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Spaesamento
Sulle rive della Sprea una piccola s’è persa bianca di capelli antica ragazza. Arcaica e così Bianca che senza riconoscersi si guarda riflessa dai lumi freschi di globalizzazione delle vetrine gotiche. “Che fa lei qui simile a una formica stanca che cammina a vuoto da sette lunghi dì come se le tornasse nuovo aver lasciato il suo covo e quel vaso a uovo di cotto dove a stento alleva una «begonia discolor» laggiù sul calcagno dell’Isola del Lapislazzuli mar? Nel cuore della Prussia si aggira un po’ perplessa? Da questa babilonia di segni e di sentori crucchi di tracce dei vecchi orrori è sazia e intormentita?”- chiede a lei la faccia mia stranita Scoccano teutoniche dal campanile a cuspide maiolicato in verde le Stunden/Uhr sopra la Brandenburger Tor Stunden con punta d’or! Teutonica mente affiggono a un cielo plumbeo la bronzea quadriga della Valchiria alata: una Nike grexata E ancora bronzi bronzi e falsi ori - che mezzo mondo pianse - a incombere tra il verde rabbuiato su parchi e su giardini curati con germanico ripicco Ma alla formica in tour i formicai stranieri con vezzi dietro ai vetri di cortine schiuse a cuore su vasi di finti narcisi non destano stupore Tranne l’ossequio per le simmetrie geometriche sono simili al suo che rosso-fiamma ostenta invece una begonia sulla rozza cornice del balcone dove i suoi tramonti accesi spiando va infervorata e sola Da lì - ecco la nostalgia!- almeno col maestrale vola e non scrive cilecca qualche sua parola.
Id: 63139 Data: 11/05/2021 11:03:53
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L’altra metà dell’uomo
I Gineceo … come ipogeo La storia era partita senza scorte - su per giù così ben prima di Saffo - ché per allora si moveva vuota d’ogni scelta muliebre per sentenza d’ogni nozione di piglio controverso d’ogni scimmia di dottrina maschia in voce bianca e di gentile aspetto … Mai che donna avesse corale udienza e il suo dire prendesse ala di precetto ma scimmia del padre in voce di falsetto sempre nella oikìa risonasse in sua eco perfetta. II Maschia la cifra … Era la polis neanche in germe sogno quando il kyros dominava dall’akros su quanto palpitava nell’oikos E già - per tacito costume - a stuolo aedi digiuni ed àuguri affamati con vili bifolchi e ignobili accattoni stanno alla stoa d’arroganti Aristoi – tediati signori di non pingui armenti – alla razzia come alla guerra avvezzi e ad altre usanze – benché regali- atroci Tutto era maschio allora per l’assetto convenuto - pur in sacro peplo involto III Appartate … Compresse in obbligate stanze donne a oblique dee imparentate – possibili olocausti – quasi nulla di pubblica evidenza – al più alveare per produzione padronale : fattrici - nutrici in turnover per regola d’età - di varie trame tessitrici - all’ira esposte di Partenos – operaie tristi di sudari e di lugubri trapassi – ministre vicarie di pargoli ed ancelle in tempi/luoghi circoscritti - regni che Giove mai diresse di persona IV Crogiuoli d’angustie Valuta – o Zeus – l’ancillare suo status: ad’Erinni ed a Moire “insorellata”! Per natura o per Fato disarmata docile manufatto a sua insaputa come s’anche la mente amputata avesse! Di sé - mutila alquanto e deprezzata - un alias per noia tesseva inopinato nelle pieghe del suo ambito privato … Ed ali nutriva - cupide di volo - in preda al capogiro di gemmare da sé un suo doppio irriducibile: cheloidi - maschio e femmina – in uno quali spiriti nel Fato perturbati V Tempo del sacro Agli Aristoi compete – grato nume – disporre il nodo del sacro col profano - interrogati gli àuguri - e imporre ai coadiuvanti sequenze e modi a norma d’uso consacrato. “Per le più ambite e molto audaci imprese l’arduo assenso divino impetrerai con somma pietas e con zelante cura - la vittima sacrale sull’altare degna dell’entità dello scongiuro.” VI Dedica Per convenuti segni - dalle schiere di pizie importune e di veggenti orbi di sgradite mogli o di sleali ancelle d’esecrate etère o d’infanti inermi - - tra l’una e l’altra parentesi lunare o del pigro corso generazionale - nel viluppo segreto e transeunte dei suoi moltiplicati equivoci – per oblazione era estratto un ente … pressoché filiale In qualità d’umano paradosso era dunque dal padre-re promosso all’appetito scosso d’un simulacro ospite d’un nume in auge … VII Guiderdone Immane prezzo e senso della prova per la vittima segnata “a sé già persa” nel santo tiaso o nel mistero assurdo Sciolto in rituali dissimulatori e assise conviviali il panico sacro a individuali spasimi intrecciato: impetrare la comune buona sorte scongiurare imminenti carestie la colpa e il suo ristoro ripartire sotto la potestà del dio: per sempre VIII Combinazioni Forse accadde - e per più volte accadde - che una famula di provata devozione - con licenza di filiale sbrego – al padre il pugno infragilito teneramente aprisse onde allentare i sigilli al sordo tempo e accelerare del suo moto la misura : sì che il gesto uscito uno e individuale si dispose nella storia a campione generale e si chiamò progresso! IX Ricorrenze in asintoto Ma ancora e fino a un “sempre” più caduco l’umano - col de iure insieme - inventa sue procedure autoassolutorie e trasmutando dimentica e deriva in … replicanti tragiche giaculatorie. Poemetto inedito.
Id: 63116 Data: 09/05/2021 12:39:49
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Fasi
un rovo esausto stringe alla gola il mio cieco filo d’acqua: annaspo sospesa sui vuoti aperti dal passaggio assiduo di nembi – messaggi d’ombra che l’obliquo spasimo dei quattro venti insieme gonfia di minacce dall’urto sguaina tagliente e repentina la luce a coltellate - non calde di sole ma di luna diaccia - in un torbido di brume nella camicia di cenere le braci primigenie - pur male alimentate - contendono alla cocciuta legge della consunzione le molliche ultime di vita annidate nei cavi del cuore accartocciato … sussulta da gatto il cuore digitante al ronzo delle mosche furenti di morte per poi tossire – in piena crisi asmatica - grumi d’alfabeti sul deserto della pagina.
