Aveva il volto cieco della storia, mia nonna, quando mi raccontava di guerre, stenti, lutti. Il pomeriggio, le leggevo il Libro Cuore: e piangeva, piangeva. Il Risorgimento era la storia dei suoi genitori, dei suoi nonni, la commuoveva la retorica di quel periodo. «Anch'io ho conosciuto un garibaldino», mi diceva. «Portava sempre la camicia rossa», ed io quella camicia me la immaginavo sempre lacera, sporca, aperta sul petto offerto al perfido invasor. Mi chiedeva di cantarle le canzoni che mi insegnavano a scuola. «Il Piave mormorava...», e lei piangeva e mi raccontava del suo primo marito, Renato, morto proprio lì, sul Piave. Nemmeno quel che si chiama l'onore di una pallottola: l'aveva stroncato il tifo.
Era lei la storia, per me, la Storia Patria, come si diceva allora. Sui sussidiari, l'astrazione delle date, delle battaglie. Sul suo viso, le rughe, i segni, le lacrime.
Cos'era poi per lei l'Italia? Non si era mai mossa dalla provincia di Roma, mai. Stava per farlo, stava per andare in America a raggiungere Renato, ma poi lui era dovuto tornare, coscritto, convinto con l'inganno. Gli avevano detto se che se non si fosse presentato alla leva, non avrebbero fatto partire mia nonna e la figlia che aveva lasciato là, in patria. Così, era rientrato. Il tempo di mettere di nuovo incinta sua moglie ed era partito per il fronte, per non tornare più. L'ultima guerra risorgimentale, la prima mondiale. La Grande Guerra.
«La patria è un inganno, una cosa per ricchi», mi diceva. «Per i poveri, la terra è terra, ovunque sia, basta che dia il pane». E stringeva le mani a pugno, come per trattenerla, quella terra, qualunque fosse.
Io non ho patria ma ho radici
larghe e profonde
Traggono linfa
dalle strade della mia città
lungo le linee delle generazioni
dai volti e dagli sguardi di chi amo
dalla millenaria esperienza del dolore
terra nera fertilissima
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