Come ci si disabitua alla strada
al freddo brivido della folata
in faccia, una volta girato angolo
e già di maggio, pensai, non più al chiuso
dell'abitacolo, focaccia in mano
unta, seguendo traccia lungo il viale
aperto dei tigli. Che è qua che capisci
dei numeri alchimia: dalla quantità
e dalla lunghezza dei passi dati
calcolo di quanto il raggio, nel tempo
si riduca, della circonferenza
abituale limitando visuale.
Sintomo regressivo, più simile
pensai, allo stato vegetativo alto
fermandomi all'ostacolo tuonante
d'un oracolo comiziante arboreo
improvvisato ma non imprevisto.
Non è che lo stessi cercando: solo
divagando a mente andavo, lo sguardo
libero a vento, quando andò salendo
di tono la voce dell'oratore
unico pruno frondoso, tra i molti
tigli schierati. Diverso lui, forse
perciò a disagio, tanto che la voglia
mi venne di capire cosa avesse
a lagnarsi il tizio, piglio deciso
di viaggiatore certo della meta
ma pur sempre albero. E di andare dove
può decidere un albero, per quanto
offeso? Pensai: ed io, una volta in terra
anch'io piantato, ove scegliere potrà
mai d'involarsi anima, che immortale
mi si dice, sebbene anch'essa offesa?
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