LE RAGIONI DELLA NUOVA POESIA PURA -
DINAMICHE POETICHE DI UN’OPERA
Credo non esista forma artistica che maggiormente si avvicini alla poesia quanto la scultura. Io penso alle poesie come pietre, che il poeta/artigiano scolpisce, lima, aggiusta, in un processo estatico ed anche estetico che culmina, nella maggioranza dei casi, con la creazione di un’opera d’arte, forte come la pietra, ed eterna. Ed alla quale, sempre, segue la domanda fulminea del poeta/scultore: «Come ho fatto?».
Il poeta non è altro che la mano, la penna, un corpo ed una mente estremamente ricettivi, è un’antenna sensibile che si dirige nella volta poetica. Cosa contenga, questo luogo, dove si trovi o chi ne diriga i fili, tutto questo costituisce il segreto. Che dunque si tramuta, nel segreto poetico delle parole.
A molti sarà capitato di sognare, dormendo, posti e paesaggi mai visti prima, irriconoscibili, tuttavia così famigliari. Forse questi luoghi esistono dentro noi stessi, nel profondo, ed a modo suo, l’inconscio di ognuno, li porta alla luce sotto determinate spoglie. O forse li abbiamo visitati realmente, forse, in un’altra vita.
Oppure li abbiamo ascoltati, come dalla voce di Ungaretti[1] ci viene soavemente spiegato in queste righe che seguono, le quali nascondono sotto un velo di sabbia, senza dubbio, il fascino d’una possibile rivelazione:
«Ho udito, ora ci penso, questa malinconia dolcissima espressa nella cantilena del beduino. Il beduino ha un canto che si mescola ai gridi fuggitivi di bestie partite da molteplici e indeterminabili luoghi, ai silenzi della luna altissima, ai voli di lunghe ombre sul nuvolo solare, dopo il crepuscolo ondeggiante come per sempre sulla sabbia: è cantilena fatta d’una sola parola, iterata all’infinito: “Dove?, dove?, dove?”»[2]
La lirica con i suoi versi costituisce la sorgente dove il poeta, il lettore, e la Poesia si incontrano intimamente, della quale soltanto poco prima, non se ne conosceva l’esistenza.
Ma la poesia è anche un talento, che va affinato. Una volta che si manifesta nella vita, si trasforma altresì in una chiamata, una strada da percorrere, una dote scintillante dell’anima.
Non si trova mai troppo lontana dal poeta, ma nemmeno troppo vicina. Sta al poeta stesso dosare i gradi di chiusura della propria personale porta. Quando lei arriva (questo non è quasi mai dato saperlo) sotto la forma dell’ispirazione, i segnali sono improvvisi e s’integrano rapidamente con una possessione che durerà per tutto il processo poetico. Questa, abbandonerà il poeta lasciandolo fermamente occupato in una contemplazione artistica, quindi, infine, limando gli angoli e le fattezze della sua nuova scultura.
Ungaretti disse in una famosa intervista del 1961[3]:
«La poesia è poesia quando porta in sé un segreto (…) anche la poesia che pare semplice è una poesia che contiene un segreto (…).»
Lo fece, il poeta d’Alessandria d’Egitto, parlando di Mallarmé, a proposito della sua poesia oscura, e riferendosi a Leopardi, in particolare alla Primavera, e alle molte sfaccettature di significato delle parole di cui è composta.
Semplici parole che rimandano a diversi sensi, diverse immagini. Differenti luoghi.
Quel segreto pertanto, che si manifesta attraverso un misterioso dettato, come ci spiega Leone Piccioni[4]:
«(…) e, certo, accademia e manie furon spazzate via come da un vento di tempesta dal solitario soffio ungarettiano, ma c’è da credere che nessuna volontaria intenzione polemica muovesse il suo esordio: Ungaretti si muoveva soltanto – come sempre è stato in lui – per quel dettato che sentiva dentro, misteriosamente, senza, forse, neppur saperne coscientemente il perchè.»
Impiegai molti anni per far uscire Leunam[5], la mia prima raccolta del 2011. Di essa scrissi, una volta ultimata:
«Poesie fatte di versicoli, prive di rime, prive di punteggiatura, fatte di parole, scolpite, levigate, semplici, attirate verso il basso come dalla gravità. Perchè umane. Poesie fatte di suoni e armonie, di matafore ardite, d’amore, di sogni, poesie d’elementi e di consapevole sofferenza. Poesie che riflettono su se stesse e sul proprio essere.
Tutto questo racchiude questa mia prima raccolta composta da trenta componimenti, nati in un lungo periodo e attraverso un attento labor limae, che va dai tempi dell’Università ad oggi. L’opera vuole coinvolgere il lettore non soltanto all’interno di alcuni versi, ma dentro di un intenso mondo poetico fantastico e segreto, visionario e romantico. Il mondo di Leunam. Un mondo d’Altrove da cui misteriosamente, anche per il poeta stesso, trae origine l’ispirazione.
