Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)
I ciclami, nei chiostri di marmo. Le ortensie, nelle rosse Certose. Le margherite, nei prati. Le viole, tra le foglie secche lungo i fossi. La malva, nelle pentole dei poveri, alle finestre. Gli oleandri, nei vestiboli dei ricchi. Le rose, dentro gli orti di campagna. I tuberosi, nei giardini dei collegi. Le aquilegie, nei cortili dei castelli antichi. Le ninfèe, come bianche lavandaie, sotto i ponti. Gli edelvai, vicino ai nidi delle aquile. I convolvoli, nelle siepi delle strade. I glicini, sui ruderi. L’edera, come una decorazione verde intorno agli alberi veterani. I gigli, sugli altari e in processione. Le orchidee, simili ad aborti, nei bicchieri. Le azalèe, nelle chiese protestanti. Le camelie, nei vasi di maiolica sulle scale. I narcisi, davanti agli specchi. I garofani rossi, nella bocca delle amanti. I crisantemi, sulle tombe e nelle tavole. I pensè, come maschere curiose alle finestre. I papaveri, nel frumento. I begliuomini dai fiori ascellari simili ad arlecchini, negli orti delle zitelle. Le violacciocche, lungo i viali delle passeggiate. I semprevivi, nelle camere dei malati e davanti ai santi. I gelsomini, alle finestre degli ospedali. I funghi, nei boschi umidi nelle travi marcite e nell’anima mia.
Gian Piero Lucini (Milano, 1867 – Villa di Breglia, Plesio, 1914)
Per chi? -
( Il titolo originale dell'opera, Canzoni amare, venne cambiato da Marinetti, editore dell'opera, in Revolverate, nel 1909.)
Per chi?
Per chi volli raccogliere questo mazzo di fiori selvaggi stringerli in fascio nel gambo spinoso ed acerbo?
Tutti i fiori vi sono di sangue e di lacrime raccolti lungo le siepi delle lunge strade; dentro le forre delle boscaglie impervie; sui muri sgretolati delle capanne lebbrose; lunghesso i margini che lambe e impingua il rivolo inquinato dai veleni. decorso dal sobborgo alla campagna. Tutti i fiori vi son, che, pei giardini urbani e decaduti, tra le muffe e i funghi, s’ammalan da morirne, e gli altri che sboccian sfacciati e sgargianti, penduli al davanzale d’equivoci balconi meretrici: tutti i fiori cresciuti col sangue e colle lacrime ai detriti. Per chi io canto questi fiori plebei e consacrati dal martirio plebeo innominato, in codesto sdegnoso rifiuto di prosodia, per l’odio e per l’amore, per l’angoscia e la gioia, e pel ricordo e la maledizione, per la speranza acuta alla vendicazione? Ed è per voi, acefale ed oscure falangi, uscite da un limbo di nebie e di fiumi, tra il vacillar di fiamme porporine, in sulla sera, da portici tozzi e sospetti di nere officine? ed è per voi, pei quali non sorride il sole, schiavi curvi alla terra, che vi porta, e rinnovate al torneo dell’armata, ma non vi nutre, vostra? ed è per voi, pallide teorie impietosite di giovani, di vecchie e di bambine inquiete tra la fède e i desiderii, tra la tentazione della ricca città e il pudor permaloso della verginità?
Per chi, per chi, questa lirica nuova, che bestemmia, sorride, condanna e sogghigna, accento sonoro e composto dell’anima mia, contro a tutti, ribelle e superbo, in codesto rifiuto imperiale d’astrusa prosodia?…
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