Id: 63056 Data: 02/05/2021 20:46:20
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Silenzio e silenzi
Era … è … Il a été l’enfant gâté … di poeti letterati folli e anacoreti … Era questo un silenzio di maniera e d’ozio un silenzio ad orari per sit-in letterari - era discreta interruzione allo stress del partitone - era un dopo differito al parlare già gualcito. Era. A notte era fondo - era banale ma del domani nauseabondo livido onorava il capezzale d’uno stanco giramondo. È. Maligno - denso. Silenzio nero genuflesso già calcificato nel suo vizio di colmare ogni interstizio nella carne d’uno spazio ripiegato in quest’adesso che sta malato e circonflesso … Silenzio umido e ratto - clandestino sul selciato - rotola con la vedovanza della sera - scivola sulla negletta fioriera e preme sulla triste atmosfera d’una più mesta piazza dove vortica e muta e impazza per qualche secondo eterno la voce disperata dell’inferno. Prolifica. Altri silenzi piovono ansanti sulle teste dei rari passanti Alcuni aguzzi t’assaltano avversi negli angoli bui dei giorni persi - pochi dispersi in rabbiosi digiuni ne ignorano altri sotto i pleniluni. Quelli ansanti arrivano - enti vivi - col trambusto dei tripudi festivi: ma sono ricordi di giovani dolenti smanie iniziali di nuovi adolescenti … Per timore certi silenzi bisbiglianti strisciano nei cervelli dei pensanti: sono silenzi che tornano spettrali filtrando dentro da muti davanzali. Memento. Battono le suole silenzi raggelati sopra il pallore degli ammalati Attoniti silenzi sulle bocche a museruola - doline di carne derubate di parola - - silenzi rappresi sugli usci abbandonati - silenzi all’addiaccio come cani appestati - silenzi custoditi nell’animo scavato - silenzio affilato - silenzio deturpato - - silenzio a silenzi ammonticchiato - - silenzi a silenzio agglutinati in grigie pietre senza giusto pianto Silenzio d’oggi, d’ieri e l’altro ieri per stingersi straniato in mille cimiteri.
Id: 63009 Data: 28/04/2021 12:35:16
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Colpi di coda
Affiochite o semispente le luci della città interiore - prendi un cammino ignoto che sgrana frane di fuliggine. Di vele e remi il moto è messo ai ceppi forse da un Dio che non ti ama forse dal Caso che non si dichiara. Eppure l’asperità caparbia del respiro eccita tuoi obsoleti lembi a remare verso il Capolinea detestato. È questa l’umanità del Fato: vedere l’invisibile – ignorare il prevedibile e poi – forse - volere l’irrefutabile. Misterioso nel tempo e nella prassi fu impresso a caldo il Fato con cadenza irreversibile sul rigoglio di appetiti inoculati – ancora un poco vivi – adesso rastremati – che paghi a boccate d’aria stanca. Era l’alba appena quando ti raggiunse come rivelazione la Novella. Il tempo fiammante di sorprese e giochi era tuo - senza frontiere - a verde aiola: senza patemi potevi vagheggiare la tua assenza priva di spavento – come bigiare una giornata a scuola. Rassicurata: avresti avuto ali - se morta - e ogni bene mondano avresti beatamente sorvolato – così come - mentendo - la nonna ti persuadeva che volando da lassù avrebbe seguito ogni tua gioia ogni tuo verde spasso su ogni prato ogni tuo dubbio sul mondo di quaggiù. L’ingordigia e la deità di Crono chiudono in mito l’angoscia della specie. Ma tuo è il tempo faticoso della coda: non resta che andare rimanendo - a soffi e sbuffi - in folle il cardias – smaniosa in fondo a un letto - divisa in ansie contrapposte: se affrettarti alla Stazione ovvia o fingere di scucire al Fato esoso una o più soste speranzose … Come se il semplice Poi potesse con le spine dare rose. Come se quel Poi potesse aprire il chiuso pugno per donarti d’un colpo - ora! – quel bene senza nome - quello non confessato – che al Poi segretamente hai riservato - come saldo di conto – per altro scampo dalla finale sorte. Inutilmente!- come sapevi e sai.
Id: 63002 Data: 27/04/2021 12:33:37
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Un certo vento
Labbri stretti arpeggiava orizzontale insidie vaporose un certo vento Obbediente a sé - il corpo d’aria - mi trascorreva sulla pelle ottusa insistendo sulla nota dello stesso pentagramma come se altra non fossi che stoppia di campo e non qual ero: cucciola chiusa in amato altrove Ancora replica senza mutamento il querulo soffio e non importa il luogo e non importa la stagione né quante ne possa io contare in termini di solchi sul volto e sulla fronte Mi geme ancora addosso il suo compito lagnoso e m’inquina di carenza l’obliosa mia latenza d’ogni senso quando nell’animo assomiglio a quella me che non sapeva E ancora arpeggia tenere insidie vaporose quel vento puntando con la sincope al cuore del risveglio ghermendo per la gola la mia cara alienazione Lo sgomento del lutto il miele ignaro d’una volta insapora per sempre d’assenzio repentino: mitico nodo delle braccia mitica età raccolta in occhi chiusi per sempre cari - Assenti -
Id: 62924 Data: 19/04/2021 11:31:31
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Vizio di vivere da sulla gobba del tempo
Da lei qualcosa si staccò come organo esule - da lei - in cerca d’un corpo ad hoc … Lei lo inseguì - lo superò volgendosi a guardarlo … mh? Un modo di aspettarlo per fissarselo sul dorso come si fa con lo zaino all’inizio di una gita su terreno in salita Un impeto e un moto ignoti nel germe e nel destino che lei - a sorsi e morsi- inghiotte ora e per sempre come propri Pari a un’ameba ignara connivente con il tutto e con il niente dimenerà torso e appendici cucendosi a toppe e lune sensi e senso per fabbricarsi il – giusto? – tempo di esercizio atto a scovarne il mistero e le ragioni o contrarne appena il vizio
Id: 61833 Data: 18/01/2021 10:11:15
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Sintesi e dispersione
Oscillo irresoluta dal destro sul sinistro dal sinistro sul destro: non mi agguanto Oscillo sulla gobba del tempo dimagrito che già si strama lungo il vecchio ordito Oscillo sul boccheggiare del mio canto Su dissonanze vocaliche alito malferma percuoto un niente e suono come un sistro Mi va tessendo il tempo la mia assenza irride la sosia che s’è di me fissata in erma La terza intanto sospesa come bruma s’ adatta a una diafana apparenza e al presente indecidibile che sfuma Con freddezza sente e s’adegua ad una sobria danza di sillabe evocate sul muro di una stanza Io – grumo di sintesi e dispersione in atto - mi avvezzo ad esser ciò che sono: un biocco di polvere -tra spifferi – vagante sull’ammattonato Scopro dovunque esempi del niente che sarò - un niente che già – senza sapere - so.
Id: 61715 Data: 10/01/2021 20:59:41
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Lasciami respirare
Lasciami respirare! Non posso respirare coi miei tristi polmoni d’uomo nero - urlo a spavento degl’infanti Non posso respirare sotto il giogo greve del tuo ginocchio bianco! Alti sono e negletti d’ogni grazia i caseggiati - lunghe e grigie le strade dove fin da bambino già cattivo e reo mi allevo in un mondo che mi nega La scuola che ricordo è luogo bianco – bianco il suo giardino e i paffuti compagni bianchi i libri e le preghiere bianco il Gesù sulla sua croce bianca … Piccolo e nero – seme di cappero nella crepa d’un irto bianco muro … Se cresco nel magro – che farci? Ma bianchi e marmorei sui semi solidali gli emendamenti ambìti stavano e stanno anche per me – a cippo - nella Casa tutta di bianco costruita E ancora s’intrudono nel nero sogno dell’umano universale Un Cristo - bruno di cattivo legno - in un capanno più cattivo e angusto … Un ramo a croce nell’anfratto lo ritrae - caro abbraccio di buio nella fuga … Per il cattivo – un Cristo obsoleto! Mi sono fatto un nido - un nido ch’è cantiere ed orto - nel ventricolo sinistro nero di sangue antico e d’agonia nel cuore dell’uomo crocifisso Poco alla volta - da schiavo a clandestino – mi sono fatto bianco del suo buono mi son vestito del suo bello doppiandolo - modesto per me - col suono clandestino della voce col suono clandestino d’una canna maternamente allevata dalla Terra Mi sono fatto bianco delle cause buone e sono bianco complice d’orrori Sono uomo di tutti i colori di tutte le culture - di tutte le etnie … Siamo tutti un po’ neri e poveri – non tutti bianchi e ricchi - tutti un po’ bianchi e pallidi tutti un po’ rossi per le infamie venute alla coscienza … Lasciami respirare – o uomo che ti senti bianco - “esclusivamente”– Lasciami respirare! -E respira tu con me.