I componimenti sono costruiti attraverso versi estremamente liberi quindi, dove, nel loro procedere verticale, gli spazi, l’isolamento dei termini, assumono la stessa importante funzione delle parole: dare vita a un ritmo, amalgamarsi all’interno di una melodia, scoprire suggestioni e sensi. Poesie fatte di parole, dunque, scolpite nella pietra. E di immagini, spesso visionarie, frammentate, dirette, cercate in luoghi celati dell’anima.
Non è facile definire per me chi sia Leunam, se non entrando in una dimensione artistica in cui realtà e sogno, poeta e poesia, si plasmano confondendosi in un’unica sensibile esistenza. Così Leunam diviene la poesia stessa, scintilla e musa che suggerisce e alimenta il fuoco del poeta.»
In questo lungo arco temporale la poesia fu per me una presenza straordinariamente forte, la quale, senza avviso, nei momenti più inaspettati, decideva allora di farmi visita, bussando.
La porta dei versi a quel tempo si trovava chiusa; la mia presa di coscienza artistica non aveva raggiunto un compiuto sviluppo.
Successe, con il completamento della scrittura di Leunam e con la sua pubblicazione, che quella personale porta, si spalancò.
Fu sufficiente solo un anno per terminare la mia seconda raccolta, Prima del crepuscolo[6]. Un periodo molto intenso dal punto di vista creativo, nel quale stavo abitando nella città Santo Domingo, in Repubblica Dominicana.
Durante questi mesi assunsi un atteggiamento costituito da un abbandono totale, cosciente, trepidante nei confronti della musa. Un vestito poetico ricoprì per intero la mia vita, facendomi vivere un’esperienza profonda, fatta di attese e creazioni continue, in cui ignoravo costantemente quando la poesia avrebbe annunciato la sua prossima comparsa.
Non posso non citare a questo punto una bellissima pagina scritta di nuovo da Leone Piccioni[7], dove viene ben raccontato il modo d’incontrarsi del poeta – ancora Ungaretti – con la dimensione folgorante della Poesia; nella quale un’umanità sorpresa si ritrova di repente sommersa nello scontro con un’esperienza peculiare e travolgente:
«Conosco Ungaretti come un allievo un Maestro, da 25 anni, e l’ho visto in tante diverse situazioni di vita, ed anche al lavoro, scrivere, correggere, prendere appunti, tradurre: ma tante volte, in casa, o in tram (la “circolare” dall’Università a casa dopo le sue lezioni: facendo magari due volte di seguito l’intero percorso di tutta la cerchia della città, perchè, perso il senso del tempo e delle persone – della fermata giusta, lì all’Aventino, ai piedi di San Saba, non s’accorgeva), o in viaggio, m’è parsodi sentire che qualcosa all’improvviso l’afferrava, entrava dentro di lui: come dicevano gli antichi, veramente lo “possedeva”.
Era la subitanea insorgenza dell’ispirazione, e allora, a smaniare, a muoversi, a sussurrare, ma anche a gridare, non importa chi ci fosse accanto, come in un parto sempre lacerante per sforzo e per dolore, fino ad afferrare il verso, a segnarlo, o a dirlo a voce, in tanti toni diversi: nasce così in lui la prima struttura del verso, sulla quale poi, egualmente tormentosa, si scatenerà per quel suo cammino di progressivo avvicinamento al modello, la serie delle correzioni e delle varianti. E so, dai suoi stessi racconti o da quelli dei suoi cari, che talvolta, dopo una quieta sera, coricatosi con calma (magari dopo la partita a “canasta” che per un lungo periodo giocava con la sua cara signora Jeanne) se d’improvviso, il misterioso demone della poesia si impossessava di lui, ma che più sonno, che più quiete!: agitazione frenetica; via dalle lenzuola, a camminare, a smaniare la notte per casa, fino ad avere carta e penna, a cominciare a scrivere, a segnare.»
Con Calipso[8], il mio terzo lavoro, le acque ritornarono calme; la sua composizione infatti, fu l’apice dell’evolversi naturale di un lunghissimo viaggio verso la sua conclusione.
Considero Leunam, Prima del crepuscolo e Calipso un trittico poetico dove si sviluppa un percorso, che dagli albori, dai primi sguardi, dai primi passi, procede audacemente in un esteso errare, in un’intima navigazione diretta, infine, al porto d’origine. Non a caso quindi, la terza silloge viene pubblicata quando, nel 2014, si concretizza dopo quattro anni e mezzo il mio ritorno in patria.
Nei Luoghi sepolti[9] la dinamica poetica subisce una variazione sostanziale. La poesia non è più solo una variabile imprevedibile per il poeta, ma una meta che egli cerca in determinati punti dello spazio.
La poesia diviene ricerca e non più attesa, il poeta uno scopritore e non più passivo ascoltatore.
Non è più allora la musa che bussa alla porta del poeta, ma egli, cosciente del proprio movimento, diventa un esploratore dello spazio poetico, inteso come spazio del corpo e della mente, attraverso quegli infiniti luoghi ispiratori che gli stanno vicino, o che necessitano un viaggio per essere raggiunti.
I luoghi sepolti sono quindi questi: luoghi celati e reali capaci, se stimolati, di divenire luoghi emanatori di poesia.
