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Dramma della gelosia

di Adielle
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Pubblicato il 16/05/2018 05:11:27

 

 

Ho indossato il sorriso distante

ai piedi le scarpe da ballo magenta.

La luna calante di taglio

a custodia del lago, tranquilla la sera.

L' albero a pinna sull' acqua

un dorso di cervo la corda

che ho teso sul ramo più alto

la volta che ho tolto corrente alle tempie.

Lei incinta, io sterile.

 

Scese piano le scale alla moda

indossava una candida veste

gonfia sul ventre maturo

di madre naturalmente irrisolta.

Si fermò all' altezza che tutto consuma

se ti lasci cadere nel vuoto

con la speranza finita e sedotta

di potere ancora alzarsi in volo.

 

Il nodo scorsoio scortava il mio collo

fin sulla riva del lungo digiuno

le stelle cui mi abbandono fanno capolino nel cielo

sembrano echi di mondi lontani

stagioni passate e future in un unico dono

senza che sia possibile presente alcuno

e mentre lo penso, magari lo sono

proiettate dai miei umidi occhi.

 

La spinta che la spinse giù dalla lama sottile del cordolo

fu la paura di non essere niente

più e ancora di concreto e fruttuoso

che come a vento o aria tornasse

la materia incombusta del suo ventre luttuoso.

L' uno l' ho amato con la perizia del giunco flessuoso

che contempla una vita serena in riva ad un placido fiume

con le vene dei polsi tremanti, l' altro,

sangue del suo sangue copioso.

Come ho potuto pensare

che non se ne sarebbe versata una goccia?

 

Mi ricordai di quei teneri baci

sul molo d' estate al ritorno

da quel breve viaggio in sordina

con le mani a cercare riparo

nei reciproci corpi confusi

il faro a illuminarli a intermittenze regolari

i gabbiani testimoni senza diritto di parola, oculari 

come il mare vicino

che ancora non vanno a dormire.

 

Le promesse lasciate sul tavolo ogni mattina

quotidiani preliminari ad una giornata dedicata

a vani tentativi di mantenerle tutte

quando il latte bolliva, nella prima colazione da innamorati

e la scatola dei biscotti era ad altezza d' uomo.

Le bugie ancora di quella natura

che mai contempla intuizioni d' abbandono.

Le ore notturne dedicate a fare l' amore

a prendersi cura delle ferite

riportate nei conflitti dell' era volgare

del giorno appena trascorso.

 

Quella vita mi piacque

come mi piacquero i seni, il ventre e le cosce

il culo ed il volto

le abitudini selvatiche, le parole sussurrate nel buio

i tendini d' assalto, la corrida dei ricci corvini

i nodi alla gola oscuri presagi

i baci a ricomporre i cocci dell' anima alla deriva

con saliva d' oro e vele di fresco spiegate.

Ma anche caviglie sottili e lingue di fuoco

devono meritarsi un solerte perdono.

 

Il fratello gli si scopa la moglie e lui è impotente

vox populi vox dei

il ritornello che si canta in paese.

Mio fratello, mia moglie

nè l' uno nè l' altra mi appartengono

e nemmeno "il figlio della colpa"

è la dura lezione che ho dovuto mandare  a memoria.

 

Quando la verità venne a galla

come cadavera da piena inconsulta

innescò processi di condanna 

da cui nessuno sarebbe stato assolto.

 

Ho dovuto penzolare da un albero in collina 

per vedere dalla giusta distanza le cose che scorrono.

Adesso me ne vado dove ci si abitua al nulla, alla fine

di un sonno senza sogni che tengano

e l' unico mio sogno fu quello, in una veglia da ingenuo

di avere una famiglia sana e felice

ma come fosse possibile per dei cuori malati

non osai mai chiederlo in vita.

Questa l' unica colpa che mi riconosco

tutto il resto è acqua passata

fiore di giunco, effetto farfalla.

 

 

 

 

 


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