La donna guardava il marmo freddo. Tre quarti di profilo perfetto. Un cristallo seccato dal sole, impercettibile, rivelava che aveva pianto. Almeno una volta. Forse, solo quel giorno. Ma il trucco sul volto restava immune.
Sua figlia la guardava. Non capiva perché l’essere umano avesse inventato una cosa così, una cosa come questa. Negli anni avrebbe trovato la parola adatta: perversa. I morti stipati in loculi come prodotti nei supermercati.
Sua madre era alta, dritta sulla scala come la cassiera del supermercato dietro casa, e suo padre, era tanto alto anche lui, come poteva entrare lì dentro? Ma a scuola le avevano detto che un tonno era alto più o meno quanto lei. Ecco, in scatola. Nessun problema. Bastava smembrarlo. Staccare la spina dorsale. Al corpo di suo padre doveva essere successo qualcosa di simile, forse.
Del marmo ricordava soprattutto il riflesso rosato. Il sole lontano da qualche parte, e l’improvvisa sfumatura di rosa. Il rosa non le piaceva. E neanche il marmo. Il marmo era la tromba delle scale, il corrimano freddo, alto come lei, nero come la pelle del tonno. Sei piani a piedi per arrivare lassù. A scendere sembravano meno.
Negli anni avrebbe scoperto che i piani erano solo due, sei erano gli anni che aveva. A tornare indietro sembravano di meno. Possibile fosse stata così piccola? Più bassa di un tonno?
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