Id: 59014 Data: 12/06/2020 00:12:47
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Nel brodo dellumano
Il brodo dell’umano si è a lungo mischiato col mio sangue d’animale: è tutto il corredo che nell’umano mi plasmò plebea Il chiasso suo babelico la miseria del mio ricetto ha risparmiato mai Tingendo di affinità improbabili di strane somiglianze e negazioni algebriche ha artigliato coi visceri le anse al mio cervello Le correnti alternate degli affetti troppo prossime e scontate sotto l’inquietudine dei piedi allungano ambulacri di silenzio aizzando la furia della percorrenza dietro il suono fuggitivo della vita Essere mondo e non avere artigli Essere mondo come cosa che respiri Essere mondo come cosa che si nutre Essere mondo come ciò che diletta e meno attrista Esserlo … esserlo sino a non sapermi discernere se non là dove il dolore ghermisce aderenze incaute provoca strappi proditori Ora il mondo da fuori mi s’è rappreso in vecchia carne adusa alla fitta cadenza degli strazi … Ora so come farmi male da sola
Id: 54064 Data: 08/07/2019 10:27:55
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Niente!
La mia notte dimentica del giorno mi scioglie dalla vita mi emancipa in un niente … beota Crepitii d’ossa – la cieca rivolta del corpo alla ruggine dei giunti – mi scaraventano intera in un grigiore d’alba Niente da ricordare che fosse moto o fissità o spessore o indizio di speranza: notturno d’assenze … Così morta che il sogno – un segno dell’umano o simbolo di senso - non pare aver più germe o asilo in questa plaga E nulla – proprio più nulla dalla trista consecutio - come appiglio o guado o qualsivoglia seme di salute sporge all’irto giorno Irto della sua vuota luce si fa del disumanare cosmo: uomini-criceto in corsa per la dose dentro un labirinto che inghiotte la voglia di domande.
Id: 50940 Data: 19/10/2018 13:04:37
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Istruzioni al disuso
Usare un occhio solo per volta un occhio solo e l’altro a riposo – se da riserva insiste Un occhio solo strumento minimo: scatto per archivio d’impronte piatte – geografia ignara di profondità di strati d’ombre Una volta – forse pluriocchiuto – l’umano guardava nella lontananza annidarsi semi di ferali evoluzioni … … forse sbagliando vaticinava e aguzzava i denti al tempo per mordere con essi la carne del futuro nel ventre del possibile Compagno di strada il rischio aizzava vista e veglie E poi che pieno parve il morso fu il calcolo innalzato a salvaguardia dai rostri della cattiva sorte L’umano troppo umano dispose storni sui calcoli pregressi volendo a piacere ritmare i casi Smarrì in quella china il fiore suo: quella memoria occhiuta che trapassava pungendo con il tempo i nidi dello spazio e in guisa di lenzuoli li sciorinava ai venti Un occhio solo scampato per devozione delle superfici vi guizza sopra mancando d’indugiare su scabrosità di polveri: morti compiute in assenza di pianto Un occhio solo aliterà dal suo cielo sulle cisti di sequele viscerose e forse abbasserà la palpebra per mingere una lacrima meccanica su scagliosi viraggi Un occhio solo e ogni alone scabroso vagherà misconosciuto dispersi l’inquietudine e il sospetto da cui poteva ungulata nascere l’idea … Anche l’ombra d’un’ombra dissipata
Id: 49756 Data: 17/07/2018 19:43:41
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Prima della notte
chiuso dentro una tastiera della mia mite indiscrezione a patire in me per questo mare di sé m’intride e m’avvelena l’ebbrezza che asseconda il moto sopra il ciglio dell’onda dentro l’occhio dell’istante
Id: 48445 Data: 13/04/2018 17:13:57
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Le accadde
Di scivolare le accadde - dal ciglio aperto incauta al giorno … di scivolare ruzzando come per gioco dal riso della melagrana nel cosmo cifrato dell’Altro E ivi - sorbita in un sonno di gemma l’ebbrezza dei cembali – svegliarsi alterata in ignoto mattino Così la già imberbe da sempre con intento di ladra fidente il suo ingresso pagava fingendosi mutila nel munito universo del demiurgo sovrano creduto di genio celeste Là su coste e bastioni erano rune dorate e trionfi di roccia ad annuire alla ratio di barbe rituali e di verghe brandite a secondare il sapere assestato sull’orma negata dell’antico sciamano Con sibili d’erbe e fole di vento il volere regale del Padre era sceso nei generanti e per bocca di madri s’alzava dall’ancestrale segreto per sempre sui nati: doversi il calore attenuare del sole dentro l’oikia di fango e farsi dell’ombra accorta estensione sulla pupilla allungata a bagnar di domande - femminea! - le cose vietate Dalle stanze opache dell’Orco ai propilei ariosi d’Olimpo alitando col passo il suo peplo discende alla schietta loquela di carde e telai per ordire come schiava come Pitia e padrona Col dorso nel vento sul lido di calce nei guazzi alla roggia ancora amministra con ruvide essenze il candeggio: perché tutta sia liscia sia dolce sia buona sia vera per l‘uomo sul talamo la solita sera Issato/abissato il sole più di quanti astri si struggano nei cieli impunemente - di te poche ha cincischiato postille la sua illetterata cadenza come per ignobile erba e di tuoi frutti plebei in quanto “semi imperfetti” nemmeno ha tenuto conteggio Dal pugno sublime del Padre il Tempo declina/dipana - fu detto e non si desiste Al Padre ancora s’avvolge e rivolge squisiti alfabeti - come da specchio interposto a figura che divino decreto esige si pavoneggi … E forse un’ombra soltanto accenna di te - se fosti al dio cara se col lutto affliggesti il tuo re se d’empietà moristi pentita o se propiziasti immolata alla tua pugnace genia l’universo trionfo della sua liturgia
Id: 47941 Data: 16/03/2018 10:17:17
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Quando ossidi e sali
Quando ossidi e sali di noi muto sedimento sarannno indescrivibile miscuglio quel niente che fu nostro - che so? - non l’anima non l’audacia né il pensiero – - non il sogno non l’intelletto né il volere - - neppure il torto o l’idiozia - quel niente che da impeto morì movendo l’aria - quel niente che si finse asta di dispersi vessilli nella bruma – quel niente che tormentò quel “forse tutto” anarchico - non sarà neppure macchia Sarà non mio il silenzio a mescersi nel non tuo con tutti i silenzi liberati a confondersi nell’unico sbadiglio che abolisce dell’umano tutte le misure tutte le norme e le cronologie Tu - glabro animale - il cui banale esistere nutri scaldando il sogno di tua divina essenza assoluta e primigenia – pensa che la tua statura ha assai brevi radici poco sotto la scorza della terra: dipendi dalle sue pendici dalle piante e dagli insetti che tanto poco benedici … La tua è ancora Humanitas tutta da fondare -tolta la vanitas - sulle micro-particelle assemblate a formare l’animale Questione che non puoi oscurare che forse di nuovo ti potrà nobilitare se - volontariamente - escremi per il fesso la sghemba corona di re dell’universo
Id: 46859 Data: 28/01/2018 21:49:15
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Che specie damore?
