“ANONYMOUS”, dal libro di John Underwood, al film di Roland Emmerich.
John Undewood “Il Libro Segreto di Shakespeare” – Newton Compton Editori 2001.
“Anonymous” – film di Roland Emmerich , distribuito da Warner Bros. Pictures Italia.
Lo stesso artificio del “teatro nel teatro” così come si è poi rivelato passando dal “teatro al cinema” è quello che ritroviamo da sempre nel passaggio dalla letteratura nel teatro o nel cinema, cioè uno stravolgimento d’intenti che se da un lato si arricchisce d’immagini, talvolta anche stupende, dall’altro s’incontra con una irrealtà superiore, che va oltre e che supera se stessa, come per continuare il gioco di parole dell’inizio, di “irrealtà nell’irrealtà”, dove l’illusione supera di molto l’immaginazione, che qui diventa “fantastoria”. È il caso della domanda che si chiedono i due autori (e non solo) del libro e del film attorno alla paternità delle sue opere: Se Shakespeare …? Alla quale io aggiungo: Perché Shakespeare …? La risposta data al probabile “anonymous” autore della vasta letteratura shakespeariana è la stessa contenuta sia nel libro che nel film: “Perché voi siete il Tempo!”, che risuona come l’unica possibile, la sola accettabile a quasi quattrocento anni dalla morte dello scrittore. Di fatto si offre qui una risposta ai tanti enigmi dietro la figura di Shakespeare, mettendo a nudo un particolare periodo storico dove le rivalità e i complotti nell’Inghilterra Elisabettiana (fedelmente ricostruita) erano all’ordine del giorno e forse (dico forse), il Duca di Oxford Edward de Vere, poeta e drammaturgo del XVI secolo, non avrebbe potuto scrivere per il teatro, o almeno non certi drammi che riflettevano la vita di corte e fatti ad essa inerenti che vedevano coinvolte figure autorevoli come, ad esempio, il potentissimo consigliere di corte o il precedente re o la stessa regina. Fatto è che al Globe di Londra, il teatro dove le opere di Shakespeare venivano allestite e riconosciuto fulcro del teatro elisabettiano, quelle rivalità e complotti interni alla Corte Reale venivano smascherati con la messa in scena “borghese nella scrittura ma plebea nella realizzazione” e portati alla conoscenza di tutti. Cosa intollerabile per quei tempi, ed è per questo plausibile il “gioco” cioè la finzione su cui operano i due autori: John Underwood pseudonimo di Gene Ayres noto sceneggiatore cinematografico (Universal Studios e Warner Brothers), che ha firmato questo libro, e il regista di successo Roland Emmerich (Indipendence Day, 2002 ecc.) che insieme a John Orloff è anche sceneggiatore del film. Il risultato è appunto quel “letteratura-teatro-cinema” che se da un lato ci regala un excursus dell’opera shakespeariana apprezzabile fino a un certo punto, dall’altro ci presenta uno Shakespeare impostore e truffaldino che si appropria dell’identità di qualcun altro, il cui stesso nome è inventato dall’autore delle opere. Quell’ “anonymous” appunto sul quale è costruito il thriller politico del film, che solo in parte, e relativamente all’argomento centrale dell’enigma Shakespeare, è ripreso dal libro di John Underwood. Due momenti diversi, quindi, entrambi godibili sotto l’aspetto del thriller, un po’ meno sotto l’aspetto storico, e tuttavia impegnativi: il libro per lo sviluppare ciò che gira attorno al mondo dei librai, con manoscritti enigmatici e falsari che manomettono la “verità” su cui il thriller si basa; il film per aver ricreato un’ambientazione “goticha” davvero speciale tutta giocata attraverso il frequente passaggio dal buio alla luce delle candele che rendono al meglio le incredibili (viscontee) scenografie di Sebastian T. Krawinkel, magnificate dalla straordinaria fotografia di Anna Foerster; e dalla ricercatezza, da sottolineare, dei costumi realizzati da Lisy Christl. Su tutto, autori e interpreti, personaggi “reali e irreali” del libro come del film dimostrano qui avere una grande passione per il teatro, per quel teatro che se da una parte si prende gioco della “realtà” per essere esso stesso finzione, da sempre ci regala emozioni e in qualche modo illumina la scena del mondo. E che, guai ad abbandonarlo, lasciandolo finire asservito ai giochi di potere della politica, o relegato alla sola mondanità. Quello stesso teatro che un tempo faceva opinione pubblica, come è appunto ben dimostrato nel film, che era e continua ad essere fonte di cultura, di civiltà sociale, di quell’umanità che in fondo è vita. E chi meglio di Vanessa Redgrave, straordinaria nella parte di Elisabetta I d’Inghilterra può dirlo, se alla sua età e dopo una lunga carriera cinematografica è tornata alle scene. Sorprendente è Rhys Ifans (Notting Hill, I Love Radio Rock ecc.) nelle vesti del protagonista, appunto l’autore “Anonymous” del titolo.
