Tu pensa
se sia giusto chiamare un luogo
qual esso sia
“terradura”
Così da immaginarsi inutile
ogni gesto che curi
apra un futuro
che soffio porti
alle speranze del cuore
così da immaginare
donne dalle cosce scoscese
difficili da raggiungere
il loro ventre colmo d’uova
e che fissano dallo sfascio delle veneziane
sbilenche su facciata lasciata all’abbandono
e un florilegio di formiche
infine
a grumo dal piede d’una pianta seccata
Così da immaginare un amante solitario
di vedetta lassù in alto
(se ci fosse pietà di dirupo
in questa terra d’orizzonte piatto)
nell’attesa di un nulla
che gli sia di compagnia
E tu allora passeresti le vie
lo spazio a volte fango
che si erge a piazza
altovociàndo fra te e te
“Quale sarà il nome di quell’altro luogo, quello vivo di gente; quello il cui albergo accanto alla stazione era invece sacrosanto, serrato e scrostato agli ospiti? Ditemi il nome, il nome perdìo! Ditemi il nome!”
Vivono solo di ossimori
gli abitanti di questo deserto
ciascuno di loro solo
come un blu intenso
a filo d’orizzonte
(tratta dalla raccolta inedita
"Il mestiere e altri accidenti")
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