Pubblicato il 08/10/2018 14:57:35
Quante volte ho preferito l''amaro sapore di incerte delusioni al sapore dolciastro di una certa serenità.
Quante volte ho preferito una calma apparente, imprigionata nell'occhio del ciclone, appena preceduta e immediatamente succeduta ad una preannunciata tempesta permanente.
Quante volte sono sfuggito alla consapevolezza che quel tempo onirico si sarebbe infranto in mille cristalli affilati come lame di rasoio.
Quanti sobbalzi hanno placato l'ineluttabile divenire dell'essere, la manifestazione terrena di una realtà che non m'appartiene e quante lacrime hanno provato in vano a scavare un sentiero su di un cuore ormai inaridito, per lavare via un la polvere di un passato che volevo rinnegare ma non riuscivo ad abbandonare.
Quante volte ho provato a rinchiudere il mio dolore in un baule, aggiungendo catene su catene, provando a nasconderlo negli anfratti più oscuri e irraggiungibili della mia anima, nei microscopici frammenti del mio cuore infranto, nell'illusoria essenza di un unica entità ormai perdura, senza mai riuscire ad imbrigliare realmente la sua natura eterea che trascende le pareti e risale dagli abissi.
Quante volte ho saccheggiato la mia mente rincorrendo pensieri, ricercando idee, parole scritte in una lingua mai esistita e trasmutate in una criptica incisione funesta sulle porose pareti del mio cuore, inaridito e strabordante di sogni infranti.
Quante volte ho provato chiudere gli occhi, a mettere ordine nell'accecante oscurità del vuoto cosmico che avvolge e distrugge la mia vita lasciando d'essa, soltanto l'amaro sospiro riposto in uno fetido baule di legno, marcio, come le mie ossa stanche, prigione eterna della mia anima rampicante, infestata dai mille scheletri del mio passato in un supplizio che non conosce fine.
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