Questi stessi possono anche presentarsi come del tutto sconosciuti al poeta, eppure, farsi sentire attraverso un sentimento inconscio che si tramuta in un desiderio artistico di nuova purezza creativa, ed al quale l’autore sente d’essere attratto con forza.
In questo modo nasce il poemetto allegorico in versi liberi dal titolo, Il giorno in cui il Tempo distrusse i sepolcri; si riallaccia al pensiero di Foscolo[10], e vuole essere un omaggio alla Poesia, ed a tutti i poeti. Oltre che una riflessione sul bene, e sul male, poli tematici vitali di tutta la mia opera.
In conclusione, una delle cose che penso di aver capito fin qui – ma chissà quante altre ho colto, quante mai avranno risposta e quante invece non ho ancora compreso – è che se la Poesia diviene un potere dell’uomo/poeta, capace di carpire lo spirito della musa dai luoghi, dalle storie, dagli oggetti, dalle cose nello spazio attorno, è perchè costui, scelto da quell’ignoto dove le stesse parole vengono forgiate, liberate, e verso il quale sempre sarà istintivamente sospinto, è passato per un addestramento fatto di innumerevoli possessioni, subitanee, inattese, alle volte attese. Il poeta si trasforma non soltanto in un essere umano con un dono, ma in un uomo speciale che utilizza un dono a seconda della propria volontà, in sintonia con la musa. In questo senso sì, allora, egli può essere paragonato ad un veggente.
Infine qualcuno si chiederà cosa penso della metrica. La metrica è, per chi la sfida, un magnifico gioco sonoro e poetico; per chi non la guarda invece, salvo intimo desiderio, è qualcosa della quale non avverte la mancanza, in quanto insita nella profonda libertà del verso, e ad essa subordinata.
[1] Lungo il cammino universitario incontrai un esame che mi avrebbe cambiato per sempre: filologia italiana. Il tema sul quale s’incentrava era L’allegria di Giuseppe Ungaretti. Scoprì così il mio Maestro. I suoi versi, per me, furono luce pura. Queste poesie scarne, essenziali, costituite da brevi versi, eppure, così irraggiungibili, furono la scintilla che diede vita alla mia ispirazione. Di fronte a tale bellezza, riconobbi uno stile, una maniera di utilizzare la parola, di intendere la poesia, e un segreto di fondo, nascosto quanto imprevedibile; riconobbi una mano tanto meticolosa, lavoratrice, accordatrice; riconobbi questo e altro ancora. Infine, vidi me stesso. Una delle cose che più mi affascinarono di Ungaretti fu il suo labor limae, il lavoro attento e costante attorno alla parola.
[2] PICCIONI L., Studi su Ungaretti. Una perpetua poesia maggiore, in UNGARETTI G., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 2011 (Prima edizione 1969), p. XVI.
[3] Fu un incontro con Ungaretti a cura del giornalista Ettore Della Giovanna; l’intervista venne rilasciata alla Rai, ed è visualizzabile in Internet.
[4] PICCIONI L., Studi su Ungaretti. Una perpetua poesia maggiore, cit., p. XVII.
[5] PAOLINO M., Leunam, Perugia, Midgard Editrice, 2011.
Nei primi anni dell’Università iniziai ad avere una forte attrazione per la parola. Trovavo in essa sicurezza, controllo, armonia. La parola, lentamente, a piccoli passi, incominciò a divenire il mio personale universo. Fu un documento Word lo strumento che diede impulso a tutto. Scrivevo, appuntavo, usavo le parole su questa tavola bianca, luminosa. Parole per dare i nomi ai mesi, come fossero i capitoli di un libro, in base a quello che accadeva nella mia vita. Parole per cantare i miei innamoramenti, e per definire i miei stati d’animo. Parole insieme ad altre parole per cercare qualcosa di cui ancora non conoscevo la forma. Così, passarono i mesi, gli anni; quelle antiche pagine Word, ora, erano divenute un mondo. Ma mai, nemmeno per un secondo, avevo pensato di poter essere un poeta. In seguito, da quel mio zibaldone virtuale, estrapolai solo alcune liriche; fu tuttavia una genesi fondamentale per il mio percorso futuro – segnato dall’incontro con L’allegria (cfr. nota 1) – e per la composizione della prima silloge.
[6] PAOLINO M., Prima del crepuscolo, Perugia, Midgard Editrice, 2013.
[7] PICCIONI L., Studi su Ungaretti. Una perpetua poesia maggiore, cit., p. XVIII.
[8] PAOLINO M., Calipso, Perugia, Midgard Editrice, 2014.
[9] PAOLINO M., I luoghi sepolti, Trieste, Produzione Manuel Paolino, lulu.com, 2014.
[10] Dal suo pensiero si desume l’importanza della poesia come veicolo eterno di valori e, insieme, testimonianza del potere creativo dell’uomo. Solo la poesia è in grado di vincere il tempo che tutto distrugge e travolge, anche i sepolcri; a lei spetta l’altissimo compito di tramandare non solo il ricordo e la gloria degli eroi, ma anche i valori che essi affermarono.
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