Avanza nella baia ad origliare il nulla
il suo cuore d’alga, s’incupisce
di quanto inverno copre le acque vuote.
Era uno di loro, la mano di lama
violenta tra code arenate
pietre dopo che il guizzo,
ultimo, donava il suo rosso
al sonno imbelle e sinistro.
Lo annienta il mare
la squama enorme impacciata
che rimescola, silenzia, torna sul fondo.
Un’onda d’oceano
accorre e non dà sollievo
ricacciata in bocche di sabbia.
Lui la segue, con il lamento di tutti i lamenti
di madri, figli e vecchie balene
pronte a morire dove si piega, in pace
la musica del mare.
L'immenso corpo ebbe un soprassalto, poi si immobilizzò in superficie, girato su un fianco, mostrando il dardo dell'arpione, mentre nella laguna la macchia scura si allargava, circondava la scialuppa. Stranamente, gli uomini erano ammutoliti. (J.M.G. Le Clézio, Il posto delle balene).
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