Sono un amore provvisorio? Un amore da riempirci i vuoti tempi dell’indugio – un amore da sotterfugio? Sono un amore clandestino – un amore meschino un amore che non cresce un amore che non riesce a spiccare il volo sono un amore da dopo lavoro ? Sono un amore che non splende uno che l’impazienza non accende? Sono un amore che non scotta – uno di quelli per cui non si lotta – un amore limitato e stanziale senza le ruote e senza le ali? Sono un amore che non invischia – uno di quelli per cui non si rischia ? Dunque amore che non nuoce che in capitolo non ha voce? Sono un amore da gesuita – un amore senza fatica Ecco! Un amore razionale? Un amore sono … serale ! Da consumarsi in tempi di noia – un amore in salamoia! Sono un amore senza parole senza sollazzi né capriole Un amore non firmato Un amore approssimato Un amore da strade deserte Un amore a carte coperte Sono un amore ad ore fisse senza fervore e senza promesse Sono un amore senza storia – senza speranza e senza memoria Sono amore provvisorio che designi per ciò che non ha – nessun nome – nessun futuro – valore alcuno – per ora e qua.
Id: 46725 Data: 22/01/2018 13:14:09
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...Tra la perduta gente...
...Tra la perduta gente … Un annuncio inatteso rivela ciò che sapevamo: esserci avelli già chiusi nel cimiteri del cuore. Pianto riso rabbia ed altri miasmi non sono pioggia che sa che può convogliare le ultime scaglie dei conflitti che fingevano mimare le ragioni della vita nel suo nulla Perché l’accaduto - marcito col sangue insorto nei precordi - ne confermò per sempre sul labbro di Caina l’esistenza Il Tutto acefalo non rettifica e ogni traccia impasta nel cavo dell’oblio … Ignoti e confusi saranno in quella pasta come altro - eterni - i nostri cimiteri
Id: 46219 Data: 04/01/2018 23:48:20
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I dopo mai più
Piccole e immani … Guerre! Non conta chi vince - non conta chi perde Propositi spettrali risalgono in flati per le spole impure che ordiscono il futuro Ancora e ancora mi scontro coi “mai più” gridati in ginocchio sopra i cimiteri Ogni fine sarà piuttosto tregua! Conterà chi di quel buio retaggio sa giovarsi presentandosi alla conta dei disastri - destra sul cuore afflitto per l’attimo di lutto Sotto pelle discretamente calcola gli avanzi come esiti d’imprevedibile accidente da cui dice di prendere istruzioni e già se ne ascrive il merito Prospera come fungo il suo appetito sulle necessarie alterazioni delle materie … organiche Per diletto la pancia tutta gli trema ed il pensiero dilagando esulta Ma già misura - come per eco - il rammarico di non aver abbastanza tempo e corpo per trasformare la privata abbondanza … … in ciò … che persino la bestia a sé nasconde
Id: 43895 Data: 22/08/2017 23:25:19
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Fiato
Un fiato. Neanche. Solo un’emissione che si vorrebbe grido forse strido ma meglio trillo esile a schizzare fresco sulla verticale per esistere e come inno iniziale annunziarsi col primato spirituale di pneuma sopra l’ente … che si spalma carneo sul pavimento lunatico del frenulo dove essa/lei – la lingua – biascicando impara numinosi idiomi mentre convoglia viscerali minacce fuori dalla bocca e degli sfinteri intorno la radicalità feroce. Già un dittongo appella intero un codice che risuona in Olimpo e in Antiaverno e comanda per fili di folgori e di nembi un tendersi un modularsi di labbra che forte sui denti e su lingua con tenui lambimenti impatti perché il mondo entri bagnato di saliva per la bocca e s’affacci dai fessi sensoriali per vedersi ritratto nella mente umana in guisa d’anima. È cominciato così l’immane veritiero inganno per cui - trafficando ciascuno nel chiuso poroso della mente - giura e spergiura di maneggiare il fuori e articolando voci e torpidi grafemi il volano di tutto il marchingegno aziona. Crede. Dice lui che proprio così funziona. Mente! E però così ragiona: che se dici “carro” tutto intero il carro passa per tua bocca! Celiando un poco fa balenare – condizionato - il vero. E in tale curioso rimpiattino s’arrabattano a vivere i bipedi animali prendendo come lucciole le più cieche lanterne per campare la sorte sapendo già della condanna a morte .
Id: 40737 Data: 29/12/2016 00:25:01
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Nuvole veneziane 2
N u ve v o ne l e zia ne Se nuvole !– Se nuvole non rosa né vagabonde né briose in crinolina Non-Venezia sarebbe questa che vedo - sogno disteso dentro ad uno specchio. Se nuvole !- Se stupide nuvole tinte di grigio per lo stare inchiodate a un ovvio campanile e se i colori della sua geometria avessero dimenticato l’alone della storia – sarebbe come l’oggi - scialbo – l’oggetto del mio sguardo. Nuvole! – Se vascelli per sogni a perdere allora un morto reperto d’impossibile memoria sarebbe l’oggetto del fiammeggiante desiderio - né sarebbero questi i rosa-giorni prediletti di mie rosa-vacanze con nuvole - a Venezia! Nuvole! – Puledre manse sono le nuvole del dolce Canaletto! Soffici cavalcature per sogni ed avventure che sfilano tra la mia fronte e l’aria salsa a filo di Laguna densa che pigra in mille fogge frange un’incredibile luna.
Id: 35077 Data: 21/11/2015 20:43:01
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Primavera avvelenata
D’un colpo ha involto il vento nuvolaglie grondanti oltre l’imbronciata azzurrità dei glabri monti E fradicia di pioggia esalando la piana i velenosi frutti di brigantesche regalie come un corpo ha respirato di nuovo vivo all’uscita – presunta - da lunga malattia. Di miasmi ignoti bollicchiano le pozze al sole sciorinando manti d’iridescente aspetto come se di fumi d’untumi d’idrocarburi arsi mai si fossero intinti. Un adiposo verde germoglia l’erba nelle incolte zolle dei suburbi che campagna erano una volta e spande intorno riprendendo d’imperio signoria sopra civilissime vergogne con incredibili grovigli di vilucchi e di gigli. Cerca a ritroso il tempo ch’era suo lo spaesato cipiglio del viandante antico e allunga il passo aizzato da un baffo di memoria. D’aneto e rosmarino cerca – chi sa? –sentori. Ombre cerca di naturali ombrelli forse a ingentilire aperti ciò che sguaiatamente spiattella il sole all’occhio al naso inoltra e al cielo. Frange senza tregua – rozzamente - sopra l’assenza di frulli e di ronzii – già musica d’arca forse incagliata forse persa tra pieghe e piaghe di negletti dirupi - l’insensato trantran dell’odierna ferramenta.
