pochi di capire altri poeti e di parlarne con avveduta penetrazione. Certe sue impressioni e formulazioni sulla poesia di Ninnj Di Stefano restano decisive. Per esempio: “una voce che ha nel suo sfondo il mistero della parola fuori della routine”. Oppure: “la novità di un modernismo non aberrante, non raggelato da spettrale figurativismo né minimalismo che ne denuncino il disabitato conflitto coi significati interiori più spirituali”. O ancora: “un limpido assolo fra i drammi privati e quelli più universali cha fanno il consuntivo di una sperimentazione in limine, di ottimo livello”. Infine, “l’impressione di trovarsi in un clima diverso, quasi di sospensione fra la ragione dello strazio e il suo superamento”. Ricordiamo anche la nota con cui l’autrice spiega il titolo, davvero singolare per un libro di poesia, come L’arto-fantasma: “in campo scientifico-medico quella particolare condizione nella quale, nonostante l’assenza fisica, sembra permanere nell’individuo, al di là dell’atto amputativo, la sensazione di reperibilità immanente, di persistente disagio o turbamento, che indichi l’indivisibilità, quale scaturigine di una sua irrinunziabile adesione all’atto unico e irreperibile dell’esistente”. Spiegazione minuziosa, questa, di una ruvida immagine, e quasi allegoria, della condizione d’assenza, di un’assenza-mutilazione dolente, che è anche, al fondo, nostalgia di totalità. Secondo l’autrice, proprio questa è “la condizione della poesia e della parola nell’attuale società tronca, violentemente amputata, assente, eppure ancora vitale nelle rappresentazioni e nelle sensazioni che riesce ad evocare”. Interessante anche l’annotazione, certo di mano della poetessa, alla coinvolgente riproduzione in copertina di una terracotta di Laura Rossi Ravaioli dal titolo Decostruita: “indica la bidimensionalità dell’anima divisa e moltiplicata dall’assenza”. Musa generatrice anche di Quella luce che tocca il mondo, l’assenza, in Ninnj Di Stefano, “non è desertificazione o estinzione”, precisa Raboni. Nostalgia, semmai, dell’Essere perduto, degli Dei fuggiti o nascosti, delle stagioni consumate, che diventa appello alla necessità della parola, o pausa musicale, o respiro di leggerezza e quiete ritmica. Ha forse qualche affinità col vuoto interiore che il guru meditante consegue perché necessario all’auspicata irruzione del divino. Il proposito è ora incontrare senza ipotesi pregiudiziali il nuovo libro nella sua unicità e singolarità, come se si affrontasse un’opera figurativa adespota da attribuire: è un suggerimento di Gianfranco Contini al quale volentieri mi attengo di fronte ad un nuovo testo ancora inedito o fresco di stampa. Stavolta, tuttavia, era necessaria un’eccezione per il grande motivo dell’assenza, radicata nella poetica stessa dell’autrice e nella sua concezione del mondo: averne già nozione è disporre come di un privilegiato frammento di “avantesto”. Che però – ecco – ci introduce già nel nuovo testo. Che poetica costellazione d’immagini vi ha generato e profuso la nozione-chiave di assenza! Assaporiamone alcune: “vuoto lasciato dalle cose”; “echi senza voce”; “ le cose dileguate | o assenti”: “ scalmi alla deriva, senza approdi”; “la salvezza che non cogli”; “giorni senza incensi, senza mète; “lande disabitate, indizi cancellati”, “un diario | senza pagine, l’ora che non c’è”:“inconsistenze che trattengono silenzi”; “suoni senza vita, giorni che non tornano”; “il senso delle cose perdute”; “l’attimo non torna, proprio non torna”; “guizza dall’anima il lamento | per le cose assenti”; “rose sfatte | ai muri dell’inverno, consunte le parole”; “un dire senza attese”; “momenti di un codice segreto | che contorna la vita che non c’è”; “tu parti e non hai mèta, arrivi e non sai | il nome dei luoghi dell’altrove”. Di notevole interesse l’implicito protendersi dall’assenza verso l’“altrove”: una sorta di etimologico ex-sistere. Forse per tentare voli verso un ipotetico Oltre, la terra “ci fa germoglio d’ali”? . L’impari, e perciò tanto più intrepida, sfida della parola e della scrittura al vuoto dell’assenza è comunque un suggello impresso al libro. Eccolo: “le parole sfilano | e non sanno che sistemarle per poco, | seppure sulla carta, serve a dar loro ancora | un po’ di senso una voce un corpo | che le leghi e perduri oltre l’assenza”. Libro compatto, omogeneo è dunque Quella luce che tocca il mondo. Da recepire e godere come unità. Unità poematica? “Poema lirico-filosofico”, si potrebbe dire con un po’d’enfasi, soltanto se mirasse a divulgare una dottrina e se del poema avesse la struttura, con palesi svolgimenti diacronici. Il suo, invece, è un tempo quasi ciclico. Assomiglia al tempo della meditazione, non al tempo della diegesi. Assomiglia a ricorsi di stagioni: analogia o affinità con le stagioni è del resto partecipe sintonia con la grande natura. Si articola in riprese, ritorni, approfondimenti singoli, pur nel costante clima diffuso. “Variazioni”, si potrebbe dire con allusione musicale (richiami a situazioni musicali sono qui pertinenti e illuminanti). Non su tema unico, come è consuetudine nella musica, bensì su un coerente plesso tematico, che rappresenta, se così è lecito dire, la sua stessa struttura, e la scansione di una fondante concezione del mondo, che corrisponde, mutatis mutandis, a quello che è la tonalità per una composizione musicale. La concezione del mondo non è compendiata né compendiabile in formulazioni (giacché si pone anzitutto come effuso sentimento del mondo). Non proclamata né sbandierata, si accende, e più spesso traspare in controluce, qua e là. Il segno cristiano, accennato appena nella prima poesia del libro (“tu non sai perché questo giorno | è inchiodato al legno della croce”), compare esplicitamente solo in Sarà pane, in una generosa visione escatologica: “Gli angeli laveranno il peccato della croce, | il pianto sarà acqua benedetta, | di Cristo avrà voce la salvezza”. Il sintagma “il cielo sopra di noi” non può non ricordare la celebre formula kantiana: “il cielo sopra di noi | è un dono che non finge”. L’“Esserci” è certa allusione al Dasein di Heidegger: “Dunque è qui l’indistinto, il minimale, l’esser(ci)”. I vocaboli “cose” e “mondo”, ricorrenti almeno una dozzina di volte, ci immettono in aura fenomenologica. Singolare, infine, la ricorrenza del termine “implosione” (una sola volta si trova “esplosione | delle spighe”) e del verbo “implodere”, che acquisiscono qui quasi una patina di “idioletto” e richiamano l’estroso monologo di un Amleto dell’era spaziale nelle Cosmicomiche di Italo Calvino. “Esplodere o implodere – disse Qfwfq – questo è il problema: se sia più nobile intento espandere nello spazio la propria energia senza freno, o stritolarla in una densa concentrazione interiore e conservarla ingoiandola. Sottrarsi, scomparire, nient’altro; trattenere dentro di sé ogni bagliore, ogni raggio, ogni sfogo, e soffocando nel profondo dell’anima i conflitti che l’agitano scompostamente, dar loro pace, occultarsi, cancellarsi: forse risvegliarsi altrove, diverso”. Patina di “idioletto” ha forse anche il molto usato termine “epifania”, indizio di una modalità intensa, a volte quasi mistica, di incontro con l’oggetto Un esempio: “Tutto è nel suo farsi [= del giorno] breve e senza luce | nel suo porsi come epifania di senso”. La suddetta patina è conferita dalla coloritura