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Mia Adorata

di Giuliano Brenna
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Pubblicato il 25/01/2008

Mia Adorata voi sapete quanto mi strugga della vostra assenza, malgrado ciò non ho potuto esimermi l’altra notte dal partecipare al ricevimento della mia adorata cugina, la marchesa di xx. In questa mia non starò a gettare ai vostri piedi il mio cuore ed esprimervi miei sentimenti che già ho avuto modo di svelarvi però, sperando che la cosa possa rallegrare il vostro soggiorno alle terme, vi descriverò gli invitati di quella che è già stata definita la serata più brillante dell’intera season.
La mia signora cugina sfoggiava un abito di un arancione caldo, in cui la morbidezza del tessuto e l’abilità delle pieghe ricordava la dolce, trattenuta mollezza dei cachi ben maturi. Il suo aspetto curato ma un tantino rubizzo ricordava proprio la prontezza di quei frutti nell’attimo irripetibile in cui sono ben maturi ma non ancora sfatti. La signora duchessa, di lei madre, nonché mia venerata zia, invece indossava un abito candido, quasi vaporoso, ma di una vaporosità oserei dire friabile, come di farina appena setacciata, e qualche gemma che decorava l’abito faceva pensare a dei granelli di sale e bicarbonato, altrettanto candidi ma di un candore differente, più luminoso.
Il generale, augusto consorte della mia signora zia, presidiava dalla sua poltrona Aubusson, con aria marziale ma il candore quasi latteo dei suoi favoriti faceva sembrare meno minacciosa la sua divisa gallonata. Mentre tutti si abbandonavano ai pettegolezzi un po’ saporiti ma non del tutto piccanti, quasi di una speziata dolcezza, che ricordavano il chiodo di garofano e la noce moscata, il signor generale se ne stava sempre sulla sua poltrona tenendo fra le mani una coppa di ottimo cognac in cui si insaporiva della passolina di Smirne, a ricordare nel clima ormai gelido della nostra amata capitale il dolce sole delle devote colonie.
La marchesina, mia scialba cugina, come al solito stava in disparte mangiando gherigli di noce con aria accigliata.
Ad un invisibile cenno, l’orchestra appositamente giunta da Vienna, attaccò la prima polacca, a cui invitai la mia adorata cugina; mentre volteggiavamo nella stanza, un po’ per il caldo, un po’ per lo champagne bevuto, cominciai a sentire il profumo dei pettegolezzi mischiarsi con la polposità del frutto che l’abito della marchesa aveva evocato; i nostri piedi volteggiavano, quasi come se a questo frutto avessi aggiunto dell’olio di oliva.
Incrociando la signora zia col marito, fu come se la farina del suo abito, il latte dei favoriti del marito che con lei volteggiava, si fosse unito a noi, alla nostra polpa di cachi ben speziata. Anche la coppa di cognac si era venuta ad unire a noi, con la sua preziosa uvetta, la marchesina, stanca di stare in disparte si aggiunse al gruppo delle persone che danzavano, portando a questa miscela di elementi dissimili, anche la ruvidezza del suo carattere e delle sue amate noci. Al termine della danza passammo in un fumoir, caldo, per restarci almeno un’ora e mezza, e portare così a compimento la nostra serata, dolce e suadente come un pudding di cachi.
Ora, mia adorata, con questo mio omaggio mi auguro di potervi presto tenere fra le braccia e resto devotamente il vostro umile servo.
con l’affetto di sempre


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