Ho indossato il sorriso distante
ai piedi le scarpe da ballo magenta.
La luna calante di taglio
a custodia del lago, tranquilla la sera.
L' albero a pinna sull' acqua
un dorso di cervo la corda
che ho teso sul ramo più alto
la volta che ho tolto corrente alle tempie.
Lei incinta, io sterile.
Scese piano le scale alla moda
indossava una candida veste
gonfia sul ventre maturo
di madre naturalmente irrisolta.
Si fermò all' altezza che tutto consuma
se ti lasci cadere nel vuoto
con la speranza finita e sedotta
di potere ancora alzarsi in volo.
Il nodo scorsoio scortava il mio collo
fin sulla riva del lungo digiuno
le stelle cui mi abbandono fanno capolino nel cielo
sembrano echi di mondi lontani
stagioni passate e future in un unico dono
senza che sia possibile presente alcuno
e mentre lo penso, magari lo sono
proiettate dai miei umidi occhi.
La spinta che la spinse giù dalla lama sottile del cordolo
fu la paura di non essere niente
più e ancora di concreto e fruttuoso
che come a vento o aria tornasse
la materia incombusta del suo ventre luttuoso.
L' uno l' ho amato con la perizia del giunco flessuoso
che contempla una vita serena in riva ad un placido fiume
con le vene dei polsi tremanti, l' altro,
sangue del suo sangue copioso.
Come ho potuto pensare
che non se ne sarebbe versata una goccia?
Mi ricordai di quei teneri baci
sul molo d' estate al ritorno
da quel breve viaggio in sordina
con le mani a cercare riparo
nei reciproci corpi confusi
il faro a illuminarli a intermittenze regolari
i gabbiani testimoni senza diritto di parola, oculari
come il mare vicino
che ancora non vanno a dormire.
Le promesse lasciate sul tavolo ogni mattina
quotidiani preliminari ad una giornata dedicata
a vani tentativi di mantenerle tutte
quando il latte bolliva, nella prima colazione da innamorati
e la scatola dei biscotti era ad altezza d' uomo.
Le bugie ancora di quella natura
che mai contempla intuizioni d' abbandono.
Le ore notturne dedicate a fare l' amore
a prendersi cura delle ferite
riportate nei conflitti dell' era volgare
del giorno appena trascorso.
Quella vita mi piacque
come mi piacquero i seni, il ventre e le cosce
il culo ed il volto
le abitudini selvatiche, le parole sussurrate nel buio
i tendini d' assalto, la corrida dei ricci corvini
i nodi alla gola oscuri presagi
i baci a ricomporre i cocci dell' anima alla deriva
con saliva d' oro e vele di fresco spiegate.
Ma anche caviglie sottili e lingue di fuoco
devono meritarsi un solerte perdono.
Il fratello gli si scopa la moglie e lui è impotente
vox populi vox dei
il ritornello che si canta in paese.
Mio fratello, mia moglie
nè l' uno nè l' altra mi appartengono
e nemmeno "il figlio della colpa"
è la dura lezione che ho dovuto mandare a memoria.
Quando la verità venne a galla
come cadavera da piena inconsulta
innescò processi di condanna
da cui nessuno sarebbe stato assolto.
Ho dovuto penzolare da un albero in collina
per vedere dalla giusta distanza le cose che scorrono.
Adesso me ne vado dove ci si abitua al nulla, alla fine
di un sonno senza sogni che tengano
e l' unico mio sogno fu quello, in una veglia da ingenuo
di avere una famiglia sana e felice
ma come fosse possibile per dei cuori malati
non osai mai chiederlo in vita.
Questa l' unica colpa che mi riconosco
tutto il resto è acqua passata
fiore di giunco, effetto farfalla.
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