IL SENSO DI UN CANTO D’APRILE
La fiamma che arde imperitura d’ amori sacri ha bruciato il nostro corpo tra mille fiamme, dopo essersi elevato in un canto di aprile. Ha stretto un patto con il cielo ,ha chiuso in se stesso il mistero d’ essere soli in quel lasso di tempo che corre per giorni uguali ad ieri Ci ha lasciati con la bocca aperta con un gusto di fragola ad assaporare, nel sogno di una giovinezza perduta.
Le profonde radici infuocate hanno reso il mio amore una pianta malsana cinta di foglie d alloro pendule nel vento primaverile , legata ad un percorrere strade semi deserte ove il villico si eleva alla vita delle cose circostanti. Poiché le fiamme dell’inferno hanno reso possibile l’archetipo di una prosa salace mista di rabbia d’ arguzia di azioni insane , misfatti infiniti rei di aver compreso il nostro destino. Qui con il volto coperto di sangue , come cristo anche noi siamo figli del creato e di un padre che abbiamo tanto amato fino a giungere a da dare la vita per lui in quel ritaglio di tempo tra sacro e profano , tra il fuoco e le acque che purificano il corpo.
Dove siete adesso meschini miei compagni di giochi grotteschi . Persi in giochi concentrici in amori lassi per forme ed ordini , che immemori mi spingono oltre ogni intendere la morte di questo tempo. Ed ordino è cerco di capire cosa sono in questo tempo che mi spinge verso oriente e son desto nel mio pensiero fino a giunge ad essere un gabbiano che vola su d’un mare voltagabbana . Pochi son provvisti del senso eterno , frutto ragioni salaci di espressioni sincere quasi meretrici deste , spoglie lungo la via sacra che percorriamo a sera nel far ritorno a casa . Ed un pensiero m’assale mi prende per mano mi conduce oltre ogni intendimento verso una fallace verità. Rincorriamo l’amore di un era , mentre il carro legata ad un somaro trascina seco ogni strumento, ed ogni suono sembra sincero fatto di vento di acqua di sabbia , di fuoco che arde a riva. Ed ogni punto si congiunge per incanto in un canto che s’ode da costa a costa come un disperato grido di dolore. Nell’eco di un tempo nelle parole amorfe , dall’ali piegate che s’elevano nel vago nella giostra di un dire , per modi di dire marcondirondirondello.
Dove vi siete nascoste oggi mie locuste , bipedi intendimenti , orge genitrici fonemi impertinenti , anime pie legate ad un dire che vaghi per gironi danteschi , con teschi piegati sotto le ascelle. E son senza ali, sono senza denari , ne denti per mangiare questo domani. Ombre di un vivere errante per pochi vissuti per poche ore consumate come un ossesso dentro un cesso dentro una passione che brucia e ti rende inerme. Forse crudele è questo vivere come il tempo che lo ha generato e portato lontano oltre ogni intendimento in questa città, fatta di donne immacolate , fatta di neri e bianchi , di rossi e turchini di angeli e demoni . Poi lassi dormire in rime metriche concise circoncise senza sapere perché si è soli perché siamo rimasti in disparte , senza dirci ciao, senza dirci addio. Dove cade il mondo dove la banda suona la sua marcia in un post mortem che avvicina l’anima d’ognuno alla gioia di un vivere errante per troppi dubbi e troppe bestemmie.
La luce danzerà facendo schioccare quella scintilla fatata , quante domande quanti termini ed oltre andando prendono forma la sorte l’amore bestiale vestito da sgualdrina che incanta e canta, suona la chitarra. Che ridere siamo paghi del peccato, siamo nati pochi attimi fa e già siam morti dentro un idea tra le braccia di una giovane madre tra mani che delicate spingono questa macchina su e giù per sentieri cupi dove i demoni s’alzano in volo. Dove la banda suona, dove il signore annuncerà la fine di un gioco. E tutti verranno ed ascolteranno cosa avrà da dire il mago ed il bugiardo, la signora con la pancia ed il signore senza cravatta. Tutti diranno d’aver compreso poi come un fiume in piena le acque trascineranno giù a valle questo corpo deriso in due dall’ardore , dalla forza mite della bellezza.
