XVI
I tormenti dell’ amore
Tu m’ hai amato. Nei begli occhi fermi
Rideva una blandizie femminina,
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina
Ah, beato chi ha una signorina Felicita, e pensare che Gozzano la rifiutò per correre appresso alla malinconia. Non sapeva di quale tesoro si privava. Ma forse al giorno d’oggi tutte le Felicite si trasformano, poi che le possiedi, o ti hanno posseduto, in tante Adeline forti e prepotenti. Ormai ogni volta che facevamo l’amore lei doveva raggiungere il massimo appagamento, e se questo non avveniva erano violente scenate. I litigi avevano raggiunto una tale frequenza e intensità, che iniziavo a domandarmi quanto salda fosse la nostra unione. Si era giunti al punto che, se per qualsiasi motivo Adelina disdiceva l’incontro, non dico che provassi piacere, ma di certo non mi dispiaceva. Avevo ripreso a frequentare il parco dove consumavo la mia birra e leggevo il quotidiano o la rivista “ Armi e soldati” di cui sono abbastanza assiduo lettore. In realtà, come quasi tutti quelli che coltivano la lettura di simili argomenti, sono visceralmente pacifista e maneggiare una pistola o un coltello mi provocherebbe un serio disagio.
La solitudine tuttavia non era più quel mare pacifico, piatto di una volta, né dava quella sensazione di sazia soddisfazione e sicurezza.
La panchina mi pareva una di quelle poltrone ad acqua che si deforma sotto le natiche: ora avvolgendo i glutei, ora divenendo scivolosa e insicura, come un piano inclinato. Se rimanevo a leggere tutto solo sotto gli alberi, a osservare le giovani coppie d’innamorati, i podisti, i ciclisti, le madri e le bambinaie con le carrozzelle, i corteggiamenti e gli accoppiamenti repentini dei colombi, schegge di vita cui prima non facevo caso, se potevo tollerare di essere così appartato, apparentemente fuori da quel moto browniano incessante e insensato che è la vita di tutti i giardini pubblici di giorno, era soltanto perché dentro di me sentivo che c’era Adelina, che esisteva una ragazza che in quel momento era in casa, o in giro per negozi con le amiche. Sapevo che lei mi aspettava, che pensava a me. Insomma, sebbene fisicamente solo, non ero in realtà più capace di rimanere solo con me stesso.
Adelina polemizzava su tutto: una volta le dissi che era il mio angelo. Quale donna non sarebbe felice di sentirselo dire dal suo uomo? Ebbene lei mi rispose furente “Non sono il tuo angelo! Non sono spirito, sono di carne, mettitelo bene in testa, sono di carne che ha bisogno di essere soddisfatta!” E se ne andò sbattendo la porta. Rimasi sorpreso; in quegli attimi pensai che tutto ciò fosse incredibile, che non potesse essere altro che frutto di pazzia, oppure che Adelina aveva creato a bella posta un casus belli, un pretesto, anche se assurdo, per andare via, forse perché doveva incontrare qualcuno. Mi affacciai alla finestra e non vedendola uscire dal portone, mi balenò in mente il vecchio tormento: forse era andata da Gina, forse doveva incontrarsi con lei. Quando poi la vidi uscire e avviarsi spedita sul marciapiede, mi si accese una luce, un’intuizione improvvisa, come se tutte le sinapsi cerebrali si fossero messe in funzione. Finalmente avevo trovato la soluzione del rebus di cui avevo discusso tante volte con Tango. Soltanto qualche giorno dopo ne ebbi la conferma, quando andammo a cenare da Gina.
Gina ci aveva invitato per festeggiare il compleanno di Diego. Si badava bene dal festeggiare il suo per paura che qualcuno le domandasse l’età, che cominciava a salire.
Quando fui nel salotto: un’ampia sala arredata sobriamente con un cassettone antico, una credenza, essa pure antica, molte poltrone e tante piante sparse un po’ dappertutto, che prendevano luce da due ampie finestre, i miei occhi si posarono sopra due statuine tra le tante che erano poste in bella mostra sulla credenza. Una era la statuina di Adelina, nuda, e mi seccava che tutti la potessero ammirare, in particolare quel montone glabro di Diego, così mi proposi di acquistarla alla prima occasione. L’altra era un viso a me noto: era il ritratto di Susanna. Gina, seguendo la traiettoria del mio sguardo era arrossita.
“Susanna è qui, si nasconde da te” dissi come soprappensiero. Ecco la soluzione del rebus: quando Susanna venne a casa mia e arrivò pure Tango, era ospite di Gina. Per questo, quando fuggì via, non la vedemmo uscire dal portone e vana fu la rincorsa di Michele: si era fermata al piano di sotto.
“Si, era qui fino a pochi giorni fa, ma poi è sparita e non so dove sia. Povera ragazza, era terrorizzata. Non ho mai visto nessuno soffrire tanto. Mi raccontava che le hanno sgozzato il gatto, che in piena notte riceve minacce da una voce che rantola parolacce! Non molti giorni fa, le era parso di udire la voce del suo uomo in casa tua. Figuriamoci, alle tre di notte! Non sa che tu sei una specie di ghiro. Fu presa da un pianto irrefrenabile e poi da convulsioni. Ho dovuto chiamare il medico che le ha somministrato un sedativo. Io le dicevo sempre che così non poteva continuare! Ma ora non so dove si sia nascosta. Quando ha saputo che un tale bussava a tutte le porte per sbirciare dentro casa, è diventata irrequieta, passeggiava tutta la notte, non dormiva più. Se va avanti così andrà a finire in manicomio”.
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