Noura impugna il coltello
alza il braccio il manico stretto
le rema contro il sudore della mano che
trema, una nuvola alta
passa e se ne va, poco lontano.
E se ne va lo stupratore plumbeo con
quella reverenza che il cielo gli riservò.
Ora sangue e tutti intorno
sembra quasi un tramonto
sul mare forse Dio piange.
Verseranno lacrime
che la madre tenne strette a sé,
sorseggiandole muta in una tazza di tè
alla menta
opaco di menzogna
ed un fondo corposo di violenza
su quella creatura snella,
Noura dalla pelle scura,
che con gioia correva a scuola, presente sempre
strappava gesti d'affetto appoggiando il capo al petto,
sposa senz'amore bambina.
Senz'anima venduta, un patrimonio,
Noura dallo sguardo assente, che deve
restare in famiglia. Il cugino scelto
ora di diritto la possiede.
La usa e la getta; non un giorno solo.
Noura grida no, no. No tenuta ferma
dai maschi del branco che mangiavano
al tavolo retorico dell'aulico salotto, afona.
Noura chiese acqua.
Stracciati i petali,
calpestarono il bulbo.
L'asfalto è nero più della notte
piegato, lo stelo,
l'orizzonte piagato.
Della sera innamorata della vita,
o della luna che arrosisce,
della stella palpitante nell'anima,
liquida e calda, non conobbe nulla.
Il lungo abbraccio
al rientro, sotto il portone
il sorriso involontario,
al ricordo, non conobbe mai.
Ne ascoltò quieta i canti
la indussero a sogni dolci sul futuro lieve.
Allora Noura chiese acqua.
E urlò il coltello, poco lontano.
E tra il tremore Noura affonda.
Il sole tramonta.
Se mi impiccheranno mamma
ricorda loro che Noura chiese acqua
ed una identità.
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