Oh ma io vi conosco nella sera, nella triste sorte che vela il volto a questa vita che passa per sotto le mie finestre mi spinge lontano per strade senza nome per giorni ed ore cantando invano. Ogni ricordo va con l’alito di un domani nell’attimo che spinge questo cuore vagabondo, dormiglione che si ubriaca di passioni , si ubriaca d’immagini timide come l’amore . Si va per i campi solitari in questa sorte che non ti lascia mai da soli non ti lascia capire perché siamo qui ad amare un mondo , tormentato da tante passioni da tanti dubbi. E mentre le rane saltano negli stagni azzurri , la storia prosegue per idiomi fallaci. La voce dell’uomo di colore ci porterà dentro l’antro della sibilla e verranno Anchise ed Euripide accompagnati da Polifemo accecato dall’odio con in mano una pecora belante , cantante un blues uno swing veloce che scende per la gola come una goccia sulle guance della fanciulla. E si vedrà per l’averno la pia morale stringere le mani intorno al collo alla sibilla, pregare, vestire, dire non posso debbo partire andare a Roma a salvare un amore malato che faccia stare sereno il mio cuore.
Morbida come l’incavo nel terreno in cui è giaciuta una pietra cosi la primavera mi avvolge, mani e braccia , morbida liscia e fresca. E non conosco altro nome ed altro amore se non questa strada che mi condurrà ad Itaca mi condurrà oltre ciò che credo per domicili orribili. Senza tenere conto di chi sono senza cigli tradito da tanti amici che mi hanno pugnalato alle spalle e poi sepolto il mio cuore in fossi e fessure , in dilemmi assenze effimere figure di merda. Odio il mio nome, odio il volto di chi ferisce e dopo spera che nella desta primavera rifiorisca il verbo che genera un sentimento una nuova vita, una nuova avventura . E la musica spinge su le scale un vecchio dilemma , madre dolente in cura che tarda a risolvere l’inghippo di una frase, una sconsolata conclusione che purulenta , sanguina, acerba, insensata falsa fatta di ingratitudine di drammi , fatta di soldi, di tanto ardore che fa scoppiare il cuore in mille pezzi . Ed in mille frantumi , questa vita sparsa per l’aria e sulla terra, mille frammenti sono visibili ai raggi del sole, sono la che attendono d’essere ricongiunti , mentre il mondo continua a girare su se stesso. E dentro quella rima dentro quel dubbio di ombre giocose fatte di molliche di pane , fatte di poveri colori viscerali forme avulse al termine precostituito a quella sorte nera che apra le gambe ti mostra cosa sei , come sei giunto dentro di lei. E giri , rigiri la frittata, volge al termine cercato come fosse la morte , spoglia di altro ornamento. Ed il nome profuma di addì, di amori mai colti mai pagati di coiti interrotti come una fonte di acqua che scorre, scorre dentro di te e ti trascina via. Momenti che ti porteranno oltre ogni termine ed ogni principio verso l’ essere in se stesso in quella terra ed in quella gentile dimora dove l’amore e padrone del suo destino.
Densa come l’odore della terra e questa poesia , questo corpo che si distende sopra un letto di spine fatto di sogni , di amori mai sopiti in conclusioni figlie della tristezza , figlia di una stanca stagione, di una vacca che sa volare per cieli grigi che si tinge i capelli ed il crine ma che ridere, che bello che ebete esistenza , passata insieme a sognare là nel bosco incantato, dentro una palla di cristallo, dentro questo cuore che non ha più nulla da dire. Densa è questa poesia , come l’odore della terra fresca , su una pietra che è rimasta adagiata a respirare l’umido della sera. Densa è la poesia come questa storia rincorsa oltre ogni dire ed oltre ogni fare , respira come la terra ed il mare respira di aria nuova , si veste di luce, si veste di forme luminose, nella bellezza di un mito che tarda a rinascere . Ed ogni cosa sembra sincera nello scorrere dei versi, sembra una mano tesa nel vuoto , che t’afferra e ti trascina via con lei da quel dolore, da questa storia fiorita in silenzio.
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