Pubblicato il 25/12/2009 06:14:20
L’idea gli venne davanti ad un foglio bianco, una sera che finalmente gli era riuscito di metterselo davanti, ritagliando dai numerosi impegni un piccolo spazio temporale da dedicare al suo hobby preferito, alla sua ambizione più recondita: sviluppare i suoi pensieri e trasformarli in una forma letteraria da trasmettere agli altri, fossero anche soltanto delle semplici memorie autobiografiche per i suoi discendenti diretti.
Ma per quanto si sforzasse, non gli riusciva di richiamare dal limbo fluttuante dell’immane congerie del deja-vû (o meglio, del deja pensé), neanche una delle mirabili intuizioni letterarie che nell’ultimo mese avevano attraversato come lampi lo spettro del suo raziocinio. E il foglio continuava a restare desolatamente bianco.
Fu così che gli venne l’idea di costruire un acchiappa pensieri. Non doveva poi essere così difficile, per un ingegnere specializzato in elettronica molecolare di base, primo classificato nella sessione di laurea 2022-2023 al Massachussetts Institut of Technology di Cambridge.
Quando si rese conto che quel piccolo apparecchio computerizzato, ottenuto sostituendo i microprocessori al silicio di un normale computer con dei chips organici, il cui principio attivo non era altro che la ripetizione del processo fissativo della memoria cerebrale, assolveva in pieno la funzione per cui era stato concepito e creato, il brillante ingegnere ed aspirante scrittore, non pensò nell’immediato, di avere dato un significativo, ulteriore contributo al progresso scientifico e tecnologico dello scibile umano. Non gioì, come sarebbe stato normale, per il fatto che la sua invenzione costituiva un altro importante tassello di quel maestoso mosaico che l’uomo aveva iniziato a comporre migliaia di anni avanti con i primi rudimentali disegni sulla roccia, con l’alfabeto, la registrazione, quella visiva, olfattiva e via, via, elencando. Neppure realizzò sul momento gli importanti profitti che gli avrebbe fruttato la mirabile invenzione.
Ciò che maggiormente lo fece contento fu invece la possibilità di racchiudere in quella scatoletta i suoi pensieri; quelli sfuggenti ed imprendibili che ti colpiscono mentre distrattamente guardi fuori dal finestrino di un treno o di un tram; o magari mentre mangi meditabondo in un solitario self service; oppure nelle svariate circostanze in cui è macchinoso, se non impossibile, trovarsi con un registratore vocale o, peggio, con una penna in mano ed esser pronto lì, seduta stante, a dettare o scrivere i tuoi pensieri, sciupando quel magico, silenzioso e intimo momento, che trasposto fuori dalla mente, perde inevitabilmente quella sintetica ed indecifrabile unità che solo il sogno e il limbo della mente riescono a preservare.
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