Quando apparve la candela c’era già la fiamma.
Il fior fiore dell’antagonismo non bruciava, era là,
in carne: piroclastica ingente, di bocca in bocca.
Venne l’ape, un geometra puntuto, forse l’angelo che parlava
col linguaggio delle cabrate.
Il vento aveva l’aria di buon seminatore e fuochista di talento,
ma era dubbio e nel dubbio l’Altissimo Condizionatore serviva
with a name of your choice,
whit a puff.
L’atomo, e il suo piano industriale, fece presa.
Non ci siamo ancora.
Comunque, oserei dire che l’uomo esplose.
L’olio prese il posto del legno e del fulmine per fare luce fino alla cera.
Il pungiglione puntava il nord, l’alveare si affacciava a sud
e altre contrapposizioni del genere.
Ora lo stoppino è un proiettile, ma ieri non è peggio di domani.
Il termine medio tra loro è: paura; la lungimiranza prende tempo.
Questo era tra i titoli sulla panchina.
In un catenaccio con due chiavi di lettura: qui ti ho amato (per adesso).
Femminile penso, ma alle volte capisco niente.
In quell’attimo coesistono l’amore e il tradimento,
in quel momento un bacio può più del sesso.
Vorrei che la storia avesse qualcosa di vero:
i ruderi sono certi mentre certi ruderi s’inventano.
Amor mio, est in canitie ridicula venus.
La supremazia del ventre ha ragione quando serve
un fremito.
Posso dirti che c’è la stessa calamità nel bacio e nel melo.
Tendono ad un passaggio di stato nel quale gli atomi
si rivestono con ciò che trovano sulla sedia.
Ci allontaniamo di colpo per finire meglio.
E sempre in un colpo può svettare una storia,
svenarsi un corpo, svelare la tresca di tutti i sacramenti
mentre l’anima sverna agli antipodi della vita,
in quel miele che per adesso è ama(ro).
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