(Non amo né Maometto né quegli altri
che di parlar sostennero col Dio:
furono certamente molto scaltri,
non proprio quelli che più stimo io;
però talvolta dissero, costoro,
cose che stanno bene in cielo e in terra,
fecero veramente un buon lavoro
contro certuni, lor muovendo guerra. )
Penso che non sbagliasse il buon Maometto,
in una sura di quel suo Corano,
a condannare in modo alquanto netto
i poeti di un mondo sì lontano,
perché di giovanotti sfaccendati
si trattava, ben pronti a decantare,
con lo scopo di esser ricambiati,
muliebri prede di cui approfittare;
e bevevano spesso, s'ubriacavano,
dilapidando i loro capitali,
e nelle varie "shi'r" sempre esaltavano
un mondo senza validi ideali.
Ed attraverso elaborate forme
quei poeti miravano soltanto
dal petto a fare emergere un abnorme
di sensazioni ammasso e darsi vanto.
L'Islam nascente s'era ormai orientato
invece verso cose più concrete,
quelle che poi l'avrebbero portato
nelle scienze a raggiunger tante mete.
Allah era lassù: non potevamo
noi miseri mortali figurarlo,
e con parole poi non dovevamo
ambire scioccamente ad uguagliarlo!
E la poesia, se esistere voleva,
seguir doveva schema ben preciso,
simile a matematica, che aveva
un rispetto da tutti condiviso.
(Se dei secoli dopo fosse nato,
il capo dell'Islam avrebbe avuto
certo stima di Dante, dell'innato
suo aritmetico stile risoluto. )
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