Tomas Tranströmer, Poesia dal silenzio, Crocetti Editore, 2011
Tomas Tranströmer, Sorgegondolen. La lugubre gondola, Herrenhaus Edizioni, 2003
Trascorso il tempo della notizia dell’assegnazione del premio Nobel a Tomas Tranströmer, è giunto il momento di passare alla conoscenza diretta attraverso la lettura dei suoi testi. Tra i maggiori poeti svedesi contemporanei, l’ottantenne Tranströmer, appena laureato in casa, vanta al suo attivo un numero di poesie piuttosto contenuto che coprono un arco di tempo dalla prima raccolta del 1954 (17 Dikter) all’ultima pubblicazione del 1996 (Sorgegondolen). Non molto conosciuto in Italia, sono finora state pubblicate nel nostro Paese soltanto due opere: nel 2003 Sorgegondolen. La lugubre gondola, per Herrenhaus, tradotto e curato da Gianna Chiara Isnardi con un ottimo apparato critico e l’antologia Poesia dal silenzio, a cura di Maria Cristina Lombardi, pubblicato da Crocetti la prima volta nel 2001 e in questi giorni in terza edizione. Conosciuto e apprezzato in tutto il mondo anche prima del più alto riconoscimento appena ottenuto, Tranströmer lo potremmo definire come un poeta metafisico del mistero, che si apre alla contemplazione del paesaggio naturale a specchio del paesaggio dell’anima e che lascia parlare entrambi con i loro linguaggi nel silenzio, creato come controcanto dalla parola umana che si ritira nella decifrazione dell’ascolto. Ne vien fuori un dettato coinciso, nitido, sostantivo, scevro da aggettivazioni. Per quanto misurato su toni musicali. Si è davanti ad un cartesianesimo e ad una geometria dello spazio e del tempo esterni, che nella loro interiorizzazione aprono all’ossimoro metaforico della percezione giocata in una dimensione gestaltica, che si fa parola tanto basta per accedere al sublime e al panico del paesaggio, che si fanno elegia dell’angoscia, dell’esistenza, della malattia, della morte, del vuoto, dell’ombra, della notte. Spazio e tempo colti nella loro fugacità al bello e sublime, che aprono nello stesso tempo a una pienezza dell’essere dell’anima. Caratteristica della poetica di Tranströmer sembra essere un’elegia panica dell’esistenza, nella quale la morte e il lutto fanno in qualche modo i conti con l’angoscia nelle more di risolvere la pseudo aporia della disperazione. In questo senso Kierkegaard sembra essere dietro allo scavo psicologico, che in tal modo diventa, più che psicologico, spirituale, aprendo alle sfere musicali di una dimensione altra da quella terrena, nella quale il poeta dice “Son trasportato dentro la mia ombra/ come un violino/ nella sua custodia nera”, facendo però intravedere la possibilità che per quanto nell’ombra della sua custodia il violino continuerà a suonare per sempre. Realismo metafisico, pertanto, quello di Tranströmer nella misura in cui coglie la realtà dell’esistenza, che se giocata nell’autenticità sa trasformare il vuoto del pessimismo in ottimismo pieno di speranza. La frammentazione dei versi, l’ellissi pressoché continua, l’allusione, l’ossimoro frequente, la metafora, tipici del poeta, stanno ad indicare come l’uomo sia fragile, quanto sia caratterizzato dal limite dei confini di questo spazio e di questo tempo. Ma lasciano pure intravedere una qualche possibilità di autenticità a contrastare il chiacchiericcio: il silenzio, che piano piano fa posto alla parola poetica, la quale apre alla radura della salvezza, a quel Dio, che, pur non detto, è. Sembra proprio di poter dire che Tranströmer, sulla falsariga di Kierkegaard, sia proiettato con la sua poesia, piuttosto che a soddisfare il tempo, a soddisfare l’eternità.