Imploravo te, Angelo Custode,
t’imploravo nel silenzio
perché tu e solo tu
avresti potuto avere clemenza.
Ignoravo la mia colpa
ma conoscevo la loro condanna.
Ero un corpo calpestato fra tanti
indegno d’umano rispetto
per chi s’assurgeva a prediletto
con la sua ferocia legalizzata.
E chi avrei potuto invocare
io, nudo tra i nudi
per volare via dall’Inferno terrestre?
E così mi sono affidato
alle mie invisibili ali di farfalla
per non finire sulle reti fulminanti
e sono volato via in un prato
romito e verde, in mezzo ai fiori.
Ed ero già io stesso un fiore
nutritomi delle mie stesse ceneri
prodotte in quei camini ardenti
lontano dagli occhi sicuri e salvi
di chi regnava nel suo Paradiso terrestre.
Oggi quei fiori sono appassiti
divenuti concime per un albero vigoroso
le radici salde al suolo
e fruttifica parole mature
e il mondo dovrà raccoglierle
per assimilare rispetto.
Donaci Signore
bocche per raccontarle
penne per tramandarle
orecchie per sentirle
cuore per nutrirle
testa per non dimenticarle
perché non accada ancora
e ancora, come allora.
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