Il brodo dell’umano
si è a lungo mischiato
col mio sangue d’animale:
è tutto il corredo che
nell’umano mi plasmò plebea
Il chiasso suo babelico
la miseria del mio ricetto
ha risparmiato mai
Tingendo di affinità improbabili
di strane somiglianze
e negazioni algebriche
ha artigliato coi visceri
le anse al mio cervello
Le correnti alternate degli affetti
troppo prossime e scontate
sotto l’inquietudine dei piedi
allungano ambulacri di silenzio
aizzando la furia della percorrenza
dietro il suono fuggitivo della vita
Essere mondo e non avere artigli
Essere mondo come cosa che respiri
Essere mondo come cosa che si nutre
Essere mondo come ciò che diletta
e meno attrista
Esserlo … esserlo
sino a non sapermi discernere
se non là dove il dolore
ghermisce aderenze incaute
provoca strappi proditori
Ora il mondo da fuori
mi s’è rappreso in vecchia carne
adusa alla fitta cadenza degli strazi …
Ora so come
farmi male da sola
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