Io penso che oggi anche la poesia possa e abbia il dovere di dirci la sua proprio di fronte alla crisi di civiltà che ci percorre e non solo della civiltà occidentale.
E intenderei sottolinearlo con l’aiuto anche di alcune riflessioni di Emanuele Severino mutuate dalla sua lettura di Leopardi filosofo. Ma non spaventino le citazioni, l’argomento mi sembra di estrema attualità e credo facilmente condivisibile nel testo.
Condivido l’idea che questa crisi sia figlia di una sorta di ANGOSCIA del NULLA, su cui si sono fondate tutte le risposte prima della filosofia antica e poi delle religioni monoteiste: cristiana, ebraica, musulmana.
Angoscia che spingeva a una risposta in termini di ricerca di un assoluto, a una speranza contro la morte stessa, esorcizzandola così e oggi spinge ad un nuovo assoluto legato alla rivoluzione tecnologica oppure alla riproposizione di un dogmatismo religioso di stampo medioevale in alcune aree del mondo.
Un nuovo assoluto legato all’inseguimento illusorio di una prospettiva trascendentale che porta ad una tragica visione del passaggio dalla vita alla morte come una liberazione oppure in Occidente alla ricerca del tutto e subito e con il mischiarsi di noi stessi con le cose che incontriamo e che produciamo o usiamo.
Ad es. il rapporto con alcuni oggetti della modernità (tablet, smarthphone e con essi l’uso dei socialnetwork), che oltretutto producono i rumori di fondo della nostra esistenza, ci parla di un linguaggio fatto di forme brevi, frasi fatte, di riduzione persino del numero dei vocaboli. Insomma di crescente povertà di linguaggio e con esso di una trasformazione del pensiero di cui esso si nutre e ne viene nutrito.
Allora io penso che la POESIA come meta-linguaggio alternativo possa, certamente non da sola, aiutarci a comprendere e a rispondere a tutto ciò.
Lo si può avvertire leggendo molti commenti anche sui socialnetwork di lettori alla ricerca di un senso o di risposte a domande o aspirazioni magari attraverso un semplice stimolo che può arrivare da un verso, magari persino al di là della intenzioni di chi scrive.
Noto, in generale, una diffusa esigenza di serenità, di leggerezza appunto, di rapporti veri e forse anche di silenzi.
Ma la poesia è linguaggio al tempo stesso oggetto-soggetto dove forma e sostanza trovano sintesi, per uscire dal luogo comune, dalla frase fatta appunto, dalle immagini stereotipate, da un pensiero quasi unico e spesso indirizzato, come si suol dire “eterodiretto”.
Quindi la poesia diventa, in questo senso, una vera e propria INVETTIVA, e ancor di più nell’uso dei toni lievi e nel ricorrere al più pieno lirismo nella forma. Ecco, io non vorrei disilludere alcuni di quelli che hanno mostrato di apprezzare anche miei testi sottolineandone proprio quei tratti, ma è proprio questo il linguaggio che ho scelto, (o che mi ha scelto, non saprei) certamente per attitudine e affinità con una certa poetica, ma anche come forma di denuncia e di rifiuto della volgarità, della violenza non solo fisica e la rumorosità di questo pseudo-pensiero contemporaneo incapace di fornire risposte per il futuro.
La poesia fa riferimento ad alcune parole chiave e vitali come la CURIOSITA’ che consente di andare oltre il guardare per consentirci di vedere le cose,. La curiosità che è nemica delle paure e quindi delle chiusure in noi stessi, o in gruppi più o meno ampi, uniti da motivazioni varie di tipo sociale, religioso, economico e altro. Quelle paure che stanno declinando sempre più i nostri rapporti individuali e collettivi in tendenze esasperate all’autodifesa fino a sfociare in casi crescenti di xenofobia, razzismo o fanatismo politico o religioso.
L’altra parola è la VISIONARIETA’, che sempre ha contribuito a cambiare il mondo (penso a figure come Einstein o Steve Jobs ad esempio) ed è una delle caratteristiche essenziali della nostra specie: riuscire ad immaginare il futuro per costruirlo.
E poi la BELLEZZA, nel senso caravaggesco della ricerca e del mettere in evidenza tutte le cose che la natura, l’universo e noi stessi proponiamo anche qui, fuori dai canoni consueti.
Infine il ruolo del SILENZIO, delle pause, rispetto ai rumori di fondo del nostro esistere, che nel linguaggio poetico è altrettanto decisivo della parola.
Contro il rischio di chiusure in conventicole, spesso auto-celebrantesi e poco più che fine a se stesse anche di alcuni bravi poeti, io penso che la poesia possa e debba parlare a tutti e quindi anche utilizzando, e sottolineo utilizzando, gli strumenti di comunicazione nuovi di cui disponiamo.
Penso debba e possa parlare ai giovani, anche attraverso la scuola, per contribuire a costruire una nuova identità che si fondi, mutuandola anche dalla scienza moderna, più che sulla la ricerca, forse vana, del PERCHE’ delle cose, sul COME le cose funzionano e si possono presentare a noi. Imparando ad esercitare l’attitudine umana essenziale che è, lo ripeto, la CURIOSITÀ, condizione essenziale per la nostra LIBERTÀ. Per questo spesso la poesia fa paura al potere, specie quando è assoluto e quindi nemico di ogni forma di espressione che lo minacci, magari con la levità e la leggerezza. Per questo va difesa con la vita la poesia di Ashraf Fayadh.
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