L’alba è lo stesso, che non puoi toccare,
l’onda che sempre si disfa e mai regge
o il rondò impossibile a trattenere.
Lo stesso quell’odore che le piogge
sempre ai prati regalano e poi rubano,
il chiar di luna che mai può comprare
la notte per quanto il forziere pieno,
il pupazzo di neve che di sciogliere,
pur ad arte, non manca il primo sole.
A curare poiché i nostri gerani
nella nostra assenza nessuno volle,
ci bruciò il lampo cavi e capannoni,
provvide il vento a strappare rabbioso
le nostre tende da sole al balcone,
saccheggiarono a noi, varcato il passo
alle Alpi, le are, i fori ed ogni bene
i vandali, con le legioni in fuga.
Dei nostri legni al rientro dalle rotte
dell'Indie nient’altro sul bagnasciuga
che rottami ed armature distrutte
ai Caraibi, che la burrasca ai gorghi
sparse, salpati per le colonie, ori,
spezie esotiche, brillanti, quei carghi,
per il trono a esigere e i suoi splendori.
E’ lo stesso ora che una scala in pietra
antica, a un portale che mai si vede
eretta, e che sale, sale senz’altra
scelta che salire né scorge il piede.
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