Id: 34927 Data: 10/11/2015 20:04:53
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Inaffidabile
Confidammo al domani l’involto degli auspici con la cauzione algebrica allegata Il domani diede forfait Si presentò istante privo di credenziali con la pretesa di durare un oggi intero di essere nuovo e di non riconoscere pendenze di non fare appelli né segnare assenze Gli inalberammo contro le nostre aspettative Disse “Fortuna vostra d’aver varcato vivi la mia bocca”
Id: 32465 Data: 14/05/2015 12:46:11
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Nu vo le Nu vo le #poesie poeti
N u N u vo v o l e l e Se – nuvole !– non ci fossero le nuvole il cielo sarebbe una maledizione Nuvole! – navi per sogni – le nuvole Senza sogni la vita sarebbe una condanna Nuvole! – sono puledre le nuvole Soffici cavalcature per celesti avventure Nuvole! – gondole senza gondoliere Dio come un doge – promette festa da Dio Nuvole! – crisantemi di cielo Ci festeggia morti il Dio-Doge in Bucintoro Nuvole! – chi mai racconterà di nuvole? Di nuvole a racemo - di nuvole olenti? Alla festa del Doge superno?
Id: 24928 Data: 21/03/2014 10:33:39
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Dei poeti e del poetare
Una folla di io sono i poeti.
Una folla sparsa e persa
dentro chiuse stanze
su spianate di carte
su telecanali
a bordo di velieri
nominali
di virtuali scaffali di doleances
di minimali gioie
di virtuose paranoie.
Assiepati stanno nelle antologie
come invenduti pomi
nelle ceste dei fruttaioli
di periferia
scandendo stagioni
scoprendo meteopatie verbali
proponendo meteo terapie
in rima e in libera caduta.
Ivi la poesia – un fumo
o forse meno – traversa i versi
con un vago sentore … di scansia.
Una folla di io sono i poeti.
Ciascuno è solo - per costituzione -
dentro la vescica del suo Sé
a gestire il demone del canto
a grufolare tra l’erba delle parole/pianto
a ruminare sulle pampas letterarie
dove Natura Bella
e umanità meschine
fioriscono in pascolo ferace.
Questi gli alimenti da metabolizzare
con i fluenti enzimi
del desiderio e della frustrazione
di modo che il Sé - nato piccino -
prenda statura da Dio
e per modestia
prenda nome di io–
magari sottinteso nella persona
del verbo contemplante
che funge da occhio universale.
Un io– quello dei poeti –
dallo sguardo ipermetrope
e molti libreschi sensi
molto cuore e altri
debordanti sentimenti.
E piangono i poeti
la loro sublime solitudine
i loro oltretombali amori
i loro feroci e denegati odi.
Spiano quel tu che a loro manca.
E – quando non usabile
a guisa sgabello –
lo stringono – in effigie –
nel cerchio
della loro flebile lucerna.
Il/la poeta! Dopo aver
sperimentato e pianto
ogni specie – consentita! –
di emozione …
Dopo molte dichiarate
antalgiche passioni
e ogni conclamata smania -
regolamentare! –
avendo percorso clivi
di personale scoramento
e averli estesi a modelli universali
di catasto e di visura …
Dopo aver dipinto in fregi neri -
per lungo per largo e per traverso -
le più colorate sensazioni –
raccolte in forza
della specifica entratura
dell’Io poetico
nei misteri della Natura
e nell’ascesi della Psiché -
lecito è domandarsi
"Ma perché
risulta così inusuale
che l’Ego esistenziale
del Poeta
si scopra e si dichiari –
magari in forma antipoetica -
parcella solidale e sindacante
di quel noi meno formale –
senza di cui bene ci campa
alcuna gente -
ma senza di cui si è … niente?
Id: 22868 Data: 27/10/2013 19:25:55
*
Un pugno sullo stomaco
Pugno sullo stomaco
dalle baraccopoli pugliesi:
schiavitù clandestina
en plaine aire e TV.
Non la prima volta – a tavola.
Metabolizzato quello di Rosarno
e altri – innumerevoli –
cui non era mancata – inorridita -
l’ emozione.
Non c’è limite allo sdegno.
Scivolano
nella non esistenza – tanti.
Nella non voce -
corpi
a nereggiare – esposti
sulle croci multipiani -
a filare rivolte senza colonnelli
dentro gli avelli
di Dite
in un silenzio che rimbomba –
spettrale - nelle orecchie
e gemma –
come di bimbi abbandonati -
il terribile pianto.
E cade - privilegio sul mio piatto.
Briciola, solo briciola.
Così poco perspicua - eppure già
un’Era.
Un’eternità minimale
sprigionata dalla bocca dei morti
come dente
esumato - d’oro !-
da spendere al monte di pietà
in cambio di un giorno di vantaggio
alla durata del viaggio
per la vecchia/bambina
casualmente risparmiata
alle ecatombi antiche.
Se lo dispiega con avara solerzia
il suo giorno buono – il suo giorno differito -
per non straziarlo con la fretta
e la cresciuta fame di
tempo.
E gioca – come sua madre dopo la messa -
coi bicchi - sul sagrato.
Gioca – quasi fosse innocente
la vecchia –
con l’alfabeto nutrito d’opulenza
nell’orto primigenio
della scuola-nutrice di camice nere.
Al servizio d’un suo mondo immaginario -
gioca.
e si foggia un’eternità pigmea
nell’isola felice del <non luogo>
tra i feroci approdi
della latrina globale
postmoderna postindustriale
borsa valori planetaria del capitale finanziario.
Non vende commozioni - la vecchia
e non le gioca
in borsa.
Neppure piange coi piangenti
che sono merce da giornali.
Vorrebbe strappare
le parole alla sapienza
dei morti
gettarla in pasto alla svegliata fame
dei vivi
per alimentare sull’istante i pistoni cerebrali
e la lucida impazienza
dei miocardio.
Ah! – pensa
eludendo l’occhio degli specchi –
ah, potessi io pure salmodiare
almeno uno - uno solo! – un
“Rimorso per qualsiasi trapasso”!
Sulla cima d’Olimpo trasmigrerei
di colpo con Saffo - la lirica –
beata fra gli Aedi del ventesimo.
Ma della vecchia/bambina
il verso non vola
così alto
da fabbricar con le parole
un cielo intero!
Per questo – modestia a parte –
lei si pone
tra coloro che mancano di stella
che - giocando per vizio –
vanno …
Perciò vanno
strane zattere nel flusso di rogge verbali
disusate …
Vanno
in lento tracimare dentro
acquitrini di colore … oscuro.
Id: 21136 Data: 29/06/2013 23:42:07
*
Erma da TRA FORI DI SENSO
Erma
Come un’erma bifronte
fai già parte del mito
- de materializzato
E qui dove io sto – qui tu compari
senza restare – qui - dove a dirotto piove
Qui il mare è solo un fiume grigio
Su questa traccia oppressa dalle nuvole
-simili a scarabocchi mobili-
uccelli di palude cercano il vento
tra i rari singulti della pioggia
Taluni miei pensieri
e certe immagini tue
si tengono per mano
senza volersi bene
Attraversano la mia abitudine
-oggi così sapida di fango-
da passeggeri ordinari
serrati
nei loro vestimenti scoloriti
per l’uso e l’abuso della mala ora
Scontano in spettrale pacatezza
la condanna per frode alla vita
Né fremono ai soprassalti d’acqua
sulla capote dell’auto parcheggiata
Come un guscio questa mi contiene
e chiude anche me nel qui stralunato
- rastremato in una quiete artificiale.