vivamente personale a diversi altri lessemi, dilatandone e arricchendone il senso. Per esempio “rammendo”(“pianto che ferisce il suo rammendo”); “miele” (“il miele del tramonto”o “il miele del ricordo”), che sostituisce “dolcezza”, rendendola più concreta e meno sentimentale. Poi “arsura” (non “l’arsura in giro” topica diOssi di seppia), e “brivido”, spesso plurali, entrambi con estesa e forte connotazione esistenziale: nel primo caso tendente a volte a crudezza assetata (“arsure di sensi, volti e nomi”), nel secondo a tensione emotiva, vibrazione: “la parola chiusa nel suo brivido”, “inesplorati brividi”. Si trovano comunque entrambi associati, una volta, in “brividi d’arsura”. Pensiero poetante, dunque? Poesia pensante? Preferibile parlare di concezione del mondo, non sistematica e tuttavia coerente; incarnata, come è proprio del dire poetico, in immagini, in ricorrenze tematiche armonicamente variate e in una felicità ritmica e metrica senza sbavature, commisurata al respiro del contemplare, del meditare e del rammemorare. Raboni suppone, almeno per quanto concerne il libro da lui prefato, “aspetti e suggestioni della poesia meridionale del Novecento”. Nel libro che qui ci si offre, una sola volta è ricordata la Sicilia natia: “la mia terra di zagare e uragani”. “Tratturi” ci trasportano al pastorale Sud abruzzese pugliese molisano: “respiro lento | di fiumi a segnare tratturi”, “il profumo dei tratturi”, “luce sfinita | sui tratturi”. Ricorrenti “chitarre” potrebbero evocare – ma è soltanto una supposizione – l’area della “matrice mediterranea” di cui ha parlato Raboni: “vegliano chitarre nelle aie estive”, in Paese senza tempo (titolo d’alta pregnanza!), che ritorna in L’oracolo, “tortorelle | di un sogno perverso che veglia chitarre | nella aie estive”, e in Quella forza, “Una memoria, un fuoco hanno giorni appesi | alle chitarre dell’infanzia”. Ma il contesto melodico e ritmico, con quegli adagi e larghi, pacati e pausati, e di frequente “aperti” al fluire di magistrali enjembements, ci fa immaginare un orecchio che abbia assimilato la vitale lezione metrica del Quasimodo postbellico, in cui più di un poeta del Sud ha riconosciuto una misura congeniale. In ogni caso il protagonista (talvolta dissimulato) della poesia italiana, l’endecasillabo, qui si affaccia con slancio. A volte si afferma in momenti di incisività gnomica: “ l’inutile distanza delle cose”; “Ci restano le strade consumate”; “ciò che non muta, ciò che non ritorna”; “il nostro è un regno dai confini incerti”. A volte offre propizi avvii (“Ogni giorno è votato al suo silenzio”, “Silenziosamente tutto splende”) o misure di compiutezza: “Tutto poi torna alla sua breve quiete”; “che ricompone giorno dopo giorno”. “D’altro naufragio è l’età che non torna” ha un vago alone ungarettiano. Invece Montale, che ha “salato il sangue” di più d’una generazione ed è, secondo Raboni, tra i maestri capitali di Ninnj Di Dtefano, con l’eco del quasi proverbiale anello che non tiene è presente nel verso: “e il rammendo non tiene. Tutto è stato”, e anche altrove. Del resto, proprio nello stesso testo, dal sintomatico titolo Niente ha nome o voce, è già presente quasi un “ammicco” montaliano: “sabbia che si addipana senza consumarsi”. Montaliano un verbo come “avvena”: “la carne del dolore che l’avvena”. “Fuori piove” sono le ultime parole di Ai transiti del vento come delle memorabili Notizie dall’Amiata. Anche in Ossi di seppia aleggiava, come qui aleggia, una esitante “attesa di salvezza”. Non manca il “varco”, forse non immemore di quello esemplare della Casa dei doganieri: “Questo varco, la sua ipotesi | ti porti dentro”; il mondo è “racchiuso in sé, senza varchi provvisori”. Parecchie – ma non necessariamente montaliane – le “occasioni”, importanti aspetti della condizione temporale: “Le occasioni poi scorrono in un fluire | d’acqua e neve”. Il Tempo: uno degli elementi portanti dell’universo immaginario e semantico di questo libro. La parola “tempo” vi compare non meno di venticinque volte. Altrettante volte vi compare la parola “silenzio”, ma per lo più al plurale: Leopardi, con i suoi “sovrumani silenzi”, ha additato la suggestione poetica di un plurale che aggiunge, si direbbe, un orizzonte di spazialità. Ecco due significativi endecasillabi: “L’eco è breve, già chiama dai silenzi” e “albe chiare ritornano ai silenzi”. Il dinamico“vento” (“vento che muta le sembianze”, “odissea di vento”) compare una dozzina di volte; altrettanto i già ricordati “mondo” (“il mondo è lì”) presente anche nel titolo e “cose” (“la storia cambia il senso delle cose”). “Lento” è aggettivo caro all’autrice (“il lento respiro delle sere”) e suggerisce, in amichevole sinergia con “silenzio”, un “tempo di lettura” riposato e pausato che corrisponde col respiro della scrittura. L’indicazione meramente statistica delle concordanze, già in sé stimolante, è peraltro soltanto un avvio, una prima chiave. Uno dei “piaceri del testo”, che è quello di esplorarne percorsi e sensi per goderne la poliedrica compiutezza, si accresce nel riconoscere le metamorfosi semantiche dei segni, il loro combinarsi, intrecciarsi e corrispondersi per dar vita alla sinfonia del tutto. Un tutto, in questo caso, segnato fortemente dalla luce, forse proteso verso la luce. Di fronte a una diecina, o poco più, di segni dell’“ombra”, (“è troppa l’ombra che ti passa | addosso e ti nega il profilo del sole”), la “luce”, che già signoreggia dalla posizione potente del titolo del libro, ricorre poco meno di quaranta volte in una raccolta di settantaquattro poesie. Evidentemente non si tratta soltanto di una parola-nucleo, ed è più che un tema tra altri temi. La tradizione biblica, e soprattutto neoplatonica e mistica, è così impastata nella cultura europea, nell’anima europea, nel nostro immaginario, che non è facile dissociare la luce dal senso del divino e dell’assoluto. Dal I secolo in poi si forma una metafisica della luce, in cui avrà notevole parte Dionigi Aeropagita, poi il francescano di Oxford Roberto Grossatesta col suo De luce (“la prima forma corporea è secondo me la luce”), contemporaneo del luminismo trionfale del Paradiso dantesco. Poi, l’elemento poetico della luce nella pittura europea, soprattutto da Caravaggio in poi. Poi, per esempio, il “lungo viaggio verso la luce” di poeti come Mario Luzi, più che mai poeta della luce da Per il battesimo dei nostri frammenti al Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. Non sappiamo, del resto, quali orizzonti ci schiuderà la fisica di domani nello studio della luce. In questo libro il segno luminoso ha valenza per lo più positiva: “evoca spore in attesa di luce”, “a tentar luce mai vissuta”, “generiamo luce d’amore”, “l’emergenza di luce”, “epifanie di luce”, “una mezza verità | rivelata dalla luce”, “Al gran clamore il giorno proietta | la sua luce, nelle strade, nei vicoli”, “un’allegria di petali alla luce”. E quando è negata è forse anche nostalgia e sgomento per una pienezza ontologica minacciata o perduta, e perciò è quasi implicitamente riaffermata: “luce che si spegne”, “perdita di luce”, “luce che diventa opaca”, “luce che non brilla”. Per concludere luminosamente la prefazione si può ricorrere a questo verso (ancora un endecasillabo!), che sembra renderci partecipi alla tensione spirituale del libro: “ognuno porta l’onda di una luce”.
