Le mani di Antonia scivolano sicure sulla lastra di marmo, avanti e indietro, avanti e indietro, sfregano, insaponano, sciacquano e sfregano ancora; forti, nodose e tese e protese come le radici della quercia dietro il lavatoio, come le sue, sradicate da qualche pioggia estiva e trapiantate qui, ora, forti e nodose. Senza indietro, senza avanti.
Antonia, i capelli fermati sulla nuca con una molletta da bucato, sfrega la lastra di marmo già pulita. Il gesto ripetuto rimanda a qualche rituale, lo sfrigolio della spugna di ferro consunta si fonde al richiamo svogliato delle cicale come in una preghiera. L’aria intorno è gravida di pioggia, la terra trasuda: un’inversione di elementi come questa è possibile solo alla fine di un giorno stremato dalla calura estiva ― pensa.
Marina la guarda da lontano, socchiude gli occhi, li apre, li chiude, passa una zampina sul muso, si lecca con cura e rimane sospesa, le orecchie all’erta, le pupille a spillo. Una farfalla è atterrata sul muretto vicino. Marina la guarda, le ali sottili tremano appena, calcola i passi, inarca la schiena, le pupille si dilatano ma è troppo tardi! Il geco arriva prima; si affaccia quatto da un buco sul muro, mimetico e grasso con una leggerezza insospettabile da colibrì è addosso alla farfalla. Marina strizza gli occhi, accenna uno sbadiglio e riprende a lavarsi con aria sprezzante.
Antonia si ferma. Le mani sui fianchi, schiena all’indietro, gode la brezza che arriva da ovest. Di fronte a lei solo campi dorati, quasi bruciati, si stendono a dismisura.
“Antonia!”
“Sì!”
Risponde prima di capire la direzione della voce.
“Antonia, che fai? Hai deciso, vieni con noi?”
Anna scende dalla bicicletta, si avvicina le dà un bacio sulla guancia e parla.
Antonia non trattiene neanche una parola.
“Anna, non lo so, ho molto da fare.”
“Beh, dai, se cambi idea, noi non ci muoviamo prima di mezzanotte, va bene?”
Anna risale sulla bicicletta e va, Antonia la guarda senza mettere a fuoco. Una volta o l’altra ― ricorda ― dovrà chiederle da dove è uscita fuori quella bicicletta, è così vecchia che potrebbe essere di un nonno, forse un bisnonno addirittura. In effetti, sì, a pensarci bene potrebbe essere plausibile, perché no, potrebbe essere appartenuta a un bisnonno e magari aver fatto la prima guerra mondiale. Anna è sempre vissuta lì, non sarebbe strano che nella casa enorme, quasi una masseria, di cui abita a malapena due stanze, si trovassero resti di altre generazioni, forse anche qualche tesoro. Antonia sorride: il tesoro forse no, ma una volta o l’altra dovrà chiederle la storia della bicicletta.
Antonia guarda i campi immersi nella luce calda del tramonto. Ora, avvolti nell’aria tiepida e confortante della sera, non rivelano la distruzione della siccità e il lavoro duro che si dovrà fare per ricavarne appena il minimo a copertura delle spese. Si chiede se non abbia fatto, se non stia facendo, una follia. Non ne sa niente, lei, della vita in campagna; non avrebbe forse fatto meglio, con i soldi della liquidazione, a comprare una casetta al mare, vicino Roma, trasferircisi per tutto l’anno e affittare la casa di Roma, oppure restare a Roma, affittare la casa al mare nei mesi estivi o anche, come suggeriva Giovanna, viaggiare?
Sì, avrebbe dovuto viaggiare altro che tutte queste velleità da contadina, non era neanche così vecchia ancora.
Antonia scruta le sue mani e cerca i segni del tempo: qualche macchia, la pelle secca e ruvida, ma quella è sempre stata così, anche da giovane, qualche altra chiazza sulle gambe, non molte in fondo.
Da sud, lungo la stradina che fiancheggia il suo “investimento incosciente”, vede due figure ingrandirsi, due punti indistinti con l’ombra lunga della sera a strascico. Inforca gli occhiali appesi al collo con lo spago e guarda meglio. Bene! Stringe gli occhi: Stefano e Claudia, tra poco, quando saranno più vicini li chiamerà e chiederà di aiutarla con il piano di marmo.
La base per il tavolo è già pronta ma servono almeno sei braccia per spostare la lastra e collocarla sulla base, dietro la casa, lì dove ha intenzione di chiudere la veranda e piantare qualche rampicante… sì, ma quale? Anche di piante ne sa poco, ma non sono questi i problemi ― considera ― si farà consigliare.