Me che niente aspetto - se non che spiova
e si plachi - nella ripresa del fare -
questa proiezione di ghiribizzi
e irragionevoli memorie di te -
che si spiaccicano e si deformano
fluendo - con le gocce - sul parabrise.
E qui
- davanti al mio sguardo erratico -
raccolte in rivi gonfi di mestizia
scivolano
come se l’acqua infetta
dei ricordi potesse tramutarsi
in pianto irrefrenabile e puro
Un gelido umidore trapassa
con uno scatto - invece - le lamiere …
Ma io sto già
dove il sereno irrompe.
Id: 19892 Data: 05/04/2013 23:47:05
*
Seduzione
Non l'agile piedino dentro il suo stivaletto mi stupì. Non la sua figura di fanciullo invecchiato mi sedusse. Nego che la svelta eleganza del suo passo abbia nutrito la mia ansia. Neppure mi catturò la bocca - bocca ermetica di luna strabica e remota - bocca di pesca e di ciliegia - di forti denti offerti al buon sorriso con la chiesuola degli incisivi aperta. Mi sedusse ciò che non aveva - il suo deserto.
Id: 18697 Data: 17/01/2013 19:02:15
*
Asilo
Voglio posare sul tuo petto il capo perché non si dà più ospite contrada. E l’ombra mia più fresca è quella che i frastagli costella, quietamente, delle tue socchiuse ciglia, chine sopra la mia ingarbugliata fronte. Voglio che l’oro delle tue pupille di luce mi rivesta, e il tuo sorriso le mie albe riscaldi, e pur di stelle gli spauriti miei tramonti accenda. Al ritmo mi avvierò del tuo respiro verso l’abisso d’un serale sonno rorido di baci, le tue mani amiche teneramente discorsive con le mie palme sbigottite e manse, alle quali mostrando vai la saggia via del sereno riposo, che già torna, mirabilmente, ad essere fanciullo. E scandisci per esso, col pulsare segreto del tuo cuore, melopée soavi di tregua e possibili accordi fra i guasti del mio vivere frusto. Intanto, come pane fresco di forno, esala la tua pelle un che di buono, qualcosa d’essenziale: un nutrimento che sostiene il mio, forse incerto, passo verso la soglia del non – luogo, dove l’andare mio si siede e aspetta …
Id: 15145 Data: 11/06/2012 20:37:48
*
Cagliari
Quasi furtiva la naves'è appena staccata dal molo e Cagliari bella -che ancora quest'ultimo sole indora - si raccoglie -piccola e civettuola - nei suoi declivi di madreperla - nel seno d'un mare che sorride con labbra di smeraldo e mostra - a tratti - i denti candidi di schiuma.
Id: 15131 Data: 10/06/2012 20:43:38
*
Invettiva da insetto
Voi–circuiti senza volto - speziali deltempo a quote - afrazioni e a percentuali - anonimi! Voi – quelliche il tempo d’ altrui fatica cambiate innome di valuta! Voi - come se foste- e non siete! - plenipotenziaridi un dio assente – bieco! Voi ciobbligate – interdetti altri pertugi – a scandirefiati tra cieche scansioni dentro lebolle delle vostre pipe. Comenugoli arrendevoli di bruti c’incalzate- voi! - a frequentare l’insistenzaottusa d’ irrefrenabili <deflagrazioni a catena> - quali peticatabolici del <naturale> - congenitocome i nubifragi in un clima - decisivo - voi dite – metabolismo deimercati. Nel silenziosinistro dei vicoli ciechi sono ventitranquilli e cruciali a spogliarcidi strati di pelle! Come sedavvero un Chi Autarchico li imponesse come solidi “ubi consistam” daappuntare con aghi di fuoco alle carnid’ improbabili anime trafitte e inchiodate per l’eternità auna storia di niente!
Id: 14303 Data: 24/04/2012 19:24:04
*
No!
Non voglio conoscere l'alba che spara dai morti cantieri sui capannelli inquieti il suo livido sangue.
Non voglio vederla strappare gli ancora dubbiosi mattini alle donne tinte di buio per pigiarle disperse dentro le case nemiche.
Non voglio vederla già vecchia sopra il mio naturale declino ingorda di destini futuri su cui mi dorrebbe scoprire avere inutilmente vegliato
Voglio che s'accenda di rosso e maturi - puntando allo Zenit - un suo barlume di senso cresciuto tra pancia e cervello di umane genti fraterne.
O genti che trascinate il fardello dei vostri più scaltri padroni, gettatelo tutti nel fosso. Accendete il vostro libero giorno! E - tutti concordi - tingetelo allegramente di luce e di rosso!
Id: 13775 Data: 26/03/2012 21:41:31
*
Donne di Sardegna
DONNE DI SARDEGNA 1 Noi figlie dei graniti e dei frutici arsi scaturiti da forre, noi vive propaggini di vento, progenie di piccoli ciclopi disseminati a guardia di sperdute greggi sugli apici dei greppi. Noi, di libero criterio spoliate vergini, impaludate in scialli grevi come la pena dei trapassi. Noi destinate alla morte precoce dei sensi, al silenzio della libido, designate a vestire sopra ancor fervide carni il dolore e il compianto di tutti. Noi, temibili custodi d'impietose immolazioni, eppure d'ogni eroismo destituite e d'ogni potestà sacrale. Intanto nell'atterrito silenzio d'uomini solitamente pugnaci, innominata investitura ci fa ministre dei misteri oscuri del nascere e del decedere. E anche allora noi, cuore fermo e alacri atti essenziali, convogliamo al senso la voce liberatrice del gaudio e del corrotto. 2 Io, una di voi, ho mantecato e cotto il “pane nostru sin' e sale”, lo “ zichi”, e il “pane salìu” ho cotto del Campidano e a milioni le “spianate” delle cento città montane. Le mie con le vostre mani, officina d'alimenti essenziali e di succedanei cibi nelle frequenti carestie.