Id: 484 Data: 18/02/2012 09:34:12
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- Letteratura
Il viaggio lirico di Ninnj Di Stefano Busà
Lo straordinario viaggio di Ninnj Di Stefano Busà
(a cura di Marco Forti)
Finalmente, nei giorni delle Feste di fine anno ho potuto estrarre dalla pila troppo alta dei libri che mi aspettano, il Suo libro, che ho letto durante alcuni giorni come alternativa e tregua, al troppo doveroso lavoro che stavo ultimando. Il suo lavoro lirico mi ha interessato, incuriosito e affascinato, e ha avuto non pochi miei apprezzamenti per la sua compattezza, la linearità verbale, la liricità continua e continuamente minacciata di riassorbimento, da un suo bisogno ulteriore, che non potendo essere completamente metafisica si dibatte a incidere nel reale, che è tanto suo quanto estraneante fino a mischiare la calce e la pietra di un esito sublimante, tranne poi rivisitarlo col relativo e ulteriore vuoto quotidiano. Pertanto fin dal suo primo testo poetico "Barbaglio", sono stato colpito da una continua peculiarità di luce e di ombre che vi si mischia. di letterarietà di immagini e di parole che vi s'innervano e si fondono, fino a convogliare "l'oro" dei suoi mattini poetici, in un finale "corpo morto" che palpita conclusivamente, per poi annichilirsi in un dolore latente che è del mondo, inteso in senso, universale. Un "corpo morto" per riprendere il suo emblematico titolo che altrove è più lieve e aereo, come ad. es. nell"`ala di un passero" o in "Pianoro" più semplicemente "conturba" il canto della vita; o l'anima poetica che è in "Le brade terre perdute" alterna le sue felici aperture agli "azzurri displuvi" come lei tende a definire le soste di un viaggio ancora da compiere. Un viaggio poetico, naturalmente, che pur ritmato da una parabola di movimenti e da una musicalità sorprendentemente percepibile, del novenario endecasillabico che lì e altrove assume spesso il passo di un doppio settenario nitidamente cromatico; come in "Fioriture di greti", per poi sfumare in un'asprezza di valichi spesso ardui da superare.
Un'alternanza di toni sempre alti, più che percepibili nel verso squillante e metaforico che orienta "La rosa", con i suoi lampi e i suoi ardori che, imprevedibilmente si macerano nel disagio esistenziale, contrariamente alle "Creature" del testo successivo, cui "l'ondosa tenerezza" della fine, imporpora di pudore le guance: "Di una loro bellezza si ornano tutte le creature, | Di una sfrontata verginità che le sfiora | come bava d'eliso sulle fronti roride di sole ". Solo pochi esempi, dunque, per confermarle che la sua poesia autonoma e personale, quanto sottile e limpida vive di un suo pensiero lirico metaforico felice, e balugina in proprio, senza peraltro voler regredire in veri e propri simboli o esempi primo novecenteschi. Così non sorprende in lei il ricorso alla grande centralità montaliana, che le permette in piena autonomia di sviluppare la necessaria lucidità di pensiero e di parola, la relativa asciuttezza di flash paesistici o figurali, o il murmure ulteriormente poematico di componimenti di memoria o speculari, resistenti fin nel loro continuo serpeggiamento animistico. Così, vedi, esemplificando "l'ala del cormorano" odi "Il fiore della valle" l'affinità elettiva col nostro grande Montale, ma riassorbita e resa fluida docilmente da un miele materno che nutre le radici mediterranee, muovendosi fino a conoscere "l'orma dell'oblio" e scomparire in fondo a sé; senza lasciare tracce. Un mondo poetico, dunque, molto ben strutturato, che ben conscio letterariamente della lucidità linguistica e metrica che ne ingloba l'impegno e la volontà, non manca poi di registrare la spirale interiore di un esito che ne coinvolge l'anima, fino a un proprio annullamento, a una propria morte naturale, fino a cogliere un gioco ossimorico affacciato a un proprio insuperabile e statuario muro. Vedere in proposito il fascinoso movimento in tante variazioni nelle poesie centrali, forse le più culminanti e intense del libro. In testi importanti, anzi decisivi come i lunghi anni de "Il tempo", la cui "vampa" ridesta "la verginità dei pargoli", o come "il perire lento" ne "L'assenza", un tema appunto che ha attraversato gran parte del libro con la sua antitesi creava di fondo, con i suoi intrecciati motivi di lirismo e realtà narrata ad un tempo, di corpo e anima, dell' io che parla e del continuo dialogato lirico di chi parla con l'altro o gli altri. Una materia in cui il corpo poetico esiste enigmaticamente, proprio' nella simultanea identità e intangibilità della propria parola, nata da una solarità astrattiva altrimenti inesprimibile.
Non sorprende, allora, che la molteplicità delle metafore, la fruibilità degli esiti, s'intersichino fino al limite della favola e della visionarietà, quando non sull'orlo emblematico e montaliano del flash, odi una memoria poematica dell'infanzia, che anch'essa attraversa la prima ampissima sezione di L'arto fantasma non venga infine superata dalle poche poesie conclusive del suo libro in cui senza più emblemi e misteri il sogno s'incarna e si acquieta. Così il titolo del libro al termine della Sua spirale, si troverà a significare solo se stesso, o la voce narrante di Ninnj Di Stefano Busà che crea le ragioni del suo urgente affondo, mentre incide la consapevolezza di un no-limite ovvero il superamento della condizione di naufragio. Forse solo ora fissando eufemisticamente "l'arto fantasmatico" che rievoca l'enigma metafisico dell'esistente percettivo o no, della sua vera essenza lirica, Lei s'interroga sulla materia cantabile, sull'unicità del concetto di essere anima/corpo di un tutto drammaticamente nudo che si trasfigura per sconfiggere la frammentazione, la divisione, il relativismo. Un esito cui solo l'inafferrabile emblematicità degli ormai lontani Mallarmé o Valery, e da noi la lezione di un Montale, opportunamente indicata da Raboni nella sua prefazione, ha potuto offrirle un quadro più generale, un fondo di scena verso cui proiettare la sua pur bene individuata e sentita ricerca, fino a rifonderla in un esito completamente (ri)strutturato e risolto. Mi scuso se ho analizzato anche troppo lungamente l'Arto fantasmatico che intitola il suo libro. Ma mi ha molto interessato la sua straordinaria autonomia frammista alla sua grande originalità, nonché l'identificazione sua propria e la distanza dai corpi poetici altrui. Lei, come ha affermato Raboni è notoriamente se stessa. Mi auguro di poterla incontrare e di conversare con lei di quanto così straordinariamente anima la sua poesia e me la fa leggere e rileggere con sempre rinnovato interesse e ammirazione.
