Pubblicato il 12/03/2012 10:21:43
LA CULTURA DELL’OBLIO
di Ninnj Di Stefano Busà
L’accantonamento e la rimozione del fattore culturale sembra la moda di oggi. La modernità propone un volto devastante in cui tutti rischiamo di entrare in un terreno minato che ci rende opachi spettatori di una vita che non ci apppartiene, se non nelle apparenze: contraddittorie, vanificanti, decadenti, svuotate di ogni immaginario collettivo e individuale. In questo territorio impervio si staglia una decadenza di valori e di significati che trovano facile attecchimento e ampi consensi in una visione di vita, senza Dio. L’uomo della postmodernità rischia così’ di essere un assuefatto spettatore di se stesso, imprimendo alla cultura dell’oblìo la sua più alta accelerazione. L’uomo contemporaneo divenuto scettico e insensibile ai richiami della civiltà e dell’umanesimo, si è man mano avvitato su se stesso, rimanendo impigliato nei vortici pericolosi di una rimozione di <coscienza> paradossale e grave dal punto di vista umano e divino. Divenuto cosi, estraneo a se stesso, si è visto scardinare tutte le capacità raziocinanti del pensiero da un crogiuolo di “globalizzazioni” alienanti, in cui tutte le certezze sono venute meno e l’individuo si ritrova azzerato e depresso. Nietzche, in origine aveva interpretato e intuito la necessità dell’ <l’uomo nuovo>. Ma l’uomo nuovo della contemporaneità è un pellegrino, nomade, sfiduciato e assente che, pur respingendo la nullificazione dei propri sentimenti, si allinea ad un processo di nichilismo collettivo, socio-culturale e programmatico di tutti i fattori riconducibili alla sua volontà di <essere>. Una sorta di fantoccio in mano a forze oscure, non in grado di realizzarsi in un progetto alto della storia, o di portare a compimento una nuova “innocenza” e un nuovo sogno di redenzione e di riscatto. La sua realizzazione ha diverse lacune che il contenuto e la forza morali non possono estrinsecare, proprio per quel retaggio di dolorosa “amnesia” che determina l’abbandono dei suoi progetti più alti. L’assuefazione allora è il peggiore nemico per l’umanità diseredata, offesa e deprivata dal suo ruolo di coscienza autonoma. La chiesa si allontana sempre più da quella visione ontologica di speranza e di apertura verso l’aldilà, non ha più attrattive né consensi, spesso entra in polemica e in sofferenza coi problemi più elementari e stringenti dell’uomo moderno. Su questo sfondo si delinea una pericolosa e inquietante deriva. la mancanza di Dio nel tragitto dell’individuo. La crisi dell’umanità ha determinato la catastrofe del pensiero, il declino della solidarietà, l’allontanamento dai valori e dalle prospettive etico-morali che orientano l’esistenza . L’atteggiamento più facile diventa, allora, passare all’amnesia tout-court, azzerarsi, avere sempre meno capacità induttive e di pensiero, rimuovere l’ortodossia per sopravvivere alle ceneri di una catastrofe di proporzioni globali. La fede vacilla, il senso della religione è in grande ambascia, anch’esso un segno dei tempi: se alcuni decenni addietro era impostato sul “Dio si, Chiesa no”; oggi si proclama più scettico e agnostico che mai: con “religione no, Dio no” correndo il rischio di svuotare definitivamente da ogni significato etico e profetico il senso del Vangelo. Certa teologia vede nel fatto umano la prassi di adeguamento ai tempi, ma spesso solleva inquietudine e sofferenza l’assenza di Dio nella società, nell’individuo, ancor più che nella questione di isolamento dalla fede. La tematica del <male> presente nella sequela delle assenza e della privazione del volto di Cristo è una questione morale che riguarda tutti, da cui non è auspicabile allontanarsi, previa la tragedia immane e il declino etico cui stiamo assistendo nell’era della postmodernità: un delirio assurdo, inconcepibile, una deviazione e un piano inclinati da cui è impossibile prevedere le conseguenze e il disfacimento della razza umana a breve scadenza
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