Io con voi donne dei villaggi alti, gli uomini dietro le bestie, spersi sui monti o vaganti fra le stoppie ardenti delle piane, noi a scardassare ispide lane, a filare e a tingere, noi, a disporre orditi e trame per dar voce alle spole dei silenti telai:noi sempre, tessile industria di sussistenza. E ancora con voi, sotto ingrugniti cieli autunnali, a interrare germogli di patate, genuflesse nel fango dei terrazzamenti contesi alle fiumare,sasso dopo sasso. Io voi,donne delle terre basse, gialle di malaria e turgide di avanzate gravidanze, a fabbricar mattoni di fango e fieno lungo gli argini degli acquitrini e al tramonto iniziar tresconi al ritmo delle febbri plasmodiche. Io-voi nate senza privilegi, infanti destinate a “s'accordu”, già molli d'acqua e intente a sciacquare panni presso i salti petrosi delle gore dandoci dentro a gola spiegata per avversare l'uggia dello sgobbo. E noialtre a guadare i torrenti, a svellere giunchi negli anfratti: così che germinassero mille e una foggia di canestri indispensabili e aggraziati i magri tempi della ricreazione. Eccoci raccoglitrici fin dal post-giurassico esplorare per lungo e per largo le brughiere: messi aulenti d'erbe, di bacche, di frutti medicamentosi e fiori... Persino fiori dagli speziati stami, dal nettare opulento. Ma a noi, chimiche e farmacologhe senza attestazioni, a noi che per secoli abbiamo amministrato aborti con succhi di prezzemolo e cicuta, a noi in combutta con Persefone e con Ade, - e perciò gente da roghi - a noi, in familiarità col sangue e con gli umori suoi, coi sintomi del corpo e coi segni degli effetti, a noi, mortali sorelle di Demetra e Dioniso, fu negata la scrittura, proibiti i suoi significanti. Noi, correndo col tempo e in gara col maestrale, abbiamo misurato col fiato la cadenza della sorte. E col maestrale, mentre cantava, abbiamo cantato. Sotto il sole lontano cantava. Nenie talvolta cantava con noi, tragiche storie talaltra ululava per noi, cuori stravolti. Storie di gole recise, di garretti mozzati, di colpi sparati dal fitto di siepi su le radure indifese di lacci assassini narrava parati entro ermi dirupi per bestie umane avventate senza probità e senza religione. E il vento, calando col sole, azzittiva sul suolo. Risonavano allora gli schianti d'affastellate ramaglie: ardenti s'aprivano fiori notturni fra tenaglie d'ombra risalente dal basso le creste di bianche sassaie. Poi furono venti e bufere d'oltremare a combinarsi coi nostri tribali scompigli, furono le altrui guerre a intrecciarsi con le nostre faide rusticane. E allora questo chiuso recessivo e tediato cominciò a sciogliere i suoi cappi e,senza parere, ad altri lacci avvolgersi, intanto che lo sguardo scaltrito nell'astio di reclusioni, d'esilii e soggiorni forzati, accomodato su prospettive inconsuete d'altre leggi e costumanze, osava il breve orizzonte saltare delle patrie scogliere oscillando, ambivalente, sugli incomprensibili moti d'un mondo che “altro” pareva, eppure era anche “per noi” e, tra minaccia e suggestione, ci parlava con straniero idioma. Col suo glifo, a forza praticato, finalmente tentammo compitare il nostro irriflesso vissuto per conoscerci e riconoscerci nel simile e nel dissimile per diventare pure noi gente d'una umanità più vasta e non meno inquieta. Perchè non un eldorado scemava nella diacronìa. Né sorgeva, se non come crisi e desiderio e lotta, il senso d'una palingenesi balzante dai lombi delle nuove apocalissi.
Id: 13386 Data: 08/03/2012 22:39:41
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Sotto Natale
Id: 11738 Data: 24/12/2011 17:12:19
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Democrazia
Democrazia Qualcuno disse . Non un empio - né un captivo - fu Non fu disgrazia quella voce assemblasse al nome il Nume del concetto. Pure - da allora –Nemesi le impose con lo sguardo Necessità e Ventura. Con gli stessi decreti il Parlante libero' in mano agli Aristoi. Stretto - per prova- alle solerti Moire per spegnere con la vita sua di uomo o con l’infamia del suo Logo le ali alla Parola detta. Egli abbracciò il suo Fato e volse - per non smentirsi - verso Dite sapendo acceso un lume- errante già - per i futuri umani. S’affiochirono altri nel poco. E subito una siepe di arbusti cinse l’esordio storico di lei e le assegnò angusti luoghi e brevi tempi. Fuori rimase un verminaio piccolo e vivace di allogeni schiavi della terra e delle cave. Certo qualcuno ne ricevé contagio e voltando le terga all’uso dell’abuso ne lanciò la febbre nella storia. *** Nomade ancora corre il pianeta -salta i muri – scava cunicoli da talpa e i sogni frequenta di chi ha fioca voce. Cambia di luogo e guarda tempi brevi di rigoglio. Si bagnò nel sangue uscendo dalle notti. Passò indenne nei roghi. Vestì abiti smessi. Fu agghindata perché non paresse quella. Andò svilita incambio di moneta. Ancella e scudo di molti rettori e padroni. E ancora rampolla -nuova - nei pensosi desideri dei tanti che si chiamano per lei dalle galere per mettere ali ai corpi - li alle ali - per affratellarsi oltre le frontiere e unire a lei - numinose - altre antiche e nuove voci di riscatto.
Id: 11590 Data: 16/12/2011 05:15:09
*
Fiori
Fiori Corimbi rosa –chi l’avrebbe detto? – su quello scarabocchio di forse verde scaturito in uncanto abbandonato dalla sete inestinguibile del cortile sterrato. *
Ustiona i sassi ilsole infuria sulla polvere compatta e i giochi incenerisce sul mucchio della sabbia. *
Sono fuggite anche le vespe – tutte - e le cicale sono scoppiate a crepitare nel giallo lontano delle stoppie. Rimasti i tumuli mortuari delle piccole vittime dei nostri giochi acerrimi concepiti sul filo del sortilegio meridiano. *
Croci di stecchi e filo - minuscole - ancestrale nostra iniziazione allo scempio e al sacro - chiamano all’assalto le formiche che esumano le salme e in lunghe processioni procedono a una nuova inumazione. * Com’è uguale il tempo tra i muri d’arenaria che il sole scheggia a colpi inverosimili di raggi e che la magra pioggia ha dilavato senza darlo a divedere rapita dal vento smemorato o perduta nella memoria breve delle fosse! * E l’una infanga e mai sembra lavare i calli dei talloni allegramente danzanti nella guazza - e bagnare mai di vesti nuove muri cortili e corpi- secondo le stagioni. * E l’altro mai non si risparmia, ruvidamente generoso. Dalle brevi notti balza nei giorni sconfinati a ubriacare di troppa luce gli occhi d’insospettati e acri desideri le narici e dell’intero corpo - inconsapevoli – tutte le papille. 24/11/2011
Id: 11216 Data: 24/11/2011 08:49:49
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Vento
VENTO Vento Vento o o o o Cieche le dita- Il vento Scuote coi vetri Ilmio respiro. Enon so fingere D’abitarealtrove. Vivo e ferito Si lagna Avantila mia porte Ilvento… Nétrovo nuvole o… Paroleda donargli. S’è impigliato Ai bricchi Dellecroste di Crono Il vento… Eil suo canto di nenia Il pianto – Oscilla infilacci Dietrofessure accese Diluce intermittente. L’anima allora -Passerosgomento – Guadagnaa saltelli Latiepida viltà D’unaltro tempo
Id: 11126 Data: 17/11/2011 21:40:44
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Cogitazioni