Id: 483 Data: 18/02/2012 09:14:18
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Daniela Quieti intervista Ninnj Di Stefano Busà
INTERVISTA di Daniela Quieti a Ninnj Di Stefano Busà D: la Poesia ama tempi lunghi, Lei ritiene che oggi, in tempi reali, in cui la cultura e la poesia (più in particolare) restano ostiche e invise ai più, possa ancora avere indici di ascolto? R: oggi più che mai, proprio perché viviamo un mondo tragicamente difficile, carico d'incognite, privato di felicità e serenità, la Poesia è rifugio da antichi dolori, nicchia refrigerante di temporanea pacificazione col nostro "io" tormentato. In effetti, si avverte un avvicinamento a questa grande arte, un po' bistrattata, perché spesso incompresa o ritenuta "inutile". Riguardo alla sua inutilità, vi sarebbe poi, molto da dire. Niente è inutile in questo mondo, se non il "male": Mi pare che la Poesia non appartenga a questa categoria, anzi, sia lenimento al male, fatto salvo il timore di esserne intimiditi o temerla, perché parla un linguaggio interiore, fatto di suoni modulati al mistero, alla trascendenza, La poesia non è stata mai una materia bene accetta dal "vulgus" troppe implicanze v'intravede al suo interno, troppe interferenze di carattere psico-analitiche, troppa cultura, troppo tempo da perderci per capirla...Ma gli altri, tutti gli altri possono trovare nella Poesia quel "quid" mancante che lega il soggetto al suo infinito, alla memoria fruibile del suo io più interiore che parla la lingua dell'intelligenza del cuore. D: E' preferibile che la poesia sia vissuta dall'uomo di oggi come protagonista? oppure come comparsa nel ruolo secondario di un mondo fatto di fattori dissacratori, di devianze, o assenze? R: la poesia è altro da sé, altro anche del nostro immaginario comune, dalle regole del gioco, dal suo verosimile. Non si può immaginare la poesia, senza quel minimo di mistero, di divinità, di trascendente, d'infinito, di "oltre" che porta in sé sin dalla sua genesi. Vi è un fattore che la determina, ed è l'esigenza di rapportarsi con una Entità perfettibile che vive dentro di noi, ma non fa appello al fragore per farsi sentire, non grida, non si agita. E' solitaria compagna, e accondiscendente segno e sogno infinito della nostra esistenza. Chi la scrive per il futuro ne traccia i segnali, ne istruisce la voce dell'oltre, fa sue le corde infinite di un suono quasi celestiale che origina dal di dentro. Non è diversamente spiegabile, la sua vocazione a restare nelle retrovie del mondo, a proteggere l'uomo dalle sue stesse temperie. La vita non è solo sogno e la poesia lenisce in parte questo attrito, questo stridore, le incoerenze, gli affanni, le assenze di un mondo carico di -non sense- D. La scienza cosa pensa della poesia? dove la colloca? le dà una definizione?, la giustifica? R: la scienza ha i sui alti meriti, la poesia ne ha altri, Le due cose non sono necessariamente interscambiabili, né cumulabili. Non sono per schematizzare tutti i processi indistintamente. Trovo giusto che ogni Ente nel suo campo trovi la sua ragion d'essere e vi si distenda, vi si avvicini come può, meglio che può per creare armonia, per sintonizzarsi con gli altri Enti, che sono diversificati e hanno dalla loro, la certezza di portare avanti una causa giusta, di sponsorizzare un bene comune, di valutare in orbite e ambiti diversi le condizioni reali di un mondo multiforme, variegato e (per certi versi) sconosciuto come è il nostro. D.. Quale è stato il suo primo approccio con la Poesia? R: avevo tredici anni quando misi in essere il mio istinto poetico. Scrissi i miei primi versi su un quadernetto a copertina nera (come si usava un tempo). Li tenevo in cassetto come un tesoro da nascondere, erano le prime emozioni, le prime suggestioni della vita che mi si schiudeva innanzi e di cui capivo appena il profilo. I contorni netti mi apparvero più tardi, quando capii che ero fortemente votata alla poesia, quasi come un destino. A quindici anni, mio padre che era amico di Salvatore Quasimodo, glii mostrò alcuni testi e il grande poeta, ne fu entusiasta, tanto che espresse il desiderio di farmeli pubblicare con una sua prefazione. Dopo alcuni mesi morì. Tutto rimase lettera morta anche per me. Successivamente ripresi il mio iter da sola. Fui letta da grandi critici come: C. Bo, M. Sansone, V. Vettori, A. Capasso, Barberi Squarotti, fino ai più recenti: Giovanni Raboni, M. Forti E. Giachery, A. Merini, Walter Mauro, Davide Rondoni che ne hanno manifestato entusiamo e ammirazione. Il resto è storia personale. Non sono stata consacrata mai dai Grandi Editoriali, ma come abbiamo detto da principio la poesia ama tempi lunghi, saprò aspettare, poiché è determinante per la mia storia personale continuare a scrivere, solo quello... D: la letteratura è una delle sue più importanti forme di vita, Lei vi dedica gran parte del suo tempo. R: si, è vero, fa parte del mio essere in quanto tale, non saprei disgiungerla dalla mia vita, ma altre sono state le priorità e le occasioni, diverse le esperienze, le necessità...a cominciare dalla famiglia, le figlie Clara e Roberta, i quattro nipotini, e molto altro. Mio marito mi ha sempre sostenuto, ma sovente ho dovuto prendere decisioni importanti, occuparmi della conduzione familiare, seguire gli studi delle figlie, le loro vite, consigliarle, sorreggerle nelle difficoltà, etc. La mia vita è sempre stata carica di una grande quantità di cose. In tutta questa fucina non è mai venuto meno l'amore per la poesia. Le sono stata fedele, l'ho coltivata in silenzio, nei ritagli di tempo, la notte nel silenzio della mia casa. Oggi la poesia e la fede si combaciano, per me poesia è divenuta anche la mia fede. Ci credo come ad una religione, cerco di inculcarla nei giovani, nelle scuole in cui spesso vengo ospitata per discettare di poesia e tentare di farla amare ai giovani, che rispondono positivamente (devo dire) e per fortuna, perché la poesia è quel filo sospeso tra noi e il cielo, tra il bene e il male, tra la vita e la morte, e non si deve spezzare, perchè equivarrebbe a rovinare qualcosa di bello, di buono che ancora resta.
Id: 482 Data: 17/02/2012 09:52:51
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- Letteratura
La Poetica di Giorgio Bonacini
POESIA SCRITTA di Giorgio Bonacini
a cura di Ninnj D Stefano Busà
E’ il respiro di un’ombra la forma che sento, che vedo/.../ sono parole di Giorgio Bonacini, ma denotano l’eccezionale intuizione e spessore di un “incipit” espressivo che ne costruisce con chiarezza e illuminante lucidità un progetto ispirativo, sottolineando la levatura linguistica, lo stile saldo e rigoroso, che la dice lunga su un autore di spicco, che ha il vantaggio della peculiarità impalpabile dentro una figuratività di immagini assai avvertita. Giorgio Bonacini sa abbinare una cifra lirica assai variegata e complessa, fatta di sospensioni e di interrogativi irrisolti, ad un’ansia di accostamenti vivaci dentro uno scandaglio d’introspezioni interiori ed esteriori molto ampi. L’autore scrive la poesia come un atto compiuto dalla mente per esorcizzare il dubbio, l’assenza di pensiero, il caos; ne derime i fili, ne costruisce i rapporti, le interconnessioni, gli strazi di una trascorrenza precaria e transitoria dell’esistente, lasciandosi guidare dal “pensiero” <poetante>, che istruisce il suo itinerario umano e intellettuale in una sorta di scrittura “crittografica” al cui interno riesce a captare i sensi, ovvero, quella forma apparentemente interna all’esistente che è anche -sinolo- della sua metafora stlistica. Tra allitterazioni, assonanze e consonanze l’autore raggiunge una misura simbolica suggestiva e scorrevole, che non sempre in altri autori è l’esito felice di una scrittura decriptata attraverso sigle e ismi moderni. Bonacini raggiunge toni alti in cui si snodano spunti di grande effetto, ineccepibili dal punto di vista stilistico. Un repertorio che consente al lettore una vasta gamma di orchestrazioni, a cominciare dal verso, quasi sempre ampio, avvolgente, sinuoso, affascinante e particolarmente dotato di grande spessore linguistico, di una profonda analisi introspettiva, in cui l’autore provvede a dotarsi di uno speciale percussore acustico, per avvertire meglio le vibrazioni che provengono dall’anima. Il pensiero è quasi sempre individuato in un coinvolgimento emotivo che contribuisce ad una stringente indagine di fondo. Dentro ed oltre la Poesia, Bonacini coglie l’occasione di una ricostruzione mnemonica, fatta di suoni e di segnali, di apparenti catarsi e di sorgenti di luce. La poetica di Giorgio Bonacini tende a decifrare i segnali e gl’interrogativi dell’esistenza per calarsi in una roggia speleologica di grande e arrischiato scoscendimento, un abisso dentro una concatenazione logica che va dall’astratto all’allusione, ed evidenzia il tentativo di farsi carne e sangue rinverdendo una musicalità a volte appena sfiorata, (perché l’autore non è di stampo elegiaco), che sublima le sfumature esistenziali:
“Portare a compimento una scoperta o farne parte non è solo il capriccio di un poeta, né un destino che rimanda a una parola affaticata - a volte l’invenzione è inopportuna...”
Qui, la vulnerabilità dell’io sfiora l’essere in senso totale, rivela un’eleganza preziosa nel cogliere la condizione frustrante dell’umanità. La conflittualità col reale, la percezione dolente dell’essere sforano quasi sempre in una malinconia e poi nell’ombra inquietante della parola mancante, nel suo illusorio perire e risorgere come Araba fenice, coerente visione della propria coscienza magmatica, eppure poetante, allusiva, condividibile col mondo. Vi è in questa poetica una lungimiranza, una maturità di ritmi e di esperienza fuori dal comune. Si vuole qui, ricordare la teoria degli opposti: se da un lato l’uomo e il suo epicedio, dall’altro vi si oppone la poesia con la sua motivazione profonda, col suo essere strappo e carezza, lenimento e lacerazione, perdenza e infinitezza. Una configurazione poetica che attiene ai grandi nomi del nostro secolo: Luzi, Zanzotto, Giudici, Bigongiali tanto per fare qualche nome, ma che da essi si distacca per volare alto nei cieli iperuranei della sua emblematica essenza. Una voce potente e alta quella di Bonacini, un poeta tutto da leggere, da approfondire, da studiare, perché può dare enormi sorprese al lettore. Roland Barthes è il suo autore d’elezione, ma dentro l’astrattismo proteiforme dell’immaginazione, Bonacini ne individua i dintorni, i contorni, ne delinea le linee, la sonorità, i segnali che lo rendono autonomo e assolutamente se stesso.