Allora, ricapitolando: dovrà scoprire la genealogia della bicicletta di Anna, farsi consigliare su rampicanti e piante varie per la veranda futura e, già che c’è, chiedere anche di qualche rivenditore fidato da cui acquistare materiali a buon prezzo, ma prima di tutto…
“Antonia!”
“Ehi!”
Claudia e Stefano sono lì.
Lo sapeva, ancora un attimo e le sarebbero sfuggiti.
“Ciao! Vi direi di entrare ma…” Stefano finge di aprire un portone pesante, Claudia ride.
“Appunto” prosegue Antonia “come vedete…”
“Non c’è ancora nessun cancello!” Stefano e Claudia concludono in coro a cantilena. Antonia sorride.
“Meglio così, almeno farai tutto esattamente come vuoi!” aggiunge Claudia.
“In effetti, sì, certo!”
Non ci aveva pensato, non ci pensava mai a questo lato delle cose. Aveva passato una vita a pensare a quello che mancava e mai a quello che c’era o ci sarebbe potuto essere.
“Vuoi una mano?” chiede Stefano
“Come?”
Stefano indica la lastra di marmo appoggiata al muro.
“Magari!”
L’aria della sera si è fatta fresca e pungente.
Antonia è sempre sorpresa da questi cambiamenti, si vede che non è abituata; d’estate in città, persino di notte non c’era mai tregua dal caldo. Gira per i suoi possedimenti sgangherati accendendo candele e citronella qua e là, le zanzare sono le stesse ovunque però, pensa. Arriva vicino al tavolo nuovo, un bel lavoro tutto sommato, posa un paio di candele anche lì e le accende. Le spalle sono coperte da una mantella di cotone grezzo, usata, a tratti ha bisogno di stringerla addosso. L’abbraccio della mantella nella sera fresca la conforta.
Si siede su una poltrona malandata, compresa nel prezzo dell’affare e scorre l’elenco delle cose da finire, iniziare, capire.
Domani chiamerà Giovanna e le chiederà di passare il ferragosto da lei, può portare chi vuole, spazio ce n’è, comodità un po’ meno ma sapranno arrangiarsi. Anni di campeggi ovunque in qualsiasi condizione saranno serviti a qualcosa, giusto?
Giovanna e Laura: domani le chiamerà. Inviterà anche qualcuna delle sue nuove conoscenze: Anna, Stefano e Claudia sicuramente e, forse, le piacerebbe rivedere quell’amico di Stefano. No, non ancora, è ancora troppo presto.
Marina si muove sinuosa e pigra intorno alle gambe di Antonia.
“Non vorrai mica mangiare di nuovo?”
La gatta risponde con una contorsione più decisa del collo.
“Ma sì, perché no…cicciona!”
Antonia si alza e va verso la busta dei croccantini pensando che forse dovrebbe prendere l’abitudine di dare alla gatta i resti dei suoi pasti come le hanno consigliato ma proprio non ci riesce, i gatti che aveva in città erano abituati a ben altre leccornie!
“I gatti sono abituati a tutto!”
Le aveva detto Anna ridendo qualche giorno prima.
“Ma è incinta!” aveva risposto Antonia sgranando gli occhi.
“E allora? Meglio! Non lo sai che quello che non ammazza ingrassa!”
Chissà come doveva sembrare eccentrica, lei, proprio lei che aveva passato la vita a cercare di farsi piccola, sempre più piccola per sfuggire alle botte del marito, agli sguardi accusatori dei colleghi, alle occhiate ammiccanti del suo capo, alle domande inquisitorie degli avvocati, alle accuse della suocera e…
Marina esige attenzione. Antonia è immobile; la mano sospesa sopra la busta dei croccantini.
Guarda la gatta e pensa che manca poco e si chiede di che colore saranno i gattini, neri o forse maculati rossi e neri come la mamma, non che ci sia una gran scelta, i gatti maschi in giro sono tutti rossi o neri, staremo a vedere.
“Stasera menù speciale, Mari’, offre la casa!”
Antonia si avvicina al frigorifero e tira fuori quello che è rimasto della sua cena: un po’ di pollo e qualche verdura, scansa le verdure e le mette da parte, prende il pollo e lo spezzetta nella ciotola della gatta.
“Guarda che i gatti se la cavano benissimo con le ossa!”
Le sembra di sentire la voce di Anna e sorride. Ha molto da imparare ancora, ma imparerà.
Ora che è salva.
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