Non so perché il corpo - né so per quali trame- a modo suo patisca l'alterno avvicendarsi deisolstizi o gl'impercettibili approdi alla lenta levità degli equinozi. Scontata l'effettuale cadenza energetica del sole e data ovvia la fasica perturbanza della luna non saprei se siffatto patimento sia naturale vincolo dei vivi o invece un lusso aristocratico di chi può scampare – privilegio o caso - l'esiziale nequizia dell' umana entropia. Davvero penserei che proprio questa -perché prossima – insinuandosi per le maglie della tuta mimetica attestante la cronica ingenuità del nostro spleen metereopatico -sempre e comunque – muova a corroderci l'impeto naturale della vita. Nonso. Non so ma sento dentro me levarsi da un fondo incolore insospettato - e per così dire assente – fumi - tra carne e ossa – di dolenzia vaganti. Un'astenia sottile m' induce a contemplare nel mio didentro il laborioso trapasso dell'estate come un fuori che morde – tra spaventi spasimi e incipienza di brividi - ogni tenacia esposta a un vano transitar di nubi dirette verso lontani appuntamenti. Una promessa di pioggia fonderà in lavacro benefico di pianto? Intanto ho chiuso le tende sulle imposte. Io posso. - Lo posso senza limiti d'orario - - per sociale conquista immeritata - - per privati meriti acquisiti - Bene. Ho accostato – insisto – le tende per risparmiare agli occhi il tedio di nudità ignobili e scomposte. Avrei scelto – potendo- la grazia d'un giardino... Teli sui vetri – invece. Di tela. Questo posso. Per scansare l'uggia d' incolte plaghe tessute di vecchie malerbe riarse tra riarsi blocchi di turpe cemento -monumenti di civile orrore - Offeso. S'è ritirato offeso il neonato mio desiderio d'un mondo che non c'è. Evita per medicina la luce già torbida di cinerigni vapori e sogna segni d'indulgenti ombre. Mah! Ma s'imbatte in un dentro cavernoso dove si levano umide – a frotte - - come infastiditi chirotteri in volo irritante e cieco - mestizie sacrificate sull'ara del feticcio di presunti svaghi preannunciati in cornucopia da certa mediatica malizia. Come denuda e agghinda costei - per vetrine – la fulgida innocenza dell'estate e la stringe a concubina d'un mare domestico e truccato! Mare. Neppure la sua accertata azzurrità - dispersa nella babele dei capanni chiassosi come prostitute in posta alle curve della nuova litoranea - suscita moti di grata tenerezza. Lo vivo con i sensi del ricordo: salso turbato gonfio e minaccioso mentre al ritmo crescente di scirocco affatica vasti banchi d' alghe more per sbatterle – in bulichii di schiume di bugiarda bianchezza -a disfarsi sul sabbioso disincanto della riva ancora segnata da relitti e sfregi quali memento d'altre e più rovinose deiezioni.
Id: 10944 Data: 07/11/2011 23:30:32
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Ora che il vento tace
Vestimi di baci! Incantami! Strana malia Raccolta nelle tue mani Giunte a coppa Intorno alle mie guance. Leggimi negli occhi Il plenilunio festante
Ora che il vento tace
Id: 10922 Data: 06/11/2011 18:34:33
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Iris
Iris Iris di marzo - Iris all’indaco A svettare dalle crepe di muri solatii Maternamente gonfi di terra e d’acqua. Danzando ai ritmi del vento Irraggiano elettrici brividi di seta. Così lontani dal suolo Sono pioggia di lapislazzuli vivi Che il desiderio afferra in sogno Per adornare - nell' intimo recesso della casa - Un santino di gesso.
Id: 10900 Data: 05/11/2011 19:04:07
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Vento premonitore
Un vento premonitore mi strologa d’autunno. Ma qualcuno che mi abita e di cui mi capita di non voler sapere mi sussurra con serena fermezza che l’inverno è alle porte. Forse già mi frequenta in incognito coperto da un millimetro nano di action painting- stile primavera.
Id: 10671 Data: 25/10/2011 19:41:05
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Ora il tempo
ORA IL TEMPO Ora il tempo di mia vita diventa tua creatura. E ciò ch’era crepuscolo ha dell’alba il delicato rosa. E il livido chiarore del mattino s’irrora del sanguigno morire della tua luce.
Id: 10590 Data: 21/10/2011 20:31:11
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La mia magica TV
La mia TV La mia TV aveva il video di cielo blu inquadrato dal vetro d’una finestra sul retro ai piedi del mio letto di bambina malata… …Ecco una fata di panna montata leggera leggera… Ma com’è? Prima non c’era! Una bianca magia? Oh, è andata via! Ma no. Ma sì. Invece è lì accoccolata su un tappeto di fiocchi d’ovatta. Ecco si lancia di corsa sul mare sospinta dal vento… Colta da spavento si agita - si spencola poi giace su un fiume di candida spuma. .
E sfuma. Già non si vede più la fata Marilù Si è trasformata in montagna innevata. Ora si scioglie in filacci- cortina di stracci. S’avvolge – s’arruffa… Che buffa, che buffa! E’ un barboncino con l’occhio di vetro blu e la coda a ciuffo che va su e giù. Adesso non è più che una piccola barca alla deriva su un lago d’acqua turchina… Lì sopra una bambina Agita un fazzoletto in segno di saluto o forse chiede aiuto… Composta da me per la gioia degli scolari di una terza classe nel 1981. Bianca Mannu
Id: 8181 Data: 21/04/2011 11:58:55
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Adamo e Eva
Id: 7618 Data: 12/03/2011 20:31:57
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Adamo e Eva
Id: 7596 Data: 11/03/2011 12:24:08
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Con la Repubblica
Con la Repubblica Al paese mio di tufo e d’arenaria con la Repubblica crebbero fra gli oleandri cremisi e rosati le acacie straniere acclimate in piccolo formato. Stormivano le lunghe estati nel piazzale – le flebili ombre come di merletto sul lastricato favoloso che solerti operai repubblicani avevano piazzato sul vecchio sterrato reazionario. Serbato il bronzo di vedetta - il reliquario- ma rimossi gli obici che gli stavano intorno- perse quell’aria di lutto e di minaccia. Rimase al centro e sul fusto il milite oscillava indeciso se insistere a scrutare l’orizzonte o stramazzare sopra l’imbelle baionetta. Alla lista della Prima fu aggiunta quella non breve dell’Ultima così detta e ribadita per eccesso di scaramanzia. La domenicale compagnia dei ragazzini - quella designata a tenere il filo del ricordo - aveva slittamenti di memoria scivolava sulle connessioni della piazza e dell’erma con la storia. Non voleva saperne di terre contese di sangue e di croci d’ignominiosi incroci e neppur avvertiva lontano -in un altro mondo- d’armi più nuove il ferale rimbombo … Intorno al monumento -ignaro e felice- il nugolo dei mocciosi si limitava a farci il girotondo. Ultima revisione: 27/02/2011 23:42:12
Id: 7409 Data: 27/02/2011 23:44:01
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Metafisica
Perché la terra / giace / nella propria arsura,
il cielo s'allontana / con tutte le sue nu- vo- le
e il tempo allucinato / dimentica / di scandire
il suo fluire astratto.
L'immenso giorno / cuoce / il mio grido rarefatto
e e e e e l'eco del conforme / dilaga senza scampo
su un me pellegrino / claudicante
sulle tracce d'un dio / che / - per semplice ferocia-
si ritrae.
M'ingarbuglia in perduti passi / la commisurazione utopica
del suo diniego. / M'affligge / la presunzione d'una meta
celata dietro a una parola frusta / o -peggio - appostata
nell'atterrito non luogo / che m'impasta di cenere
la bocca.
Bianca Mannu
Da <Fabellae>
Id: 6517 Data: 02/01/2011 03:50:54
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