Id: 481 Data: 17/02/2012 09:07:22
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- Letteratura
Intervista di Moscariello a Ninnj Di Stefano Busà
INTERVISTA di Carmen Moscariello a Ninnj Di Stefano Busà D. cosa trovano nella Poesia i giovani di oggi? in un'epoca così martoriata e incurante della poesia, come e perché, secondo Lei si avvicinano al mondo un po' astratto come quello dei versi.? R. proprio nella tipologia del dire, del dialogo o del suo allontanamento in termini concreti dalla cultura sta la sua risposta. La gioventù di oggi, è vero, non è affatto aliena alla Poesia, come si potrebbe supporre. Proprio in una situazione che incombe drammaticamente sulle spalle della loro generazione, il fattore poesia ne rappresenta antropologicamente il transito difficile e spesso ingrato. I giovani forse, più degli adulti, sanno bene che vi è un divario tra il passato e il presente, e vi sarà un ulteriore scollamento anche nel futuro, perciò si avvicinano alla Poesia come a qualcosa che intimamente assolve e momentaneamente lenisce senza ulteriori afflizioni. La parola scritta è <Verbo>, ma è un linguaggio che sta nella prontezza della sua vocazione, della sua emotività, ne rappresenta i nuovi momenti, la nuova ironia, i simboli, le passioni, la fede nel futuro. Forse perciò la Poesia non li coglie impreparati, non ha bisogno di interloquire con altri, solo con se stessa. La poesia è il valore stesso del loro linguaggio che non si rivolge a nessun'altro, se non al rischio dell'emozione, dell'ispirazione. Perciò al momento attuale è un valore aggiunto: un simbolo che vuole transitare alla Storia D: cosa ritiene che il poeta di oggi debba fare per introdursi in un mondo astratto e tendenzioso e conflittuale e incoerente come quello dell'oggi. R: il poeta è una via di mezzo tra il suo ego più permissivo e il suo riscatto dalla solitudine e dal dubbio. All'uno si rivolge perché è tendenzialmente portato a intravedere i contorni dell'io narcisistico e più egoista, all'altro proprio nella funzione di un riscatto liberatorio e lenitorio. In entrambi i casi il poeta è condannato alla solitudine e alla full immersion nel mondo, proprio perché avvertito e reso -testimonial- di un diverso modo di interpretare la vita, il poeta ne assorbe le asperità e attraverso la poesia induce le sue potenzialità espressive a rigenerasi e ad ossigenarsi. D: In che modo il poeta si colloca nel mondo di oggi? R: è una domanda difficile. Credo che, come la musica ha bisogno di armonia, il poeta ha bisogno di versi per sintonizzarsi col mondo. La sua matrice è sempre spiccatamente subliminale, quando scrive o si fa interprete di un'aspettativa molto precoce quale è l'occasione di esser(ci), qui e dove lo stabilisce l'avventura del poiein, spesso il luogo o il modo non sono necessariamente avvertiti. Quello che il poeta avverte nel profondo è il suo <io>, il suo fine soggettivo, ineludibile e sorprendentemente misterioso, un richiamo quasi all'altrove, infatti per il poeta la poesia non à mai nei paraggi è sempre oltre il recinto, oltre l'ostacolo, lontano da se stesso. D. Lei è scrittrice bene affermata, conosciuta. In quale ruolo si ritrova a collegarsi, sono state le occasioni a renderla interessante? oppure, ha determinato la sua pagina poetica una sorta di significazione interiore che l'ha spinta alla ricerca di sé? R: Come soggetto del mondo che mi circonda, la Poesia ha rappresentato, fin da subito, la rappresentazione di un ordine dentro la realtà del caos. In giovane età, mi sono prefigurato un mondo forse migliore, vi ho creduto, ho cercato di rifletterlo nella bellezza e ricchezza di una prospettva che mi dava lenimento: immaginarsi il bello, a volte, è come possederlo, trascriverne vuol dire, assaporarlo, raggiungerlo anche attraverso la sofferenza e il distacco. Oggi, sono in uno stato di atarassia, ovvero la funzione della Bellezza in sè è andata scemando e nella poesia ritrovo i presupposti di una dimensione oggettiva che progetta la forma espressiva, senza più appropriarsene, come se la Poesia fosse compagna di vita, nicchia refrigerante di un piacere sempre nuovo, il ritrovamento di una misura d'ispirazione autoreferenziale, di coscienza e di vita.
Id: 480 Data: 17/02/2012 09:02:16
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- Letteratura
Intervista di Moscariello a Ninnj Di Stefano Busà
INTERVISTA di Carmen Moscariello a Ninnj Di Stefano Busà D. cosa trovano nella Poesia i giovani di oggi? in un'epoca così martoriata e incurante della poesia, come e perché, secondo Lei si avvicinano al mondo un po' astratto come quello dei versi.? R. proprio nella tipologia del dire, del dialogo o del suo allontanamento in termini concreti dalla cultura sta la sua risposta. La gioventù di oggi, è vero, non è affatto aliena alla Poesia, come si potrebbe supporre. Proprio in una situazione che incombe drammaticamente sulle spalle della loro generazione, il fattore poesia ne rappresenta antropologicamente il transito difficile e spesso ingrato. I giovani forse, più degli adulti, sanno bene che vi è un divario tra il passato e il presente, e vi sarà un ulteriore scollamento anche nel futuro, perciò si avvicinano alla Poesia come a qualcosa che intimamente assolve e momentaneamente lenisce senza ulteriori afflizioni. La parola scritta è <Verbo>, ma è un linguaggio che sta nella prontezza della sua vocazione, della sua emotività, ne rappresenta i nuovi momenti, la nuova ironia, i simboli, le passioni, la fede nel futuro. Forse perciò la Poesia non li coglie impreparati, non ha bisogno di interloquire con altri, solo con se stessa. La poesia è il valore stesso del loro linguaggio che non si rivolge a nessun'altro, se non al rischio dell'emozione, dell'ispirazione. Perciò al momento attuale è un valore aggiunto: un simbolo che vuole transitare alla Storia D: cosa ritiene che il poeta di oggi debba fare per introdursi in un mondo astratto e tendenzioso e conflittuale e incoerente come quello dell'oggi. R: il poeta è una via di mezzo tra il suo ego più permissivo e il suo riscatto dalla solitudine e dal dubbio. All'uno si rivolge perché è tendenzialmente portato a intravedere i contorni dell'io narcisistico e più egoista, all'altro proprio nella funzione di un riscatto liberatorio e lenitorio. In entrambi i casi il poeta è condannato alla solitudine e alla full immersion nel mondo, proprio perché avvertito e reso -testimonial- di un diverso modo di interpretare la vita, il poeta ne assorbe le asperità e attraverso la poesia induce le sue potenzialità espressive a rigenerasi e ad ossigenarsi. D: In che modo il poeta si colloca nel mondo di oggi? R: è una domanda difficile. Credo che, come la musica ha bisogno di armonia, il poeta ha bisogno di versi per sintonizzarsi col mondo. La sua matrice è sempre spiccatamente subliminale, quando scrive o si fa interprete di un'aspettativa molto precoce quale è l'occasione di esser(ci), qui e dove lo stabilisce l'avventura del poiein, spesso il luogo o il modo non sono necessariamente avvertiti. Quello che il poeta avverte nel profondo è il suo <io>, il suo fine soggettivo, ineludibile e sorprendentemente misterioso, un richiamo quasi all'altrove, infatti per il poeta la poesia non à mai nei paraggi è sempre oltre il recinto, oltre l'ostacolo, lontano da se stesso. D. Lei è scrittrice bene affermata, conosciuta. In quale ruolo si ritrova a collegarsi, sono state le occasioni a renderla interessante? oppure, ha determinato la sua pagina poetica una sorta di significazione interiore che l'ha spinta alla ricerca di sé? R: Come soggetto del mondo che mi circonda, la Poesia ha rappresentato, fin da subito, la rappresentazione di un ordine dentro la realtà del caos. In giovane età, mi sono prefigurato un mondo forse migliore, vi ho creduto, ho cercato di rifletterlo nella bellezza e ricchezza di una prospettva che mi dava lenimento: immaginarsi il bello, a volte, è come possederlo, trascriverne vuol dire, assaporarlo, raggiungerlo anche attraverso la sofferenza e il distacco. Oggi, sono in uno stato di atarassia, ovvero la funzione della Bellezza in sè è andata scemando e nella poesia ritrovo i presupposti di una dimensione oggettiva che progetta la forma espressiva, senza più appropriarsene, come se la Poesia fosse compagna di vita, nicchia refrigerante di un piacere sempre nuovo, il ritrovamento di una misura d'ispirazione autoreferenziale, di coscienza e di vita.