Dichiarazioni del regista riprese da “Sprint Web Magazine” – Anno XI n.112 Nov. 2011:
La biografia di Shakespeare non mi fa pensare a quella di un artista. Quest’uomo era un ragazzo di campagna. Se pensiamo a un autore bisogna subito risalire al contesto storico in cui viveva. Quando ci si trova di fronte al corpo delle sue opere viene subito da pensare a un uomo che ha viaggiato, parla molte lingue e conosce gli intrighi della corte elisabettiana. Questi elementi, messi tutti insieme, corrispondono più al profilo di Edward de Vere.
Sono venuto a conoscenza dell’argomento quando mi fu presentata la sceneggiatura. La questione è molto interessante perché il tema è supportato da forti basi emotive. La divisione più grande è tra artisti e accademici, dove gli artisti hanno difficoltà ad accettare che l’uomo di Stratford-upon-Avon abbia scritto le opere a lui attribuite. Mentre gli accademici insistono che tutti i lavori di Shakespeare siano immaginazione allo stato puro, il che è difficile da credere.
Inizialmente John Orloff mi fornì un soggetto di base ma si trattava essenzialmente di un triangolo di legami e di rivalità artistica tra il Conte di Oxford, William Shakespeare e Ben Jonson, in questo senso poteva ricordare il film “Amadeus” (con la rivalità tra Mozart e Salieri). Non c’era nessun accenno alle vicende di corte, non era contemplata la rivolta del Conte di Essex, così come tutto il contesto aggiuntivo che si vede nel film.
E allora dissi a John, “mi piacerebbe veramente sviluppare il progetto, ma manca di originalità!”. L’originalità si è creata in particolare con la trama che riguarda la penna segreta di Edward de Vere: in fin dei conti uno di corte poteva accedere a segreti e informazioni particolari che uno scrivano esterno come Shakespeare non avrebbe potuto ottenere.
Teniamo presente poi che molti dei soggetti delle opere di Shakespeare esistevano già in una forma o l’altra, ma che le aggiunte del bardo di Strattford-upon-Avon sono spesso molto particolari e intime. Prendiamo l’Amleto per esempio: come mai è presente questa forte ossessione nei confronto della madre? Forse perché vi potrebbe essere un elemento autobiografico riconducibile alla vita di De Vere. In tutte le opere di William ciò che è stato aggiunto è verosimilmente tratto dalla sua esperienza, e sembrerebbe riconducibile ad una vita di corte.
Curiosità:
In un periodo di conflitti intorno alla regina Elisabetta I, tra i Tudor e le altre famiglie nobiliari inglesi, si sviluppa una rete di cospirazioni. Edward de Vere, conte di Oxford, era un poeta e un drammaturgo affermato alla corte. Alcune teorie letterarie del XX secolo ritengono che sia lui in realtà l’autore dei lavori attribuiti a Shakespeare.
Tra coloro che nutrono molti dubbi sull’identità di Shakespeare vi sono nomi illustri quali Mark Twain, Orson Welles, Charlie Chaplin, Sigmund Freud e Jeremy Irons. Sulla questione sono stati pubblicati oltre 5000 libri che mettono in dubbio l’autorità di Shakespeare.
Nota d’autore: Inganno o no, tuttavia nessuno ha mai messo in discussione che l’opera di Shakespeare sia l’opera di un grande. E noi gliene siamo grati.