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Ultimo Indiano

di Elisa Mazzieri
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Pubblicato il 07/06/2019 06:09:14

 

 

Coda di Lupo

a contorno — e avresti approvato, chissà?

suggerisce youtube

 

Sapevi

abbastanza e molto,

di questo, di altro

e per amare un ragazzo

per essere Frocio, Marxista, Indiano

e risata da gay, quando c’era — schiarita

tutta sdentata

di naso aguzzo

e occhio lesto

 

Di parola — lesta

fuori abbastanza

conforto per l’adolescenza rispecchiata, forse,

in uno specchio uguale

forse spavento, per l’adolescenza riscattata

e senza impegni

al banco casuale di un fervore a portata

di parole

 

Andato via proprio a

metà

proprio al doppio delle star

Tornato — da dove?

il tempo per salutare

e in mezzo niente curriculum

riempito già da vecchio — il tuo curriculum — a trentatré anni

e ti sopportavamo, per noi.

 

Nenia da Vecchio senza barba

che spande senza recita la nenia

di un libro, un passaggio

irreversibile disguido, come Il Libro —  che Libro?

Farneticante Jolly

che i tuoi compagni — di allora

stupiti proprio ora

Eppure noi

che proprio allora, per niente coetanei

e meno ancora discepoli

eppure con noi

che per noi era ovvio,

il tuo tempo era nostro

senza scarto.

 

Risata da Indiano

che amava per scherzo ma sempre

il ragazzo di un’altra

e di noi era Compagno

e di tutti

 

Unico Indiano

che ti ho conosciuto

risata da Mago

pragmatico trickster

bibitaro di domenica

Compagno tutto l’anno

 

Condottiero senza Riserva

che giace in famiglia

zona arida-fucina

di allontanamento

 

Allucinazioni da Veggente

un roditore al posto del Papa* – e chi vuole capire, capisse – dicevi

 

La tua risata

a denti rotti, Cochise

Pazzo per niente

 

E una su tanti

Una su pochi o tutti, alla fine

Senza Riserva

e onore curvo

 

Finito in gloria di

ciance o pennelli,

ai tuoi anni spariti

avrebbero urlato ammiccanti testimoni

appena nati — platee di “io c’ero” appena nati

 

E invece dove

e come, con quale passo e che risate

con che parole o dita tese

e che metafore chissà?

Che cosa hai fatto di quegli anni

Chi lo sa?

 

Io so

giusto di prima e so

perché dicevi e ripetevi

ripetevi come il Matto

come l’Appeso

 

E che libertà

Ora so!

Cantarti mischiando Capitale e Grammatica

Sicura — grazie a Te

di essere ignorata

Sicura.

 

Sicura e aperta

come — Una — grata spalancata

 

Fiera di coraggio e non bestiame

Fiera per gli accenti, accenni

intenti

Fiera e non esposta

Ferma

come una lenza armata

 

Ultimo Indiano

sorriso sdentato respiro a metà

E sei tornato

Colpito

Andato

 

Senza richiami

 

E allora

sicura

che sei, Tu, proprio morto

e quando sei tornato

sei tornato proprio là

dove vivevo e vivo ancora

e resto

Dove ancora intontisce

il miele delle

sdrucciole  

più delle giuggiole

e per

organizzare un’Ode

fra le sillabe interrotta

da un probabilmente avverbio

ci vuole giusto un po’ di tecnica

un orecchio — uno dei due

che non sia sordo

 

E voluttuosa e a mente

sbaglio

proprio perché sicura-mente Tu

che anche nei sogni

sei com’eri stato:

Io sbaglio

E tutta fiera mi sorrido addosso

Tutta piena di affetto — come un morbo

e tutta dissacrata, rido

la tua risata folle — e tutta lucida

come un oltraggio alla tua morte

 

Cinque estati fa, la tua morte

Cinque anni almeno la tua dialettica sdentata

perfetta sussunta insuperata gaia pensante

Andata

E altri ancora quindici nel mezzo

Da bibitaro di domenica

Compagno in altre Vie

Indiano libero

Da tutte le Riserve, libero

Affacciato — Chi sa, sa dove

Indiano non rivendicato!

 

Alla Memoria di Massimo, detto Il Cochise

“Chi ha capito non s’ha da strani’, l’altri s’aripijassero” dedicata a chiunque.

Frase pronunciata dal compagno, cui dedico queste righe a distanza di anni dalla morte.

Frase trascritta letteralmente, alla romana, nei primi anni ’90 su una parte di una stanza dell’allora centro sociale *Hai Visto Quinto, meglio conosciuto come Sisto V, ora sostituito, come da previsione del Compagno Massimo, da un supermercato “e neanche da uno di una catena principale…” anche queste parole sue, e anche questo è vero (sostituito da un supermercato che porta il nome di un roditore).

L’invettiva di Massimo, detto Cochise, era riferita a chi “probabilmente cavalcava la tigre dello sciovinismo piccolo borghese. Chi ha capito non s’ha da strani’ etc…”

Un'altra scritta recitava "Il Cochise è vecchio, e c'ha trentatré anni". Io ne avevo quindici, poi sedici, poi dicissette anni... e così per un po'.

Le scritte eranno in alto, tanto in alto: qualcuno di noi (non uso il barra "a" dato che sono certa sia stato qualcuno a farle e comunque, in quegli anni, la riflessione sul linguaggio sembrava una Thule e non la Conmpagnia delle Indie ) ritenne per scherzo di "trascriverle".

Io personalmente, le citazioni del Capitale non le capivo. E a volte neanche tutto il senso, fino in fondo, delle riunioni fatte in una certa maniera. 

Allora.

Tuttavia, quelle volte che "sto" nel modo giusto, che ricordo che va fatto "un giro di interventi" (ovvero espriamoci tutti/e dato che stiamo in teoria costruendo uno stare collettivo) e per la mia timidezza e, per quanto fastidioso, tutto quello che so su come guardare, sviscerare, svestire di accenti una parola e andare a vedere che significa e come "probabilmente compa' sto posto lo levano e ce fanno sopra un supermercato, uno scrauso compa'... hihihihi!!!"

Per tutte quelle volte, ho Memoria. Ogni giorno. 

 

Grazie a chiunque leggerà, qui, anche casualmente, anche e soprattutto comprendendo quanto sia molto lontana dalla Poesia. È una Memoria, non ho idea di come si scriva una Memoria. Né le capacità per farlo. Sapendolo fare, non la sprecherei in nessun luogo virtuale che richieda un pollice alzato. Massimo alzava, di rado, il pugno sinistro. Io, lo stesso.

 

Chi c’era l’hai trovato


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