Id: 477 Data: 16/02/2012 09:15:05
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- Filosofia
La Poesia oggi è una fede
di (Ninnj Di Stefano Busà)
Fare Poesia oggi è una <fede>; qualcosa che rasenta la religiosità e la continuità di un misterioso cammino che inavvertitamente allo stato inconscio portiamo dentro, senza sapercene spiegare il perché, senza saper trovare una ragione plausibile. Cos'è questo segno che si manifesta solo in certe persone e non in altre? e ci differenzia dagli altri esseri umani. E' un fuoco che divampa? E' qualcosa che cova dentro e ci arricchisce? O ci divora e basta, ci tormenta, ci innalza e ci disarma, ci piega e ci investe come una fiamma perenne, demolitrice ma, anche, sostenitrice di un bene, quello dell'"intelletto del cuore" che ci qualifica come essere vivi e <pensanti>. E' amore per la parola? Per il senso comune dell'umanità imbrigliata in elementi contraddittori, alienanti, difficilmente comprensibili? E' un rifugio? Una nicchia dove ripararsi dalle temperie contemporanee? E' un piano predestinato per dare quel minimo di eternità che disperatamente si va cercando? E' la parola che torna al suo linguismo primigenio, al suo capitale etico/spirituale avendo bisogno di rigenerarsi/rinnovarsi alla luce del pensiero? Poiché di Luce si tratta, infine. anche se viene stimata un optional, una perdita di tempo. quale appare dal martoriante e assillante battage denigratorio, dal protagonismo sconnesso, esponenziale dei nostri giorni. E' qualcosa che ci accomuna al cielo o alla dannazione? alla nostra solitudine? Eppure sembra indurci a progredire, a venir fuori dal buio delle nostre impotenze, inadeguatezze, cui siamo tenacemente aggrappati malgrado tutto. Una zattera di salvataggio del movente biologico/culturale che ci allontana dal dolore, allora? E' la voragine chiusa delle nostre contraddizioni più eclatanti? oppure è la grande molla, l'unica via che ci resta per dialogare, per camminare a fianco della Storia e dentro di essa con il bagaglio spirituale, morale e intellettuale al quale essa stessa (storia) ci espone. Nella vita convulsa e avulsa da ogni ragionevole intelligenza e logica, apparentemente depauperata da ogni slancio, da ogni fermento, da ogni passione, i poeti si mostrano come reperti primitivi; archeologia di un passato analogico che li ha sconfitti. L'informatica e la telematica, il tecnicismo e il meccanicismo imperanti di una società in pieno declino, ci porta a riflettere sulle vere ragioni del far poesia oggi. Il tempo del poeta si è esaurito, surclassato dal tecnicismo satellitare, dalle rampe telematiche globalizzate, sepolto da un cumulo di macerie fumanti che si porta dietro, fin da quando si è imposto un nuovo modello che sostituisse le vecchie formule classiche del pensiero "poetico". L'ultimo ossigeno si sta consumando... L'Uomo moderno è passato dai disagi delle due guerre, dalla metamorfosi irriducibile di un progresso "sui generis" che lo ha lasciato non proprio indenne da scorie e da rifiuti delle neoavanguardie trascorse ma non del tutto obsolete, fino al minimalismo e al solipsismo di oggi. Quasi aliena, la voce della Poesia, se da una parte ha creato la modernità del pensiero e dell'azione, dall'altra ha generato mostruose incongruenze, inquietudini, ha mostrato il volto deturpato della società dei consumi facili e aleatori, delle assenze che sono la caratteristica principale di questo non sense moderno, di questa esistenza gracile e fragile, senza punti fermi, né certezze. Ogni poeta vero o presunto sa bene che si trova ad un bivio, continuare o abbandonare la trasgressione, (perché tale la definisce l'illecito giudizio della comunità più aliena). La libera circolazione della parola che oggi viene superata dai sistemi digitali di trasmissione dell'immagine satellitare, e dunque anche del linguaggio <metainformatico> che non gli riconosce il merito, non gli riserva il benché minimo rispetto, la benché minima logica di esistere. Verrebbe da dire, cosa ci fa su questa terra diseredata il fantasma di una Poesia che non si ama, che non rende economicamente, continuamente rinnegata, derisa, bistrattata e ignorata? Che conta oggi essere poeti, se nessuno, dico nessuno, è sicuro di essere annoverato nella pagina Letteraria del secolo? Perché il poeta si dà tanto da fare a sciorinare parole messe in fila, parole in libertà (come dicono i detrattori), parole in disuso, parole...parole che non portano a nessun risultato, se non a quello di un logoramento e, paradossalmente, di un allontanamento dalla società che, gli preferisce qualsiasi altra attività ludica e, consapevolmente ne ignora la presenza? Sono venuta alla conclusione che la Poesia è davvero una sfida, una <fede> ultima di una deontologia fuori moda, non più avvertita, ma non del tutto stremata, né inquinata, che una missione di trascendenza fa salda nei cuori e nella mente di pochi adepti, di cui non abbiamo consapevolezza alcuna. Vi è dentro di noi un tarlo, o piuttosto un folletto che ci grida e ci prospetta la follia di pochi attimi di luce, che resteranno a trascrivere la nostra storia. E' un atto di coscienza, una proclamazione di innocenza e di disponibilità verso quelle forme di elezione che ci fanno diversi. Vi è un sottofondo masochistico nella produzione di Poesia oggi? Chissà. Sta di fatto che, malgrado sia bandita dai circoli elitari e dal giro delle grandi Case Editrici Elitarie, essa persiste a voler fornire il segno di una profonda e inalienabile istanza culturale, che è il marchio vero della nostra umanità pregressa: una sorta di vademecum che recita pressapoco così.: Poeta fosti il pazzo di turno, ora vai, invadi i tuoi spazi, i tuoi luoghi, semina a livelli di fede il tuo linguaggio e proteggilo, fanne vicenda di Luce, percorso di un livello spirituale superiore, non importa se il mondo t'ignora o ti ama, non è necessario che lo faccia...Tu poeta, persegui l'utilizzo della parola alta, fanne strumento deontologico della tua specie, non demordere, insisti...Questo è qiello che penso. Ecco, come può interagire la poesia col mondo circostante. Il mondo ne può fare a meno, ma egli (poeta) non può desistere dal credere nell'adesione incondizionata al suo microcosmo, che lo porta a creare dal nulla l'elevazione del pensiero. Perciò, si proietta nella capacità inventiva, nella ricchezza inalienabile del suo virtuale riscatto, e rende fecondo e unico il mistero che lo ha privilegiato. Perché, credetemi, essere poeti non è una sottrazione, è, invece, un'addizione a (ri)creare in un mondo fantastico le condizioni migliori per dire io c'ero. Un progetto un po’ ambizioso di immortalità per chi ci crede. Essere un poeta oggi è come voler redigere e tramandare un attestato di verità conclamata da principi naturalistici, che infiammano il cuore, la mente dell'uomo, il cui linguaggio diventa un idioma per non morire, per principiare, ancora e ancora, il risultato di una potenzialità amara che, seppure disgiunta, da un suo concatenamento sillogico come lo può essere l'estremismo minimalista e arido offerto dal panorama degli ultimi decenni, preme e insiste per restare un obiettivo di equilibrio, una forza moderatrice di tanti, di troppi mali e lacerazioni. A fronte di essi si staglia grande, immensa, come un sole d'estate, il principio di una costruzione fantasiosa, bizzara e irriducibile, quale può essere la pretesa di fare poesia.
Id: 476 Data: 16/02/2012 09:00:25
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- Esperienze di vita
La sessualità nella donna non coincide col sesso
LA SESSUALITA’ NELLA DONNA NON COINCIDE COL SESSO
di Ninnj Di Stefano Busà
La parola "intimità" non è necessariamente una parola che allude alla "pornografia". Non prelude necessariamente a un comportamento sessuale che osteggia le zone erotiche e non si esprime solamente col corpo. Vi sono impliciti tanti segnali di coppia, di relazioni, di segreti condivisi, di complicità, di sentimenti e di tenerezze che prolungano l'intimità, la manifestano su un piano alto di rapporti interpersonali, di condivisione ponendola su un terreno di grande incontro sentimentale con l'altro. Il nostro "essere" ha un grande bisogno di intimità, ma allo stesso tempo non è adatto a convogliarla nella maniera giusta e nella forma che gli dà soddisfazione spirituale, perché l'intimità di relazione altro non è che l'aderenza di noi stessi a un "corpus" in cui proiettarsi, dialogare con la parte più intima e profonda soprattutto della nostra spiritualità, nella priorità di una visione che è meno svilita e più elevata possibile. Dal momento che cerchiamo di entrare in contatto con la vita segreta o interiore di un altro essere umano, noi apriamo una porta che ci fa scorgere un mondo da attraversare con minor aggravio di disperazione, di solitudine, se possibile, con tutta una gamma di sentimenti da identificare, da privilegiare, da comprendere e assecondare, perché in intimità non si entra da soli...si deve necessariamente essere in due per provare le sensazioni di una concordanza affettivo-sentimentale, dove è necessario mettere in gioco tutta la nostra aspettativa, che si consolida mano a mano che si entra in sempre più intimità con l'altro/l'altra e si manifesta in una dimensione di largo respiro, in misura che ci fa sentire privilegiati in quel determinato rapporto, oppure, alieni, estranei a noi stessi, prima ancora che a lui/lei, per il motivo che non ci sentiamo perfettamente a nostrio agio. E' fuor di dubbio che vi sia una differenziazione sostanziale alla base dell'intimità fra l'uomo e la donna nel momento di relazionarsi. Una visione contrastante, di solito totalmente passionale e fisica per l'uno, quanto emotivo-sentimentale con astrazione affettivo-sessuale nell'altra. Le due entità entrano in collisione se vi è troppa disparità di vedute, di educazione, di cultura, di mentalità, perchè no, anche di sensorialità, di emozioni. Spesso le coppie vanno in crisi perché non sanno gestire ed equilibrare le forze che sono all'interno di una relazione intima. Vanno in crisi perché alla base del rapporto vige imperante per lui la prerogativa di rapportarsi al corpo, in una dominanza fisica di forte impatto, mentre per lei al fattore sessuale fisico umorale e passionale è preferibile una più morbida e accattivante intimità affettiva, un dialogo intimo non un monologo che la faccia sentire meno sola. Meno svilita appare la posizione di lei di quanto possa apparire quella di lui. Entrambe le necessità preludono poi al rapporto di coppia che deve sfociare in una visione d'insieme che si compia in modo univoco e meno traumatizzante per entrambi. E' necessario allora essere elastici e assecondare la naturalità di entrambe le posizioni per giungere a completare un atto condivisibile che porti il corpo e la mente a completare il giro d'orizzonte che li unirà in uno stretto legame di condivisione e di segreti, di complicità e di gioie possibili. Infatti bisogna conquistare giorno per giorno questi spazi ed entrarvi con le modalità che sono più adatte a stabilire un rapporto di coppia armonico. Spesso si creano malintesi sulle aspettative di intimità. L'intimità in sé implica una personalizzazione, un risvolto di premesse e di incognite che non utilizzino mai il privilegio di entrare in intimità per fini che sono estranei al rapporto di coppia. Vi sono interessi spiccioli, sentimenti di rancore, di astio magari soffocati, magari sedati momentaneamente col senno del dopo. Ma l'intimità rinvia sempre a qualcosa di interiore, di "mentale" e non può rimanere isolata dal contesto. Erroneamente si crede che l'intimità subentra quando finisce la passione. Invece pare sia esattamente il contrario. Alcuni studi di psicanalisi sulle coppie hanno dimostrato che sono più felici e armonizzate le coppie che dialogano, che si fanno le coccole, che si misurano col lato più estroso e meno intransigente della loro passione: il corpo viene dopo, viene spontaneo e più sodale un rapporto che si crea e si riformula alla luce di una intimità che non mette al primo posto solo la corporeità dell'atto sessuale. Mi pare che oggi con queste complicazioni all'ordine del giorno, con questo mondo che va in deriva, in mezzo al caos e alle temperie di una vita quotidiana difficile e implicativamente estranea al rapporto a due, vi sia più gente che inizi a capire che il corpo è fonte naturale di equilibri solo se rapportato a tutto il resto, ovvero -la poesia- dell'intimità, che accresce la speranza e la condizione di vivere serenamente e con armonia un rapporto di coppia meno stringente, meno subìto e non malato né condizionato da fattori estranei all'amore.
Id: 472 Data: 11/02/2012 09:54:02
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- Economia
Il Neolibertarismo e il Capitalismo selvaggi
IL NEOLIBERTARISMO E IL CAPITALISMO SELVAGGI HANNO PROVOCATO IL DEGRADO MORALE > > > di Ninnj Di Stefano Busà > > Ogni epoca, ogni periodo storico hanno sempre avuti i loro sommovimenti, le angustie, gli scompensi, le assenze, le deficienze, le contraddizioni di un assetto socio/economico danneggiato dalla politica locale. Si deve, però, addebitare al fenomeno del neolibertarismo sfrenato dell'ultimo secolo lo sconquasso e la rovina attuali. Non siamo molto certi di poterci salvare da un'altra guerra, questa volta terribile, subdola, inflessibile come la rovina economica del pianeta e da qui a quella catastrofica del nucleare che annienterebbe l'umanità. > Si avvertono segnali di scricchiolamento nella vecchia europa, ma anche la Grande America non è indenne da difetti di fabbricazione-strutturazione, Paesi (Cina, il continente asiatico, India) non sono estranei ad una debacle economico/finanziaria che ha conseguenze sull'intera globalizzazione. > L'impostazione data alla società di quest'ultimo secolo è stata semplicemente di ordine speculativo, commerciale. Si è voluto imporre la disciplina del lucro ad ogni costo, del lucro dentro e fuori di noi, il guadagno facile e senza remore. Si è professata un'altra religione, quella del dio . Questa rincorsa a parametri aridi di ingegneria economica ha provocato una disparità tra la parte più ricca dell'emisfero planetario e quella più povera che si è vista indebolire sempre di più le risorse economiche, fino a ridurle allo stato di "defoult". > La politica senza raziocinio, fatta all'insegna del "mordi e fuggi", di una politica poco oculata, ridotta alla parcellizazione dei suoi componenti in tanti partitini che si alleano, si slegano, si rialleano, ha provocato un disavanzo socioeconomico assat grave, perché nel farsi la lotta tra loro hanno del tutto trascurato o reso nullo l'obiettivo del "bene comune"col presupposto che a "fare" l'interesse comune, siano sempre altri da noi, ha colpito duramente la realtà esistenziale della gente facendola precipitare in un baratro. > L'eterno "mordi e fuggi" non è più consentito, si devono mettere mani a riforme strutturali, a riscrivere "costituzionalmente" molti vecchi schemi sclerotizzati e invecchiati, ormai obsoleti e tremendamente fuori dai tempi. > La vita quotidiana è diventata un vero inferno per la popolazione del pianeta, costretta a subire dittature come in Africa e medio oriente, oppure dictat sull'andamento generale e l'amministrazione dei paesi aderenti come l'Unione Europea. E' stato un errore madornale credere che l'uomo "novus", l'uomo del Terzo Millennio potesse risolvere le difficoltà accantonando le ricchezze del talento, dell'etica, le virtù morali di un adempimento della coscienza e del cuore. L'uomo moderno imbevuto di superbia e di spocchia ha visto bene di superare se stesso nell'accumulo forsennato di denaro, spostando (letteralmente) la ricchezza da una parte all'altra del pianeta. Così aprire la strada agli speculatori di turno che hanno sostituito alle regole e alla decenza, è stato un gioco da ragazzi, ampi spazi di delinquenza e criminalità finanziaria si sono annidati nel sistema economico-finanziario delle Grandi Banche, che da principio, con prodotti tossici hanno invaso le multinazionali e illuso la povera gente, depauperando sostanze e ricchezza ai vari Stati e ai vari livelli delle popolazioni di qualsiasi continente. Ora, incuranti del danno, sono alla rincorsa di altro denaro liquido, quasi come una droga, la corsa è per accaparrarsi finanze e potere, ma impoverendo le risorse mondiali a rischiare grosso sono soprattutto molte democrazie e molti governi dell'eurozona. > I disordini possono avvenire in qualunque momento. E' di fresca memoria la rivoluzione francese, le violenze sanguinarie e i morti in Nord Africa. Ora tutti i nodi vengono al pettine. Non si può più scherzare col fuoco, il fuoco brucia l'esistenza e annienta il senso di coscienza collettivo che ad un certo momento si ribella e va nelle piazze. Si spera che ciò non avvenga mai, ma i presupposti di lasciar mettere tasse su tasse, farsi comandare da una pletora di tecnocrati a Bruxelles, che non hanno mai lavorato nella loro vita, ma hanno turlupinato il popolo, guadagnando cifre iperboliche fa andare in bestia la povera gente costretta a subire angherie e tasse e andare in miseria. Ci pensino lor signori, riflettano...si compenetrino sulle necessità dei loro elettori. La vita non è fatta solo di materialità. Alla vita hanno diritto tutti, così come alla libertà e la loro spregiudicatezza sta funestando tutta l'Europa, a cominciare dalla Grecia, Spagna Portogallo, Irlanda. Italia, ma ora rischiano anche la Germania, la Francia che fino a ieri hanno capitanato lo splendore dei loro domini politici, stanno per scivolare dai loro piedistalli di potere. La corsa è al ribasso, verso il fallimento dell'intero sistema globalizzato,e dell'intero pianeta a causa del tragico equivoco in cui versa la finanza selvaggia di un Capitalismo senza regole, fatto a immagine di un dio minore, a cui siamo votati e di cui siamo responsabili, al quale sono state rivolte tutte le capacità, le aspirazioni, le incognite di una società in declino che al ha finalizzato tutta la categoria della coscienza e dell'anima, sprofondando nella vanagloria e nel paradosso di un arricchimento senza regole morali, né remore, tutto conchiuso nel bisogno di avere più che di dare, creare, generare per il bene comune, di cui si è perso perfino la traccia..
Id: 471 Data: 11/02/2012 09:47:29
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- Letteratura
Ventunesima ediz. Premio TULLIOLA- R. FILIPPELLI
PREMIO INTERNAZIONALE TULLIOLA 2012 Premio di Poesia Renato Filippelli XXI EDIZIONE
L’associazione culturale “TULLIOLA”, Con il patrocinio del Presidente del Senato bandisce il concorso della XXI edizione del premio “Tulliola” .
Regolamento: Il Premio di Poesia porterà il nome del Poeta Renato Filippelli che per diciannove anni l’ha presieduto, contribuendo alla sua fama e al suo prestigio. Specificamente all’ opera del Poeta è dedicata la seconda sezione del Premio. L’associazione Tulliola ha, inoltre, istituzionalizzato un Riconoscimenti d’Onore da consegnare ad indiscusse Personalità impegnate nella lotta alle mafie ed a Personalità del mondo della cultura e della società civile. Il Premio comprende 5 sezioni: 1) Premio di Poesia Renato Filippelli: Poesia edita (inviare 10 volumi ); 2) Opere edite o inedite che comprendono monografia, saggio o articolo giornalistico dedicati alla Poesia di Renato Filippelli (8 copie); 3) Romanzo edito (inviare 8 volumi ) 4) Saggistica edita (inviare 8 volumi ); Non è richiesta tassa di lettura per nessuna delle sezioni.
5)Premi d’Onore : a)Medaglia del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; b) Medaglia del Presidente del Senato, Renato Schifani; c) Medaglia del Presidente della Camera, Gianfranco Fini; d) Due preziose incisioni del Maestro Gerardo De Meo verranno consegnate a personalità che hanno dedicato la loro vita alla lotta alle mafie, alla diffusione della cultura o all’ impegno nel recupero dalla tossicodipendenza.
Giurie.
Giuria della sezione Poesia edita o monografia, saggio o articolo giornalistico dedicato a Renato Filippeli .
Giuria: Presidente: Ugo Piscopo; Segretario: Mario Rizzi;
Componenti: Mimma Formicola, Marina Argenziano, Silvano Cuciniello, Franco De Luca, Erasmo Magliozzi, Mario Rizzi, Manfredo Di Biasio. Giuria sezione Saggistica: Presidente: Mary Attento; Segretario: Barbara Vellucci; Componenti: Maria Pia Selvaggio, Manfredo Di Biasio, Giuseppe Napolitano, Giuseppe De Nitto, Tommaso Pisanti.
Giuria sezione Romanzo : Presidente: Ninnj Di Stefano Busà; Segretario: Barbara Vellucci Componenti: Antonio Spagnuolo, Michele Graziosetto Alessandro Petruccelli, Mario Rizzi, Manfredo Di Biasio,Domenico Pimpinella. Il giudizio della Commissione è insindacabile e le opere non saranno restituite. Carmen Moscariello è la presidente e fondatrice del Premio; Presidente onorario Erasmo Magliozzi. Le opere dovranno pervenire entro e non oltre il 16 maggio 2012 presso Carmen Moscariello, Via Paone S.Remigio, 04023 Formia -LT- . All'interno di ogni singolo libro o articolo giornalistico inviato devono essere indicati tutti i dati del partecipante, compreso numero telefonico o indirizzo mail. Si prega di allegare anche una dichiarazione scritta e firmata con cui si autorizza la pubblicazione sul sito del proprio nome in caso di vincita o di segnalazione. Per informazioni: tel. 320/8597966 mail: carmen.moscariello@yahoo.it barbara.vellucci@libero.it ; Ai vincitori andrà un’opera d’arte degli artisti : Salvatore Bartolomeo, Giuseppe Supino, Raffaella Fuscello, Antonio Scotto, Franco De Luca , Antonio Conte, Celestino Casaburi e Francesco Paolo Stravato. . Per aver diritto al premio bisogna essere presenti alla cerimonia di premiazione. Tutti coloro che non saranno presenti non potranno ritirare il premio successivamente; I vincitori saranno avvertiti telefonicamente, o con lettera, o tramite mail . Dovranno dare conferma della loro presenza alla cerimonia di premiazione; La premiazione si avrà a fine ottobre 2012 nella splendida cornice del Castello Miramare di Formia;. Il Premio non ha contributi di enti pubblici, né privati; tutti i membri della Giuria operano senza compenso alcuno; Il numero dei premiati varia ogni anno, nel precedente concorso sono stati premiati circa 40 autori (Il Premio ha sempre avuto una funzione di incontro felice tra autori e artisti provenienti da tutta l’Italia). Ogni informazione e tutti gli aggiornamenti saranno prontamente pubblicati anche sul sito del premio http://digilander.libero.it/premiotulliola/ La presidente del Premio Carmen Moscariello
Id: 470 Data: 11/02/2012 08:31:37
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